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DAL BLOG DI ALESSANDRO FUGNOLI – Petrolio, Ucraina, Grecia, T-bond, Borse e dollaro: che fare?

Petrolio. Il rimbalzo recente, che nel suo momento più alto è stato del 20 per cento rispetto ai minimi, non è il segno di un’inversione di tendenza. I tagli di produzione, che tanto hanno fatto sperare produttori e rialzisti, sono ancora insufficienti a frenare il continuo accumulo di scorte.

Letteralmente, non si sa più dove mettere il petrolio estratto. Chi compra futures sul greggio puntando su un rimbalzo deve anche considerare il forte vento contrario del contango. Ogni mese, solo per rinnovare la posizione, si perde più dell’uno per cento. In pratica, se fra un anno il greggio sarà del 15 per cento più forte di adesso, chi compra oggi un contratto sarà solo in pari. Questo vento contrario non può essere aggirato nemmeno comprando gli Etf. Chi sta al ribasso, ovviamente, ha il vento a favore ma dovrà stare attento a ricomprare al momento giusto, probabilmente verso metà anno.

Inflazione. Il petrolio debole ritarderà la ripresa dell’inflazione e manterrà viva la narrazione di un mondo stagnante e strutturalmente in deflazione. Sottotraccia, tuttavia, ci saranno da tenere d’occhio tre fattori. Il primo riguarda l’America e, in particolare, il suo costo del lavoro. Se dovesse accelerare, la Fed farebbe finta di niente per qualche mese, ma il mercato potrebbe innervosirsi. Il secondo riguarda l’Europa, dove la svalutazione dell’euro potrebbe sostenere i prezzi.
Il terzo è il petrolio, che a un certo punto invertirà davvero la direzione della sua corsa e tornerà a salire. Per il momento questi tre fattori sono lontani o non particolarmente rilevanti. Il Treasury decennale Americano, un bond ad alto rendimento se lo si paragona alla carta europea o giapponese, resterà ancora interessante, almeno per qualche mese. Non si dimentichi che i governativi lunghi americani sono anche la migliore polizza di assicurazione contro ribassi di borsa, incidenti geopolitici o turbolenze europee.

Ucraina. Il cambio di regime compie un anno. In questi dodici mesi la situazione è andata gradualmente ma continuamente peggiorando sul piano militare, economico e strategico. Il debito di Kiev ha ormai superato il 60 per cento del Pil e questo dà a Mosca, che a suo tempo aveva sottoscritto Eurobond ucraini, la facoltà di chiedere in qualsiasi momento il rimborso anticipato e spingere il paese verso il default. Una ristrutturazione dei bond ucraini appare sempre più probabile. Se il cessate il fuoco faticosamente concordato in queste ore non produrrà un risultato concreto in termini di federalizzazione dell’Ucraina, il conflitto continuerà a crescere d’intensità, si allargherà a tutta la costa settentrionale del Mare d’Azov e farà scattare altre sanzioni, sulle quali l’Europa si dividerà. Per il momento, nonostante i 40 miliardi che il Fondo Monetario ha messo a disposizione di Kiev, ci sembra prematuro assumere posizioni su asset russi o ucraini.

Grecia. L’aggressività di Tsipras e Varoufakis ha colto tutti di sorpresa. Da anni, tuttavia, giacciono nei cassetti studi di ogni genere su come risistemare il debito greco, riformare il fisco, deregolare e privatizzare. A chi volesse approfondire suggeriamo una visita al sito di Bruegel, un centro studi molto influente, che in questi giorni ha rinfrescato e aggiornato proiezioni e proposte molto dettagliate.

Sulla carta, dunque, non dovrebbe essere troppo difficile trovare un compromesso ragionevole. Ci potrebbero essere cambiamenti di facciata (l’Ocse al posto della Troika) un prestito ponte (concesso dal Fondo Monetario e non dall’Europa) un inasprimento fiscale per i greci più ricchi (anche se pochi di questi risiedono in Grecia) con qui finanziare un po’ di spesa sociale. Ci sarebbero poi un ammorbidimento sui tempi di raggiungimento degli obiettivi di avanzo primario, un abbassamento ulteriore degli interessi che la Grecia paga all’Europa e un altro spostamento in avanti delle scadenze del debito. Alla fine Tsipras si porterebbe a casa un discreto pacchetto di concessioni senza costringere l’Europa ad abiurare i suoi principi e il suo miliardo di regole. Per quanto formalmente ineccepibile, un compromesso del genere rappresenterebbe comunque una vittoria politica di Tsipras e una sconfitta della Merkel. Per questa ragione Tsipras, il suo pacchetto, se lo dovrà sudare. La Merkel cercherà di logorarlo, di prendere tempo, di passare le elezioni locali in programma in Germania nelle prossime settimane (a partire da domenica nella rossa Amburgo) senza cedere troppi voti ad Alternative für Deutschland. Alla fine, quando la Grecia sarà uscita dalle prime pagine dei giornali, arriverà l’accordo. Sarà da tenere d’occhio con molta attenzione la proposta, per il momento ritirata da Varoufakis, di indicizzare il valore nominale del debito al Pil greco. È un’idea su cui Bruegel ha lavorato molto negli ultimi anni, non solo per la Grecia ma per mezza Europa, Francia inclusa. A favorire la linea temporeggiatrice della Merkel c’è anche la grande compostezza dei mercati, sostenuta a sua volta dal Qe europeo. I mercati tranquilli indeboliscono molto il potere contrattuale di Tsipras, che da leader carismatico si rafforza in situazioni drammatizzate.

Borse europee. Finché Ucraina e Grecia rimangono due crisi ancora circoscritte, la scelta strategica di sovrappesare l’azionario europeo non è in discussione. Si tratta però di dosare bene l’esposizione. È inutile negare che esistono rischi di coda, bassi ma potenzialmente pericolosi, sull’uno e sull’altro fronte. Il 2015 può dare buone soddisfazioni a condizione di non volere strafare. Borsa americana. Gli utili non aumentano più e i margini sono sotto pressione. Molti commentatori sottolineano giustamente la robustezza della crescita e la forza del mercato del lavoro ma talvolta si dimentica di considerare l’aumento della pressione fiscale sulle imprese e il fatto che il lavoro è anche un costo. Per il 2015 si profila quindi un andamento laterale. Il petrolio debole significa che l’energia va ancora evitata. Al contrario, rimangono interessanti auto, line aeree ed elettronica di consumo. Dollaro. La fase laterale è destinata a continuare fino al momento in cui i tassi americani saliranno sul serio. Per il momento l’America deve assorbire la perdita di competitività nei confronti del resto del mondo.

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