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“Intermonte in Borsa per accelerare lo sviluppo”: parla l’Ad Manetti

Imagoeconomica

Ci hanno messo un po’, ma alla fine è fatta: Intermonte, il più importante operatore indipendente di Piazza Affari, ha compiuto il grande passo sottoponendosi con la quotazione all’esame di quel mercato azionario in cui Sandro Valeri e la sua squadra operano quali assoluti protagonisti fin dal 1995, prima dell’euro e dell’avvento della finanza globale, quando la vecchia Borsa muoveva a fatica i primi passi nell’era elettronica. Ma Intermonte, con un certo coraggio, già si poneva l’obiettivo di aprire un ufficio a New York, per rinsaldare i contatti con il cuore dei mercati. Una capacità di guardare avanti che ha segnato a fondo in questi anni il modo di “fare Borsa” nel Bel Paese, dalla tutela rigorosa degli interessi del mercato alla scoperta delle piccole e medie imprese fino al rapporto, via digitale, con i traders e i private bankers.

Anche per questo l’ingresso sul listino dell’Investment bank milanese ha un po’ il sapore di un evento significativo che va al di là dello scontato, successo al debutto (+9,96%, una capitalizzazione iniziale di 113 milioni) sul listino dell’Aim dopo che, in sede di Ipo, le richieste hanno superato di tre volte l’offerta. Ma adesso? Quali sono i prossimi progetti della” piccola” Goldman Sachs italiana? Ne parliamo con l’ad Guglielmo Manetti, milanese, classe 1969, una laurea in Cattolica, poi il primo impiego in Borsa Valori come analista finanziario presso la divisione mercato. Prima di approdare in Intermonte nel 1996, nove mesi dopo la fondazione.

Dottor Manetti, perché la quotazione adesso? Per approfittare di una fase di mercato eccezionale o c’è di più?

“Sì, ci siamo arrivati dopo una lunga riflessione con l’obiettivo di tutelare lo spirito di partnership attorno a cui è nata e cresciuta Intermonte, un modello molto inclusivo di grande successo, oggi con 60 soci e 130 dipendenti, che ha consentito di chiudere i conti sempre in attivo e di pagare il dividendo anche negli anni in cui abbiamo incrociato le crisi peggiori, compreso il Covid”.

Perché la quotazione allora?

“Il modello in questi anni ha funzionato a dovere. Ora si tratta di garantirne la continuità. La struttura più flessibile e più ampia del capitale aumenterà il commitment dei partner e favorirà l’attrazione di nuove competenze e talenti indispensabili per continuare il nostro percorso di crescita. L’approdo all’AIM accelererà il nostro sviluppo, nel solco dei nostri 26 anni di storia: si tratta di un’evoluzione importante, che fa leva sulla nostra indipendenza e sul nostro posizionamento strategico nel segmento delle PMI. Da sempre, ancor prima di me che faccio l’ad da 3 anni, il management ha sempre puntato a sviluppare aree nuove e diverse di crescita. Ma nel tempo la partnership si è fatta sempre meno rappresentativa di come sono oggi le dinamiche del business. Di qui una riflessione su quali sono le principali aree strategiche, dove possiamo investire, dove cresciamo”.

Insomma, cambiare per non perdere lo sprint. È così?

“È stata una decisione lungimirante che condivido appieno da parte degli azionisti principali, Sandro Valeri in particolare: aprire la partnership al mercato per poter accelerare la crescita, attrarre nuovi talenti, avere, grazie alla carta quotata, uno strumento in più per permetterci di combattere alla pari con gli altri concorrenti. Soprattutto le grandi banche. E così abbiamo riflettuto su quello che poteva essere il modello migliore per poter continuare a sviluppare la formula della partnership nelle condizioni attuali”.

Leggo che il top management si è impegnato con un patto parasociale ad un lock up di 36 mesi con riferimento al 24% del capitale. Anche così tutelate la vostra indipendenza 

“Nelle tante presentazioni che ho fatto agli investitori la parola indipendenza l’ho ripetuta 50 volte in 50 slide. Per noi è un valore fondamentale, insito nel dna della società fin da quando siamo nati nel ’95. Allora Il business di riferimento era il brokeraggio e intermediazione con i grandi fondi internazionali, inglesi ed americani. Già nel ’98 abbiamo aperto la sede di New York: eravamo il broker di riferimento per i fondi americani che, quando volevano sapere qualcosa di più in merito al nostro mercato avevano bisogno di un indipendente che desse un’opinione di cui si potevano fidare. Ieri come oggi. Nell’Ipo poco meno del 40% della domanda è venuta dall’estero a dimostrazione dell’interesse per un ‘player indipendente. L’indipendenza resta un tratto fondamentale: la quotazione in Borsa di permette di conservarla anche per i prossimi anni”.

L’attività di broker resta uno dei motori della vostra crescita?

“Il brokeraggio più l’intermediazione che si è allargata oltre il mercato italiano e ad altre asset class conta per il 35% del totale delle nostre attività. Poco di più del 30% arriva dal global markets rivolto agli investitori istituzionali il 25% circa dall’investment banking, l’area che fa anche leva di più sul nostro posizionamento di mercato: siamo leader nelle operazioni di IPO ed Equity Capital Market di società di media capitalizzazione, avendo partecipato a oltre 50 IPOdi una certa dimensione  prevalentemente in ruoli di Global Coordinator,  Bookrunner e Sponsor. Nonché advisor per operazioni di M&A in cui facciamo sempre la parte del mercati a favore delle le minoranze. Siamo stati dalla parte dei soci Ubi in occasione dell’Opa di Intesa, di quelli del Credito Valtellinese con il Crédit Agricole e di Rcs in occasione dell’offerta di Cairo”.  

E adesso?

“La quotazione all’Aim è un primo passaggio: guardiamo allo STAR come punto di arrivo per il futuro e alla crescita anche per linee esterne, in particolare nei servizi digitali e nell’Investment Banking”.

Spicca il vostro interesse per il digitale…

“Oggi vale circa il 10% del nostro business. Abbiamo due prodotti: Websim, marchio storico nato assieme a Fineco di cui siamo partner da 21 anni. E’ una presenza ben radicata tra i traders online.  L’altro è T.I.E. che si rivolge a promotori e private banker, e sta dando risultati interessanti. Offriamo ai professionisti soluzioni di investimento sempre nell’ottica dell’indipendenza. Intendiamo investire ancora in questa direzione”.

Voi vi interessate anche al retail, insomma. I Robin Hood italiani…

“Ci apre una finestra su un mondo diverso da quello degli istituzionali che non va ignorato. Il dato Assogestioni ci dice che il 30% dei volumi intermediati in Borsa proviene dai canali digitali (Fineco e Directa per lo più). Difficile ignorarli completamente”.

Anche l’Aim è un fenomeno rilevante. E coi l’avete scoperto tra i primi.

“In realtà noi ci occupiamo solo di un Aim di certe dimensioni. La carica del micro titoli non è il nostro target. Noi guardiamo alle quotazioni con un collocamento intorno ai 20 milioni e con una capitalizzazione attorno ai 100 milioni. Penso ad esempio a titoli approdati all’Aim ma con i requisiti già pronti per un salto al listino principale, come Wiit e Tinexta”.

Siamo finalmente vicini ad un salto di qualità per Piazza Affari? 

“La Borsa italiana è quasi al 37% del Pil. In Germania la percentuale sale al 73%, in Francia al 123%. Secondo Banca d’Italia ci sono 2.200 società con i requisiti idonei per una quotazione. I numeri dunque ci sono, così come avverto un interesse crescente da parte dei vari player. Anche la recente cessione di Falck Renewables ad un private equity conferma un interesse per il mondo del quotato che non abbiamo mai visto. Assieme al ritorno in forze degli stranieri. C’è spazio per un circuito virtuoso. Forse stavolta riusciremo a sfruttare al meglio il momento propizio”.

Ma c’è anche chi va via, se pensiamo ai Falck.

“Preferisco guardare a chi arriva, come Wiit, un’azienda che cinque anni fa nemmeno esisteva. Oppure a  Merloni o Intercos, società da 1-2 miliardi di capitalizzazione che possono favorire, finalmente, il decollo della Borsa. Oggi c’è spazio per settori nuovi come la cybersecurity: l’economia cambia, e cambia anche la rappresentatività”.

Ed è per questo che Intermonte ha deciso di cambiare per restare, in fondo, la stessa. 

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