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Grecia-Ue: le tre strade possibili

Il mese prossimo la bancarotta della Grecia potrebbe diventare realtà. “Le quattro rate in scadenza a giugno con il Fmi ammontano a un miliardo e 600 milioni di euro: denaro che non sarà versato, perché non lo abbiamo”, ha annunciato ieri alla tv Mega il ministro dell’Interno Nikos Voutsis, sottolineando che Ue e Fmi pongono “condizioni inaccettabili” in cambio dello sblocco della rata di aiuti da 7,2 miliardi concordata a febbraio. In particolare, il governo di Syriza non intende cedere sulle pensioni e sulla restaurazione dei contratti collettivi di lavoro, temi su cui Angela Merkel si è dimostrata più rigida che in passato nel corso dell’ultimo vertice europeo di Riga. Ora il dilemma passa sul tavolo del G7 che si riunirà a Dresda giovedì e venerdì.

L’IPOTESI DELL’ACCORDO

Se le due parti trovassero un’intesa in extremis, non si tratterebbe comunque di una soluzione definitiva. Con il trasferimento da 7,2 miliardi, Atene pagherebbe la rata di giugno al Fmi e altri 3,5 miliardi alla Bce in scadenza a luglio. Ma il rischio bancarotta sarebbe solo rinviato, visto che il Paese avrebbe bisogno di almeno 30 miliardi solo per sopravvivere all’estate. La chiusura del negoziato in corso, quindi, consentirebbe solo di guadagnare tempo per condurre una nuova trattativa. Si continuerebbe così ad alimentare il circolo vizioso in cui Grecia, Ue e Fmi sono intrappolati da anni, senza contare che stavolta un ennesimo pacchetto di aiuti rischierebbe di non ottenere il via libera di alcuni parlamenti nazionali, Bundestag in testa.

LO SCENARIO DEL GREXIT 

Quanto al Grexit, secondo il ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, il fallimento con tanto di ritorno alla dracma sarebbe un avvenimento “catastrofico”, che segnerebbe “l’inizio della fine dell’euro”.  Ma su quello che accadrebbe dopo un’ eventuale uscita di Atene dalla moneta unica non esistono che ipotesi. E’ probabile che la Grecia dovrebbe bloccare la fuga dei capitali, nazionalizzare le banche, battere moneta e far decollare l’inflazione per finanziarsi, dal momento che il mercato dei capitali sarebbe precluso anche per i prestiti a breve termine. I tassi d’interesse volerebbero alle stelle e la dracma 2.0 subirebbe una svalutazione colossale, mentre i debiti privati potrebbero continuare a essere denominati in euro. Certo, per le esportazioni la moneta debole sarebbe una manna dal cielo, ma l’export greco copre una porzione ridotta del Pil e difficilmente sarebbe in grado di trainare una ripresa. 

L’IDEA DI UNA MONETA ALTERNATIVA INSIEME AGLI AIUTI

Esiste poi una terza via: la Grecia potrebbe fallire senza uscire dall’euro, introducendo temporaneamente una moneta parallela per pagare stipendi pubblici e pensioni. Questa ipotesi però non eviterebbe il fallimento delle banche, perché in caso d’insolvenza la Bce dovrebbe tagliare il sistema d’aiuti d’emergenza Ela, privando il sistema creditizio greco dell’unico supporto di cui ancora gode. Si riproporrebbe quindi, probabilmente, il problema di contrattare un nuovo piano d’aiuti internazionali. 

IL FALLIMENTO DEL 2012

In realtà, la Grecia è già andata in default nel marzo 2012. Tecnicamente si trattò  di un “haircut”, e così fu chiamato, ma il risultato fu comunque una massiccia perdita per i creditori: gli investitori privati subirono una svalutazione superiore al 70% del valore nominale dei titoli di Stato greci che avevano in portafoglio, consentendo ad Atene di ridurre di 100 miliardi di euro lo stock del proprio debito pubblico.

CHI SUBIREBBE LE PERDITE OGGI? SOCIALIZZAZIONE DEL DEBITO 

Oggi la perdita ricadrebbe sui contribuenti europei, dopo che negli ultimi anni il peso del debito ellenico si è spostato dagli istituti di credito agli Stati. L’intervento ha riguardato tutti i Paesi Ue, pro quota, in cambio del via libera da parte del governo di Atene alle politiche di austerità.

Fra il 2009 e il 2014 la Germania, la Francia e l’Italia hanno gonfiato l’esposizione delle loro casse pubbliche nei confronti di Atene rispettivamente da zero a 61,64 miliardi, da zero a 46,56 miliardi e da zero a 40,87 miliardi. Nello stesso periodo l’esposizione in Grecia delle banche tedesche, francesi e italiane si è ridotta rispettivamente da 45 a 13,51 miliardi, da 78,82 a 1,81 miliardi e da 6,86 a 1,06 miliardi. 

Questo passaggio è stato possibile grazie a un meccanismo indiretto. In sostanza, gli Stati europei non hanno mai prestato denaro direttamente ad Atene, ma hanno finanziato i fondi salva-Stati (prima l’Efsf, poi l’Esm), che hanno girato i fondi alla Banca centrale greca, la quale a sua volta ha inviato la liquidità agli istituti privati ellenici, che hanno usato quelle risorse in massima parte per ripagare i debiti. Ecco perché soltanto una porzione ridotta degli aiuti internazionali concessi alla Grecia è arrivata all’economia reale. Sempre fra il 2009 e il 2014, la Grecia ha visto il tasso di disoccupazione salire dal 16 a 25% e il debito impennarsi dal 125 a 175,5% del Pil, che a sua volta è crollato del 25%.

COME REAGIREBBE IL MERCATO A UN NUOVO FALLIMENTO?

Nessuno può saperlo con certezza, anche se la socializzazione del debito greco ha rasserenato molti analisti. La paura del rischio contagio, in ogni caso, non è scomparsa del tutto. Il timore è che gli speculatori internazionali possano vendere in massa i titoli di Stato dell’Europeriferia, credendo (o fingendo di credere) che il destino greco possa toccare anche ad altri Paesi. 

L’obiettivo sarebbe tornare a speculare sulle variazioni dello spread, ma si tratterebbe comunque di una strategia molto più complicata da portare avanti rispetto al passato, visto che ora è in corso il quantitative easing della Bce, e l’Eurotower ha al suo arco anche le frecce delle Omt. Si tratta delle Outright monetary transactions, gli acquisti di bond pubblici in funzione anti-speculativa il cui solo effetto annuncio fu sufficiente a spegnere l’attacco dei mercati contro l’euro andato in scena nel 2012 (la spiegazione sul sito della Banca centrale europea).  

AGGIORNAMENTO:

Syriza ha respinto la richiesta dell’ala estremista del partito di non rimborsare i prestiti al Fondo monetario internazionale. Il Comitato centrale ha bocciato la proposta con 95 voti contro 75 e una scheda bianca. Respinte anche le richieste di nazionalizzare le banche e di indire un referendum che darebbe agli elettori il potere di respingere ogni accordo con i creditori internazionali.

“La Grecia e i suoi creditori hanno una necessità imperativa di raggiungere un accordo il prima possibile”, ha detto il portavoce del Governo, Gabriel Sakellaridis, aggiungendo che l’Esecutivo punta a raggiungere un’intesa entro l’inizio di giugno: “Finché saremo nella posizione di pagare i nostri impegni, li pagheremo. E’ responsabilità del governo essere in una posizione di fare fronte ai propri obblighi”. 

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