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Giappone verso la fine dei tassi sotto zero? I segnali ci sono. Buffet (e non solo lui) fa rotta su Tokyo

FIRSTonline

Pronti via. Oggi parte la riunione di due giorni del comitato ristretto della banca centrale giapponese al quale competono le scelte di politica monetaria. Non è un evento qualsiasi perché, dopo la lunga stagione del denaro a basso costo, anche Tokyo si prepara a cambiare rotta decretando la fine di una lunga stagione dell’emergenza. E i mercati si adeguano: l’indice Nikkei, guidato dalle aziende di elettronica, ha raggiunto stamane i massimi degli ultimi otto mesi grazie all’ottimismo sulle trimestrali e all’aumento dei sussidi governativi per la produzione di chip.  

Giappone verso una svolta nella politica monetaria

Kazuo Ueda, il nuovo governatore della Bank of Japan, sta in realtà facendo di tutto per raffreddare le attese dei mercati che annusano aria di svolta nella politica monetaria del Sol Levante, la patria dei tassi sottozero che hanno segnato per sette anni la gestione di Haruhiko Kuroda, già braccio destro si Shinzo Abe, l’ex premier vittima di un attentato. “Non vedo ragione per cambiare politica – ha dichiarato Ueda, ex compagno di studi di Mario Draghi in Usa, alla vigilia del primo vertice della Boj in programma giovedì e venerdì. “Al momento – ha spiegato in Parlamento – l’inflazione tendenziale è inferiore al 2%. Perciò ha senso mantenere l’allentamento monetario“. 

Buffett fa rotta sul Giappone

Una risposta che non impedisce ai più navigati marpioni della finanza mondiale di far rotta verso il Kabuto-cho, la Borsa di Tokyo trascurata per anni perché considerata poco più di una succursale della banca centrale che, a forza di comprare titoli, controlla oggi quasi il 75% del mercato. Quasi all’improvviso, la Borsa giapponese è entrata a sorpresa nei radar di Berkshire Hathaway, la conglomerata di Warren Buffett che ha rafforzato la quota controllata nelle cinque grandi società di trading del Sol Levante. 

Non solo. Il “saggio di Omaha” si è recato di persona in Giappone in vista di nuove occasioni d’affari. Come è già successo. Ma non spesso, in passato perché i grandi affari di Buffett fuori dagli Stati Uniti si contano sulle dita d’una mano: Byd, il colosso dell’auto elettrica cinese, l’acciaio della coreana Posco, la francese Sanofi piuttosto che la britannica Tesco o i colossi delle riassicurazioni Munich Re e Swiss Re. 

Stavolta tocca al Giappone secondo la regola di sempre: “meglio comprare un’eccellente società ad un buon prezzo piuttosto che una buona società ad una quotazione eccellente”. Ovvero, in questo momento il listino di Tokyo dispone di buoni titoli ad un prezzo interessante. Per carità, non è detto che Buffett abbia per forza ragione, anche perché l’indice veleggia sui massimi da otto mesi. 

Anche Citadel e Capital Advisors puntano sul Giappone

Ma è un fatto che l’affondo di Buffett non è isolato. La settimana scorsa ha aperto bottega a Ginza, nel cuore della City, il fondo Citadel di Ken Griffin, il gestore che ha sbancato Wall Street con la sua performance stellare nel 2022: 16 miliardi di dollari. E non c’è il due senza il tre. Le cronache segnalano il ritorno in Giappone di Stephen Cohen, non meno leggendario gestore di Capital Advisors, proprietario dei New York Mets (baseball), sopravvissuto dopo penali miliardarie ad un’inchiesta di insider trading. Lui, che in passato ha chiuso la filiale di Tokyo per i risultati deludenti, ha deciso di tornare sui suoi passi.

Perché? Torniamo alle parole del neogovernatore Ueda.” Al momento – ha detto in Parlamento – non posso dire come potrà essere avviata l’exit strategy”

In sostanza il cambio di passo avverrà quando l’inflazione “cattiva” importata con i prezzi dell’energia, avrà ceduto il passo ad un’inflazione “buona” legata all’aumento della domanda. Ovvero, il processo rischia di essere lungo ed irto di difficoltà, anche perché le strategie di carry trade basate sui prestiti in yen a tassi infimi per sostenere gli acquisti in azioni e bond in Usa ed eurozona sono ben radicate. 

Il Giappone vuole ripartire

Ma la scelta del premier Kishida di rimettere il Giappone in condizioni di ripartire è ormai cosa fatta. Il Sol Levante, frenato dalla crisi della globalizzazione e dal confronto sempre più conflittuale con la Cina, dovrà puntare di meno sul contributo dell’export, ma contare di più sull’espansione dei consumi interni. Per questo il governo ha spinto le imprese, gonfie di liquidità raccolta a basso costo, ad aumentare in maniera sensibile i salari a partire dalle società più importanti, da Toyota ad Uniqlo, anticipando le stesse richieste sindacali. Non a caso, la prima vera verifica per l’aumento dei tassi di mercato è prevista in estate, quando si capirà se la svolta delle buste paga avrà convinto i giapponesi ad uscire dal clima di sfiducia che appesta il Paese, vittima della deflazione, da una generazione. E, naturalmente, verificare se il tessuto delle piccole imprese saprà tenere il passo. 

Agli occhi degli investitori occidentali la scommessa sulla finanza di Tokyo (e non solo) si accompagna soprattutto ad un altro fenomeno: la de-dollarizzazione, ovvero la convinzione condivisa dalla maggioranza dei gestori interpellati in un sondaggio di Bloomberg per cui entro dieci anni il dollaro rappresenterà meno del 50 per cento delle riserve mondiali. Può darsi che la tendenza acceleri, come auspica il presidente del Brasile Lula, che a Shanghai ha invocato la fine dell’egemonia del dollaro. Oppure, come avvenne all’inizio degli anni Ottanta, il biglietto verde si riprenderà. Intanto, però, perché non puntare un chip sulla valuta giapponese che sembra destinata a salire assieme all’inevitabile crescita dei tassi? Il Giappone, tra l’altro patria di una delle industrie del gioco più forti del pianeta, giustifica la scommessa. 

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Categories: Finanza e Mercati