Con l’intesa raggiunta tra Stati Uniti e Unione europea sui dazi commerciali, si allenta – almeno temporaneamente – la tensione tra le due principali economie dell’Occidente. L’accordo prevede un’imposizione del 15% su gran parte dei beni europei esportati negli Usa, scongiurando l’inasprimento al 30% minacciato da Washington nelle scorse settimane. In cambio, l’Unione ha accettato di acquistare energia americana per 750 miliardi di dollari e di destinare altri 600 miliardi in investimenti diretti negli Stati Uniti. Una manovra complessa, che rassicura i mercati ma apre numerosi interrogativi sul piano politico ed economico.
Dal governo italiano è arrivata una reazione improntata alla prudenza. Da Addis Abeba, dove è in missione, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha espresso un cauto ottimismo: “Giudico positivo ci sia un accordo, ma non posso giudicare il merito se non conosco i dettagli”. In una nota ufficiale successiva, invece, Palazzo Chigi parla di “soluzione negoziata” che ha evitato “la trappola di uno scontro frontale” e di un risultato frutto di “lavoro di squadra tra istituzioni europee e Stati membri, inclusa l’Italia”. Il governo definisce la base dell’intesa “sostenibile”, ma a patto che il nuovo dazio al 15% non si sommi a quelli esistenti.
A fronte dei possibili impatti sull’economia nazionale, il governo ha già annunciato di essere pronto a intervenire: “continuiamo a lavorare a Bruxelles per rafforzare il Mercato Unico, semplificare le nostre regole, tagliare la burocrazia, diversificare le relazioni commerciali e ridurre le nostre dipendenze. Infine, siamo pronti ad attivare misure di sostegno a livello nazionale, ma chiediamo che vengano attivate anche a livello europeo, per quei settori che dovessero risentire particolarmente delle misure tariffarie statunitensi”.
Da ultimo il governo si dice pronto a “perseguire l’obiettivo di mantenere salda l’unità dell’Occidente, con la consapevolezza che ogni divisione ci renderebbe tutti più deboli ed esposti alle sfide globali”.
Dietro la facciata di unità, resta l’ambiguità su cosa realmente includa il compromesso. Il timore, non dichiarato apertamente, è che alcuni settori chiave del Made in Italy – dal vino alla moda – restino esposti a tariffe non più “minacciose” ma comunque penalizzanti.
Opposizioni all’attacco: “Trump ha vinto, l’Europa si è arresa”
Se da Palazzo Chigi prevale la prudenza, dall’opposizione piovono accuse dure. Per Giuseppe Conte (M5S) “ha vinto solo Trump, von der Leyen e Meloni ko”. Elly Schlein, leader del Pd, aveva già paventato “una fallimentare accondiscendenza” prima ancora dell’accordo; dopo l’annuncio, il suo partito parla di una “resa senza condizioni dell’Europa” che “costerà anche alle aziende italiane molti miliardi”.
Il dem Enzo Amendola bolla l’intesa come “una partita a golf che sarà ricordata come la più cara e disastrosa della storia”, mentre per Riccardo Ricciardi (M5S) si tratta dell’ennesima prova che “abbiamo l’Europa degli Stati Uniti”. Il tandem Fratoianni-Bonelli (Avs) denuncia “un atto di forza che mette in ginocchio l’economia dell’Ue”.
Più sfumata la posizione di Maurizio Lupi (Noi Moderati), che difende la scelta del compromesso: “troppo facile dire ‘facciamo il braccio di ferro’ quando in gioco c’è il futuro di imprese e famiglie”.
Le imprese: “Meglio del peggio, ma non basta”
Il giudizio delle imprese è sospeso tra sollievo e preoccupazione. “Non è il risultato ottimale, ma almeno l’incertezza è finita”, sintetizza Claudio Feltrin, presidente di FederlegnoArredo. Anche Confindustria riconosce che lo scenario è ora più chiaro, ma segnala potenziali danni: secondo una simulazione del suo Centro Studi, il nuovo assetto – combinato con un dollaro debole – potrebbe ridurre l’export italiano negli Usa di 22,6 miliardi.
I settori sensibili restano all’erta. “Il 15% è una soglia preoccupante”, avverte Giacomo Ponti, presidente di Federvini, che auspica “ulteriori margini di trattativa”. La componentistica e l’automotive beneficiano di un taglio dei dazi dal 27% al 15%, mentre per acciaio e alluminio non cambia nulla: resta la soglia punitiva del 50%.
A festeggiare, almeno per ora, sono i comparti ad alta intensità tecnologica. Dazi azzerati per aerei civili, robotica avanzata, semiconduttori e macchinari industriali. Ma anche qui le imprese invocano “misure di supporto” per compensare i costi dell’accordo.
Le reazioni dall’estero: “Un compromesso necessario, ma non risolutivo”
All’estero, la reazione dominante è la prudenza. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha parlato di “conflitto commerciale evitato”, soprattutto per il settore automobilistico tedesco, che vedrà i dazi dimezzati. Antonio Costa, presidente del Consiglio europeo, ha elogiato il compromesso come “protezione degli interessi fondamentali della Ue2 e stimolo alla competitività.
Ursula von der Leyen e Donald Trump si sono congratulati a vicenda per un accordo che “offre stabilità e chiarezza“, ma sono in molti a sottolineare che si tratta solo dell’inizio. “È solo un modo per limitare i danni”, ha dichiarato Manfred Weber (PPE), chiedendo di rilanciare nuovi accordi commerciali e riforme strutturali del mercato unico.
“Dobbiamo definire i dettagli il più presto possibile”, ha avvertito il premier olandese Dick Schoof. L’elenco delle esenzioni è ancora in evoluzione: aerei, farmaci generici, componenti per semiconduttori e alcuni prodotti agroalimentari beneficeranno di dazi zero, ma il destino di alcolici, cosmetici e beni di lusso, cruciali per l’Italia, resta incerto.
Italia tra stabilità e incognite: ora servono garanzie
Il compromesso tra Ue e Stati Uniti ha evitato il peggio. I dazi minacciati al 30% sono stati sostituiti da un più “digeribile” 15%, in cambio di maxi-acquisti energetici e investimenti europei negli USA, ma le incognite sono tutt’altro che dissolte.
L’Italia, con il suo export fortemente legato all’agroalimentare e al manifatturiero di qualità, rischia di pagare un prezzo più alto di altri partner europei. Vino, formaggi, moda, design: il tessuto produttivo italiano guarda a Bruxelles e a Palazzo Chigi aspettando risposte, e garanzie concrete. Perché l’intesa, seppur presentata come “un successo dell’unità occidentale”, non basta a mettere al riparo il Made in Italy. I dettagli – come spesso accade – faranno la differenza.