Addio (lento) ai medici a gettone. Da oggi, 31 luglio 2025, scatta ufficialmente lo stop ai nuovi contratti per liberi professionisti pagati a ore e utilizzati per coprire la carenza di personale nella sanità pubblica. Un sistema che negli anni è diventato una scorciatoia per tenere in piedi interi reparti ospedalieri, e che ora arriva a un punto di svolta. O, secondo molti, a un punto critico.
I contratti già in essere potranno proseguire fino alla loro scadenza naturale, ma da oggi non sarà più possibile stipularne di nuovi né prorogare quelli in scadenza. Una svolta storica, accolta con favore da molti. Ma che – come spesso accade nella sanità italiana – arriva prima delle soluzioni alternative. Come siamo arrivati fin qui? E cosa succede adesso?
Chi sono (e come sono nati) i medici a gettone?
I medici a gettone sono liberi professionisti che prestano servizio negli ospedali pubblici tramite cooperative o società private. Le strutture sanitarie stipulano contratti di fornitura con questi intermediari, che selezionano e inviano personale – medico o infermieristico – per coprire i turni vacanti. I gettonisti non sono dipendenti pubblici: lavorano su chiamata, turno per turno, e vengono pagati a ore, spesso con compensi più alti rispetto ai colleghi strutturati, ma con meno tutele. Perché la selezione dei medici avviene spesso senza concorso pubblico né una verifica approfondita dell’esperienza: in molti casi è sufficiente la semplice iscrizione all’Albo.
Ma come è nato e cresciuto il fenomeno? Il sistema è figlio di una lunga crisi del personale sanitario iniziata nei primi anni 2000, aggravata da tagli alla spesa, blocco del turnover, prepensionamenti e condizioni di lavoro sempre più pesanti. Poi è arrivata la pandemia: i medici, stremati da turni infiniti e stipendi fermi, hanno iniziato ad abbandonare la sanità pubblica per cercare modalità più flessibili e meglio retribuite.
In questo vuoto, le cooperative si sono inserite come soluzione “rapida”, inviando professionisti anche all’ultimo minuto, soprattutto nei Pronto Soccorso, Anestesia e Rianimazione. In molte strutture – soprattutto al Nord e negli ospedali periferici – i medici a gettone sono diventati l’unico modo per garantire i turni notturni, festivi o estivi. Una toppa d’emergenza diventata, col tempo, una struttura parallela: in certi ospedali arrivano a coprire il 60% dei turni nei reparti di emergenza.
Quanto ci costano davvero i medici a gettone?
Tanto, troppo. Solo nel 2024, secondo il rapporto dell’Anac (Autorità Nazionale Anticorruzione), il sistema sanitario ha speso oltre 457 milioni di euro per pagare medici e infermieri a gettone. Veneto e Sicilia guidano la classifica per spesa medica, mentre Lombardia, Abruzzo e Piemonte per quella infermieristica.
Secondo la federazione Cimo-Fesmed, con la stessa cifra si sarebbero potuti assumere oltre 4.000 medici strutturati per un anno. E la qualità del servizio? Non sempre all’altezza: le cooperative reclutano anche neolaureati senza esperienza, medici stranieri con difficoltà linguistiche o professionisti in pensione oltre i 70 anni. A volte, specialisti non idonei vengono assegnati a reparti critici: come rilevato dai Nas, in ostetricia sono finiti medici non formati per cesarei, mentre nei Pronto Soccorso operavano professionisti senza specializzazione in emergenza.
Perché sono diventati un problema per la sanità
Oltre ai costi elevati, il vero nodo è la sicurezza delle cure. A differenza dei medici dipendenti, i gettonisti non sono soggetti agli stessi controlli: possono lavorare in più ospedali di seguito, senza riposi obbligatori, accumulando fino a 24-36 ore di servizio continuativo.
C’è poi la questione dell’inserimento: ogni ospedale ha protocolli e organizzazione propri, e i medici a gettone – che cambiano struttura frequentemente – spesso hanno bisogno di essere affiancati dai colleghi strutturati. Questi ultimi, già sovraccarichi e meno pagati, finiscono per reggere il peso doppio: del proprio lavoro e di quello di chi arriva solo per il turno.
Medici a gettone, stop ai nuovi contratti: cosa cambia dal 31 luglio
Il Governo ha cercato di mettere ordine al fenomeno già nel 2023, con il decreto legge 26/2023, che stabiliva che le cooperative mediche potessero essere impiegate “solo in caso di reale necessità e urgenza”, cioè quando fosse impossibile coprire i turni con personale dipendente.
Nel 2024 sono arrivate le linee guida del ministero della Salute che fissano limiti rigidi su turni, requisiti, durata e tariffe: 85 euro lordi/ora per Pronto Soccorso e Anestesia, 75 euro per altri reparti medici, 28 euro per gli infermieri nei Ps (25 euro in altri reparti).
Ma da oggi si volta pagina: chi ha un contratto in corso può ancora lavorare fino alla naturale scadenza, ma le Asl dovranno poi trovare misure alternative, magari meno costose e – si spera – più stabili.
Ospedali in allerta (ma non ancora nel caos)
Per ora, nessuna emergenza ufficiale. Ma il vero banco di prova saranno le ferie estive. Con tanti ospedali già in difficoltà e organici ridotti, la fine dei gettonisti potrebbe lasciare scoperte molte notti, festivi e turni critici. Secondo Simeu, il 42% dei contratti in essere scadrà nei prossimi tre mesi, e in alcuni ospedali questi medici coprono oltre la metà delle ore lavorative nei Pronto Soccorso. Molti dirigenti stanno riorganizzando turni e ferie in fretta, ma il rischio di un effetto domino è concreto.
Proprio per questo serve una risposta strutturale, e serve in fretta. Senza concorsi, incentivi mirati e un piano serio per il reclutamento stabile, si rischia di passare dalla padella dei gettonisti alla brace del vuoto di organico. E, come sempre, a pagare il prezzo saranno i cittadini.