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La Sardegna come il Galles, una regione da riconvertire

La Sardegna è il nostro Galles. Ospita ciò che resta del nostro sistema minerario, di quello mino-metallurgico e di parte della chimica di base. A differenza del Galles, però, quasi tutte queste attività sono state promosse dallo Stato: per fare fronte alle sanzioni negli anni ’30 e al primo shock petrolifero negli anni ’70 (carbosulcis), per dare una prima risposta all’insorgenza del banditismo (Ottana), per gestire le conseguenze della guerra chimica (Porto Torres e Assemini) e per sfruttare l’energia a basso costo (alluminio). Nessuna di queste iniziative (con la sola rilevante eccezione della Sir di Rovelli ) ha visto il concorso della imprenditoria privata e, sopratutto, nessuna ha generato un indotto sano o ha alimentato un ciclo di lavorazioni secondarie significativo.

Dal ’92 ad oggi i governi regionali e nazionali (tutti) hanno, in realtà, dovuto gestire la lunga agonia di questo sistema industriale. Nessuno, però, ha posto con onestà e chiarezza il problema di una sua radicale riconversione. Ed è questa la seconda e cruciale differenza col Galles.

Dopo la drammatica sconfitta dei minatori (una categoria operaia gloriosa che meritava rispetto come lo meritano oggi quelli del Sulcis) e dopo la decisione della Tatcher di privatizzare le imprese e le proprietà pubbliche il Galles questo problema se lo è posto e lo ha affrontato di petto. Le aree industriali che erano dello Stato furono conferite ad una Agenzia (WDA) cui venne affidato il compito di bonificarle, infrastrutturarle e riutilizzarle mettendole a disposizione di nuovi imprenditori che la medesima agenzia si incaricava di ricercare in tutto il mondo, anche in Italia – Fumagalli della Candy e D’Amato fra gli altri – e di accompagnare facilitandone in ogni modo l’insediamento. La stessa baia di Cardiff, che, oltre ad essere incomparabilmente più brutta, era anche messa molto ma molto peggio di Bagnoli, è stata riqualificata sulla base di un progetto che prevedeva edilizia residenziale e commerciale, attività produttive hi-tech, centri di ricerca, alberghi, centri culturali e impianti sportivi. Il costo della bonifica è stato in larga misura ripagato dalla messa a valore delle aree. Un esempio di collaborazione virtuosa fra pubblico e privato che ha funzionato e che a Bagnoli non si è voluto seguire con i risultati che tutti possono vedere.

I risultati di questo vasto programma di riconversione e di sviluppo sono stati per il Galles molto positivi sia in termini di occupazione che di crescita economica. Certo, il Galles non è un isola ed è vicino al grande bacino di Londra. Ma anche la Sardegna ha risorse e potenzialità che consentirebbero di innescare un positivo processo di riconversione. Dell’esistente andrebbe conservato quello che ha futuro mentre ciò che non lo ha più andrebbe gradualmente dismesso. L’accento andrebbe posto sull’avvio di nuove iniziative ed è su questo terreno che lo Stato e la Regione dovrebbero collaborare.  

Riconvertire l’economia dell’isola valorizzando le sue vocazioni e potenzialità senza disperdere il suo, pur esiguo, patrimonio industriale comporta uno sforzo progettuale, finanziario e gestionale che la Regione da sola non è in grado di fare. Ci vuole lo Stato e ci vuole l’Europa! Se sapessimo coglierla questa potrebbe davvero essere l’occasione per mettere in pratica quel principio di sussidiarietà cui sempre di più dovrà ispirarsi sia l’azione degli Stati nazionali che della nuova Europa.

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