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Dijsselbloem non lascia la poltrona

Non vuole nemmeno sentir parlare di dimissioni. Anzi, con questa mossa conta probabilmente di prolungare la sua permanenza alla guida dell’Eurogruppo. Ecco perché Jeroen Dijsselbloem, dopo aver offeso i paesi del sud Europa paragonandoli a dei viziosi che «spendono tutto in alcol e donne », non si scusa neanche.

A sua discolpa, l’olandese produce solo giustificazioni: «Mi dispiace se qualcuno si è offeso per le mie affermazioni – dice – Sono stato diretto e può essere spiegato con la rigida cultura calvinista olandese, con la franchezza olandese. Capisco che questo non sempre è ben compreso e apprezzato in altre parti d’Europa. Apprendo la lezione. Al tempo stesso ritengo di essere apprezzato per il mio stile e per affrontare tutti i ministri con un certo rigore. Se la gente si offende, mi dispiace. Ma non ho intenzione di dimettermi».

Parole che non bastano ad arginare la valanga di richieste di dimissioni piombata ieri numero uno dell’Eurogruppo. Esponenti del Pse come il premier portoghese Antonio Costa e il leader del Pd Matteo Renzi gli hanno chiesto di lasciare l’incarico, ottenuto peraltro come loro compagno di partito e poi gestito in piena sintonia con la linea dell’austerità imposta dalla Germania. Non a caso, oltre al premier olandese – il liberale Rutte – l’unico politico europeo di primo piano ad assolvere Dijsselbloem è stato il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble.

Può sembrare un paradosso, visto che sulla carta Dijsselbloem è un laburista. In realtà proprio la disfatta del suo partito alle recenti elezioni olandesi aiuta a comprendere il quadro d’insieme. Dopo il crollo di consensi in patria, è probabile che Dijsselbloem non sarà confermato ministro delle Finanze e perciò dovrà abbandonare l’Eurogruppo. Il destino sembra segnato, ma lui non si arrende. Spera di rimanere in sella perlomeno durante i mesi che Rutte impiegherà a creare un nuovo governo. E magari anche oltre, con l’aiuto di Berlino.

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