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Letta: Riformare le istituzioni per uscire dalla crisi

Enrico Letta ha dimostrato con in suo discorso programmatico di essere un politico abile capace di navigare tra i tanti scogli posti sulla sua rotta sia dagli eterogenei partiti che compongono la sua maggioranza, sia dalle forze di opposizione, in primo luogo il M5S, pronto a mobilitare la piazza contro l’ inciucio. Il senso del progetto di rilancio che propone all’Italia sta non tanto nei provvedimenti economici di emergenza che ha annunciato per dare un po’ di respiro all’agonizzante economia italiana, a partire dalla sospensione della rata dell’Imu di giugno, quanto nelle riforme profonde della politica e di tutta la macchina pubblica che sono il vero ostacolo ad una virtuosa ripresa della produzione e dell’occupazione, soprattutto giovanile.

Infatti per ben due volte, dopo aver elencato quelli che a suo giudizio sono i più urgenti provvedimenti di emergenza, Letta ha sottolineato che questi sono indispensabili, ma da soli non sarebbero sufficienti, in quanto una vera” nuova fase nella vita della Repubblica”, si potrà aprire solo con una profonda riforma delle istituzioni e della politica così che entrambi possano riconquistare “autorevolezza” e quindi poter parlare agli italiani con un linguaggio di verità ed ottenerne la fiducia. Infatti è proprio la parte politica quella più precisa e più dura del discorso del neo presidente del Consiglio. Precise sono le indicazioni sui tagli dei costi della politica a cominciare dai cosiddetti rimborsi elettorali, e soprattutto sulla necessità di riformare la Costituzione in molti punti (bicameralismo perfetto, riordino dei comuni e delle Regioni, legge elettorale) oltre che sul cambiamento dei partiti rispetto ai quali viene invocata l’attuazione dell’art. 49 della Costituzione sulla democrazia interna delle formazioni politiche. In particolare su questi temi Letta ha detto esplicitamente che se tra 18 mesi non saranno stati fatti sensibili passi avanti, lui ed il suo Governo ne trarranno le necessarie conseguenze.

Sotto il profilo più strettamente economico Letta è stato un po’ più compilatorio sulle cose da fare citando un po’ tutto quello che sarebbe opportuno fare mettendo al primo posto il problema del lavoro che manca un po’ per tutti, ma soprattutto per i giovani, ma senza indicare con precisione dove e come reperire le risorse necessarie, specie volendo onorare l’affermazione ribadita con forza, della necessità di rispettare gli obiettivi di risanamento della finanza pubblica. Certo si spera che l’Europa possa allargare le maglie del rigore, tuttavia non sembra che da Bruxelles possa venire un aiuto molto forte specie se si tratta di finanziare spesa corrente come quella derivante dall’abolizione dell’IMU o dalla sistemazione di tutti gli esodati. Bisognerà poi trovare le risorse per ridurre il peso fiscale sul lavoro e sulle imprese, per rinunciare al previsto aumento dell’IVA e della Tarsu , e per implementare il fondo di garanzia già esistente per il credito alla Piccole e medie imprese.

Cosa vuol dire questo lungo elenco di cose da fare? Letta ha sottolineato che “di sola austerità l’Italia muore” ed è vero, ma il problema è come uscire dalla stretta senza allarmare i mercati e quindi senza correre il rischio di riportare lo spread ai livelli di un anno e mezzo fa. Il ministro dell’economia Saccomanni ha già detto in più occasioni che da un lato occorre mantenere la piena credibilità dell’Italia per cercare di portato lo spread verso i 100 punti e quindi eliminare la stretta creditizia che è la principale causa dell’avvitamento recessivo della nostra economia, e che il rilancio dello sviluppo si può fare solo attraverso una ricomposizione della varie poste del bilancio pubblico eliminando le spese improduttive e concentrandosi su quelle utili alla crescita.

Inoltre poco spazio è stato dedicato alla necessità di recuperare competitività sia nel settore industriale che in quello dei servizio. E questo tema chiama in causa direttamente i sindacati i quali sono stati invitati ad agire insieme alle imprese per affrontare questo problema. Ma è un invito che negli anni passati non è stato mai raccolto fino in fondo.

In conclusione non si può dire che Letta ha voluto sconfessare totalmente quanto fatto dal Governo Monti che anzi viene considerato una premessa indispensabile per passare ora ad una seconda fase nella quale al risanamento dovrebbe aggiungersi quella di un più robusto sviluppo. Per rendere possibile e credibile questo passaggio, è fondamentale una politica di riforme della politica e delle istituzioni. Letta ha sferzato la politica ad abbandonare i vecchi modi di agire, le antiche chiusure, per accettare la sfida del cambiamento che deve partire innanzitutto dal modo di essere degli stessi partiti per coinvolgere le istituzioni assicurando un rafforzamento dell’esecutivo, una semplificazione del processo legislativo, ed in generale una riduzione dei costi del funzionamento dello Stato. Peraltro solo progressi sensibili in questa direzione rafforzerebbero la credibilità del paese presso gli investitori interni ed internazionali facendo loro accettare agevolmente anche un transitorio aumento del deficit e del debito pubblico .

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