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Eni, presunte tangenti per petrolio in Nigeria: indagato l’ad Descalzi

Inizia male l’avventura del successore di Paolo Scaroni al vertice di Eni: il nuovo amministratore delegato Claudio Descalzi, a pochi mesi dalla nomina, è già investito da una pesante inchiesta giudiziaria tra Milano e Londra. Il numero uno della prima società per capitalizzazione italiana è indagato dalla Procura lombarda (insieme al nuovo capo della divisione Esplorazioni del colosso petrolifero, Roberto Casula) per l’ipotesi di reato di corruzione internazionale di politici e burocrati in Nigeria. 

Il quadro affiora dalle carte con le quali ieri la «Southwark Crown Court» di Londra, accogliendo una indicazione che si ignorava fosse stata rivolta nelle scorse settimane dall’autorità inquirente italiana, ha sequestrato in via preventiva all’intermediario nigeriano Emeka Obi due depositi anglo-svizzeri di 110 e di 80 milioni di dollari: un quinto del prezzo di 1 miliardo e 90 milioni di dollari che l’Eni nel 2011 (con Paolo Scaroni amministratore delegato e Descalzi capo della divisione Oil) pagò al governo di Lagos per rilevare dalla società nigeriana Malabu la concessione di Opl-245, sigla del campo di esplorazione petrolifera la cui concessione nel 1998 l’allora ministro del Petrolio nigeriano Dan Etete si era autoassegnato (dietro prestanome della società Malabu) al saldo di 20 milioni.

Ora Londra ha convocato per lunedì prossimo una udienza alla quale potrà intervenire chi ritenga di avere titolo sui 190 milioni in sequestro. Sinora la posizione di Eni è quella cristallizzata nelle assemblee e in una audizione di Scaroni in Senato: “Totale correttezza, perché come sempre non abbiamo dato una lira a nessuno, non abbiamo usato intermediari, e abbiamo fatto la transazione solo con lo Stato nigeriano”. 

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