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L’accordo bipartisan sul debito Usa accontenta tutti ma indebolisce il primato degli Stati Uniti

Alla fine ce l’hanno fatta a trovare un accordo per evitare il default tecnico. La convulsa maratona tra la Casa Bianca e Capitol Hill ha partorito un accordo con cui tutte e due le parti possono cantare vittoria. I Repubblicani sono riusciti a imporre, almeno sulla carta, tagli alla spesa pubblica per 3.000 miliardi di dollari, che compensano l’aumento al massimale di indebitamento pubblico. I Democratici hanno limitato i danni ottenendo che gran parte dei tagli sia differita nel tempo o, addirittura, definita solo nell’ammontare ma interamente da articolare in termini concreti.

Però, c’è un però. La leadership americana si è ulteriormente slabbrata. Come ben sanno gli inglesi, che vissero la loro decadenza imperiale un secolo fa, si può pensare che la perdita dell’abilità di controllo sul fenomeno globale dipenda da una somma di incapacità individuali dei leader presenti e quindi basterebbe sostituirli per riassestarsi, ma alla fine i fondamentali economici dicono altro.

Nessuna potenza, per quanto forte, può perpetuare la sua influenza globale e detenere la valuta di riserva internazionale se da decenni accumula crescenti squilibri nei confronti del resto del mondo. Dunque, più che parlare di Obama vs. Boehner o Reid vs. Mc Connell conviene osservare che gli Usa sono preda dei deficit gemelli: pubblico ed estero. In rapporto al PIL, il deficit pubblico si colloca all’11% e il debito pubblico (la sua cumulata) sfreccia ormai al di sopra del 100%. Il deficit delle partite correnti, che era crollato dal 6,5% del PIL nel 2006 all’1% circa nel 2009, con la ripresa è tornato ad ampliarsi attestandosi sul 3%.

Queste evoluzioni ci consegnano un mondo caratterizzato da un assetto non più monocratico, ma da una globalizzazione multipolare che, come in altre esperienze storiche analoghe, potrebbe essere instabile e foriera di conflitti (si spera non bellici). Le perturbazioni prodotte sui mercati finanziari internazionali – di cui l’Italia ha ormai l’amaro in bocca – si inquadrano in questo assetto problematico della leadership mondiale.

Questo complesso scenario globale rappresenta una sfida difficile per l’Europa che dovrà provvedere da sola a difendere i propri confini e mantenere la sua importanza economica. E, nell’immediato, dovrà anche scegliere quanto dei disordini finanziari sia effettivamente accettabile perché, viene da dire, di volatilità si può anche morire. Dovrebbe esser chiaro anche a tedeschi e francesi che a questa sfida si risponde meglio con un’Europa unita che con un’Europa divisa. Speriamo che prevalga la saggezza.

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