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Grano, prezzi record: colpa del clima ma anche dei dromedari

Pixabay

Non solo petrolio. Venerdì scorso sul listino parigino di Euronext a pagare il prezzo più alto da 14 anni a questa parte è stato un membro dell’Opec: l’Iraq. Il paese mediorientale ha infatti annunciato l’acquisto di 500 mila tonnellate di grano consegna dicembre. La notizia, piovuta su un mercato già proteso al rialzo, ha fatto schizzare le quotazioni a 297,25 dollari alla tonnellata. Ma gli operatori delle soft commodities sono convinti che entro l’anno sarà abbattuta la barriera dei 300 dollari, contro i 215 dollari di inizio anno o i 180 dollari che i produttori spuntavano a metà del 2020. Il fenomeno riguarda sia il mercato a termine, oggetto delle trattative in Borsa, che quello in consegna fisica, su cui pende tra l’altro l’aumento dei noli marittimi. A Rouen, punto di riferimento per la merce fisica il “panificabile” è salito a 342 euro a tonnellata.  A Chicago intanto la scadenza di dicembre sale di 40 cent a bushel.

Perché questa corsa? Anche in questo caso il principale imputato è il clima. La siccità ha compromesso parte dei raccolti del Nord America, Canada in testa. In Russia, primo produttore mondiale, l’alternanza tra inondazioni catastrofiche e siccità ha costretto Mosca a fissare tetti all’export e ad anticipare la scorsa settimana l’istituzione di tasse per i cereali venduti oltre frontiera. Un po’ come ha fatto l’Argentina che ha cercato invano di frenare l’inflazione proibendo le vendite di mais all’estero.

Intanto la Cina si è confermata un consumatore afflitto da bulimia: dai 7,6 milioni di tonnellate importate nel 2019 a quasi 30 l’anno prossimo e almeno a 26 per quest’anno. Perché quest’impennata? E’ difficile, come sempre, capire le intenzioni di Pechino ma pare che una ragione degli acquisti stia nella necessità di ricostituire la popolazione suina nel Celeste Impero, già decimata dalla Sars.

E l’elenco non finisce qui. La miscela tra gelate e siccità ha colpito anche il Brasile, dove mancano all’appello della seconda mietitura annua 14 milioni di tonnellate.  Infine, la ripresa delle quotazioni del petrolio ha spinto molti produttori americani a destinare una parte della produzione al bioetanolo.  

Di fronte a certi numeri non è difficile prevedere un sensibile aumento dei cereali: non solo grano ma anche mais le cui quotazioni al rialzo viaggiano in parallelo. Per non parlare dell’orzo: in questo caso la domanda sale dall’Arabia Saudita per soddisfare le esigenze dei dromedari, grandi consumatori del prezioso cereale al pari degli intenditori di whisky, come dimostra la decisione della fiamminga Boortmalt di aprire una “malteria” negli States.

Non sono buone notizie sul fronte dell’inflazione, anche se, finalmente, i produttori del Vecchio Continente, possono contare su prezzi più che soddisfacenti, con aumenti anche a doppia cifra per un prodotto che, in Italia come in Francia, risulta di una qualità straordinaria, la migliore dell’ultimo decennio, come certifica il Cai, Consorzi Agrari d’Italia, la prima realtà organizzata della produzione con quasi 3,5 milioni di quintali di cereali gestiti e stoccati.

Oggi alla Borsa merci di Milano continua il rally dei prezzi che inaugura l’ottava settimana di rialzo. Tutte le categorie sono in rialzo di 2 euro a tonnellata a 312,5 euro (il panificabile). Ancor più alti i prezzi della Borsa Merci di Bologna. Ovunque, del resto, il raccolto 2021 sarà ricordato per le pochissime impurità e le proteine più alte della media. Ma, ahimè, le rese per ettaro risultano in calo un po’ ovunque: in Puglia (-30%), nelle Marche, in Abruzzo e in Molise (-20%), in Toscana (da -30% a -50%), nel Lazio (-50%). Unica eccezione è l’Emilia-Romagna che segna +20%. Troppo poco per fermare la corsa del caro panino.  

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Categories: Economia e Imprese