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Il Primo Maggio non è solo memoria: “E’ un cantiere permanente di futuro”. Parla Marco Bentivogli

Marco Bentivogli

Le celebrazioni del Primo Maggio non possono essere una vuota liturgia ma, al contrario, un’occasione per ridare slancio all’attività sindacale. Come? Ne parla in questa intervista a FIRSTonline Marco Bentivogli, indiscutibilmente il miglior sindacalista italiano del secondo decennio del Duemila da leader della Fim-Cisl e oggi come ieri un vulcano di idee. La pace giusta e duratura e la democrazia come pre-condizioni dello sviluppo, una detassazione strutturale del lavoro e un pilastro europeo di disoccupazione collegato a vere politiche attive del lavoro e poi il salario minimo e un modello contrattuale “contemporaneo” sono i capisaldi del suo pensiero. E ancora: il referendum sul Jobs Act “non risolverebbe il vero problema” di dare certezza dei diritti ai lavoratori e alle imprese mentre è tempo di pensare a uno “Statuto dei lavoratori 4.0”. Basterebbe realizzare il 10% delle innovative idee di Bentivogli per ridare smalto all’azione sindacale. Sentiamolo.

Bentivogli, il Primo Maggio di quest’anno deve fare i conti con due guerre ancora irrisolte, con il trumpismo imperante e con uno scenario economico internazionale e nazionale che non promette nulla di buono: quale dovrebbe essere, secondo Lei, la bussola dei sindacati per affrontare le difficoltà del momento?

“La Pace vera, giusta e duratura e la democrazia sono le pre-condizioni dello sviluppo. L’offensiva russa in corso nel nord-est dell’Ucraina e il riaccendersi dei fronti a Sumy dimostrano che la guerra non è affatto finita. A sud del Mediterraneo, i negoziati sul cessate il fuoco a Gaza fanno un passo avanti e due indietro, ma restano l’unica via per fermare la strage di civili.  Bisogna governare e non subire la ‘svolta trumpiana’ dell’economia mondiale che avrà effetti negativi per i lavoratori (anche per quelli americani). Le nuove tariffe Usa sulla manifattura hanno spinto l’Fmi a tagliare la crescita globale 2025 al 2,8 %. Il sindacato europeo deve pretendere una politica industriale comune su innovazione tecnologica, generazione di tecnologie e competenze e trasferimento a lavoratori e imprese su trasformazione digitale, Ai, energia, chip, batterie e filiere corte, materie prime e critiche invece di chiudersi in un neo-protezionismo impotente. È un peccato che i paesi europei, accanto a ReArm Eu, stiano rispondendo in ordine sparso. Ed è un peccato che il sindacato americano non abbia imparato l’inutilità del protezionismo. Con l’inflazione ancora sopra l’obiettivo Bce, servono detassazione strutturale del lavoro e un pilastro europeo di indennità di disoccupazione collegato a vere politiche attive del lavoro, finanziato coi fondi Next Generation Eu che restano”.

Se l’occupazione in Italia dà segni di miglioramento, non così è per i salari, che – come ha ricordato anche il Presidente Mattarella – restano tra i più bassi in Europa: non sarebbe ora che i sindacati si svegliassero e promuovessero una nuova stagione della contrattazione per migliorare non solo i salari più bassi ma anche quelli delle fasce intermedie del mondo del lavoro con l’occhio ovviamente alla produttività e all’innovazione dell’organizzazione del lavoro?

“Abbiamo un tasso di occupazione record della nostra storia (62,8%). Oltre 24 milioni di occupati. Ma molti punti sotto la media europea soprattutto su donne e giovani. I dati ci mostrano una popolazione attiva che cresce ma invecchia. Negli ultimi 20 anni gli over 50 al lavoro sono raddoppiati (per l’arrivo a regime delle riforme pensionistiche che hanno allungato la permanenza al lavoro) e per il de-giovanimento della popolazione italiana. Sui salari, servono risposte e strumenti intelligenti. Serve il salario minimo, ben fatto, per i lavori poveri. E per la crescita salariale bisogna affrontare i nodi della produttività (inefficienza Pa, nanismo aziendale, scarsa adozione tecnologie, competenze medie molto basse) e ricostruire un modello contrattuale almeno ‘contemporaneo’. Riaprire subito i negoziati dei contratti scaduti recuperando l’inflazione. Il nostro modello contrattuale non ha retto le fiammate d’inflazione 2022-2024: troppi contratti nazionali non rinnovati e un tempo medio di rinnovo superiore ai 24 mesi. Detassare aumenti e premi di risultato: ogni euro di salario ‘di secondo livello’ deve costare meno di un euro di tabellare. Fare, specie per le piccole imprese o le aree ad alto costo della vita, la contrattazione territoriale. Anche la contrattazione decentrata non cresce, non confondiamola con gli accordi timbrati a livello territoriale per concedere sgravi. Servono indicizzazioni smart della produttività con indicatori trasparenti anche nelle pmi. É urgente la contrattazione di filiera per appalti e piattaforme, dove si concentra il lavoro povero. Va esteso ovunque il Diritto soggettivo alla formazione: più competenze = più valore aggiunto = più salario + stabilità contrattuale”. 

Il Primo Maggio di quest’anno è attraversato anche dalla mina vagante del referendum contro il Jobs Act promosso dalla Cgil di Landini: il suo orientamento in proposito qual è?

“Rispetto la spinta democratica. Non credo che la crisi della rappresentanza (che riguarda tutti) si possa superare invertendo i ruoli. I partiti del centro sinistra hanno letteralmente dato in appalto le tematiche del lavoro alla Cgil. Quest’ultima invece di preoccuparsi di questo disinteresse lo ha colto come un’opportunità. La rappresentanza politica e quella sociale sono di diversa natura e non si riconquistano mescolando funzioni e iniziative. Gli appalti sono un tema serissimo, la sicurezza e i licenziamenti idem. Ma su questi ultimi il totem del jobs act c’entra poco. L’abrogazione del poco che rimane di quella misura rimetterebbe in gioco la legislazione precedente modificata dagli interventi della Corte Costituzionale. Per questo servirebbero Partiti che si occupano seriamente di lavoro, perché il referendum non risolverebbe il vero problema: le norme sono contraddittorie, stratificate e complicate, il giusto mix per non dare certezza di diritti né ai lavoratori né alle imprese ma tanto lavoro agli avvocati. Siamo la Repubblica con la certezza del contenzioso. Con diritti e doveri talmente poco chiari da essere inesigibili per la maggioranza dei lavoratori. Per questo è un peccato che anche un referendum sui temi del lavoro abbia più il sapore dell’infinita ‘resa dei conti a sinistra’ incapace di far coabitare più culture al suo interno. 

E quale sarebbe la strada giusta, secondo lei?

“La strada è un ‘Statuto dei lavoratori 4.0’ che: chiarisca le innumerevoli contraddizioni della disciplina dei licenziamenti, mantenga la reintegra per discriminazioni e licenziamenti manifestamente infondati; estenda le tutele al lavoro su piattaforma e agli autonomi economicamente dipendenti; introduca un diritto universale alla formazione continua; favorisca la partecipazione dei lavoratori nei board e nei comitati Esg. Serve un decalogo di diritti sociali per tutti i lavoratori indipendentemente dal loro contratto (dipendente/autonomo, full time/part time). Il Primo Maggio non è solo memoria: è un cantiere permanente di futuro”.

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