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FOCUS BNL – Banche europee: tre ragioni che rendono urgente il cambiamento

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Le banche europee si avviano a chiudere un anno decisamente impegnativo. Il deterioramento congiunturale ha condizionato il consuntivo economico. Parallelamente più intenso e urgente è divenuto il processo di aggiustamento al nuovo assetto del mercato.

Tre sono i principali fattori che spingono le banche verso una profonda trasformazione: la sfavorevole evoluzione della congiuntura economica; il processo di riscrittura delle regole finanziarie internazionali, processo che ha compiuto nel 2012 ulteriori passi in avanti, in alcuni casi entrando nella fase attuativa; di significativo rilievo, infine, la negativa prospettiva per alcuni importanti comparti di attività, evoluzione che appare per molti aspetti strutturale.

La densità dei problemi e gli spazi per i possibili aggiustamenti variano sensibilmente da paese a paese, in gran parte a causa della diseguale gravità delle ferite prodotte dalla crisi finanziaria apertasi a metà 2007, crisi che in alcuni paesi si è combinata con lo scoppio di una bolla immobiliare. In molti paesi diventa sempre più netta la separazione tra le realtà aziendali costrette ad un forte processo di ridimensionamento e il resto del sistema che, pur con difficoltà, sembra comunque in grado di avviare i necessari processi di trasformazione. Analogie e differenze emergono nell’esperienza di Regno Unito, Germania e Paesi Bassi.

Le banche europee si avviano a chiudere un anno decisamente impegnativo. Da un lato il deterioramento congiunturale ha condizionato il consuntivo economico, dall’altro lato più intenso e urgente è divenuto il processo di aggiustamento al nuovo assetto del mercato.

Non brillante il consuntivo dei primi nove mesi 2012

Il consuntivo dei primi nove mesi dell’anno in corso si presenta di complessa lettura. In un campione di 18 tra le maggiori banche del Vecchio Continente, solo sei gruppi risultano aver registrato un incremento del risultato netto rispetto al corrispondente periodo del 2011. Dei sei miglioramenti, uno (Unicredit) è dovuto al venir meno di un onere una tantum registrato l’anno precedente mentre in un altro caso (Lloyds Banking Group) il progresso è comunque insufficiente ad evitare una nuova perdita di esercizio. La flessione dell’utile netto per l’intero campione è pari in media al 37% ma se si escludono i sei gruppi bancari che hanno registrato un miglioramento del risultato contabile la flessione risulta pari al 67%.

È tuttavia indispensabile sottolineare che il consuntivo di questa parte del 2012 risulta fortemente e negativamente condizionato dall’applicazione della fair value option3, una procedura contabile che nel 2011 aveva invece consentito un sostanziale miglioramento del risultato finale. D’altra parte però lo scorso anno molte banche del campione avevano dovuto svalutare i titoli greci con un onere complessivo pari a €9,1 mld.

Guardando alle poste del conto economico che più direttamente riflettono l’andamento dell’attività operativa si può rilevare che la contenuta flessione dei ricavi (-1,8% a/a, pari a €6,1 mld) ha trovato parziale compensazione nella diminuzione delle perdite su crediti (-4,5%, pari a €2,5 mld), un miglioramento questo cui sono rimaste estranee le banche italiane, spagnole e olandesi.

I fattori che rendono urgente il cambiamento

A sollecitare un rilevante impegno delle banche europee nel 2012 sono stati soprattutto tre problemi. Il primo è rappresentato dall’evoluzione della congiuntura economica nel vecchio continente: se alla fine del 2011 si ipotizzava l’avvio di una moderata ripresa (+1%) il consuntivo che si profila per l’anno in corso è di qualità ben diversa (-0,5%). Secondo Eurostat, nel terzo trimestre 2012 il tasso di crescita tendenziale è risultato negativo in 15 dei 27 paesi della Ue, 11 dei quali appartenenti all’area euro.

In secondo luogo, il processo di riscrittura delle regole internazionali ha compiuto nel 2012 ulteriori passi in avanti, in alcuni casi entrando nella fase attuativa. Tra i passaggi completati si deve ricordare l’entrata in vigore a gennaio della cosiddetta normativa Basilea 2.55 che ha accresciuto la dimensione degli attivi ponderati in modo molto diverso: in misura importante nei paesi in cui l’intermediazione finanziaria è componente rilevante dell’attività dei grandi gruppi bancari (+18% in Svizzera, +11% in Germania); in modo contenuto, invece, dove le banche risultano prevalentemente impegnate nell’attività di prestito (+3% in Italia).

A giugno 2012 si è poi concluso il rafforzamento patrimoniale richiesto dall’European Banking Authority (EBA) con l’obiettivo di posizionare il Core Tier 1 di tutti i maggiori gruppi europei ad un livello non inferiore al 9%, assumendo la situazione del portafoglio di titoli sovrani in essere al 30 settembre 2011. Al termine della prima fase (dicembre 2011) 27 dei 71 gruppi considerati sono risultati incapaci di raggiungere la soglia minima e conseguentemente invitati ad adottare entro giugno 2012 opportuni provvedimenti per colmare il deficit patrimoniale. A luglio 2012 tutte le banche (tranne quattro) risultano aver raggiunto l’obiettivo, nell’insieme eccedendo anche l’iniziale richiesta dell’EBA (€115,7 mld rispetto ai €76 mld inizialmente stimati come minimo necessario). Questo rafforzamento è stato realizzato per quasi tre quarti accrescendo direttamente la dotazione patrimoniale6 e per il resto (28%) attraverso interventi più direttamente riferibili all’attivo ponderato.

Il rafforzamento patrimoniale richiesto dall’EBA in larga misura anticipa l’avvio delle regole di Basilea 3, per le quali tuttavia si ipotizza un rinvio rispetto alla data già fissata (inizio 2013).

Il terzo tipo di circostanze che impone una profonda revisione del profilo operativo è costituito dall’evoluzione sfavorevole di alcuni comparti del mercato, un’evoluzione cui non sono estranee le circostanze appena richiamate (andamento della congiuntura economica, riscrittura di importanti parti della normativa finanziaria). Si tratta, quindi, almeno in parte di un fenomeno di natura strutturale. L’esempio più immediato in proposito è la forte flessione dell’attività di investment banking, attività che ha contribuito nel recente passato a determinare circa metà (in alcuni casi anche di più) dei ricavi totali di alcuni importanti gruppi europei (Crédit Suisse, Deutsche Bank, Barclays, etc). In termini occupazionali il processo di ridimensionamento di questo comparto è arrivato in prossimità del 10%, con la percezione non solo di un ulteriore possibile aggravamento ma anche di una sua natura prevalentemente strutturale.

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