X

Da Amato a Letta, i governi nascono alla Scuola Superiore Sant’Anna: i segreti del suo successo

C’è chi, fin dal primo momento, ha chiamato il governo Letta  “il governo del Sant’Anna”. E il settimanale L’Espresso ha appena dedicato un ampio servizio al trionfo della Scuola Superiore Sant’Anna e del suo famoso Collegio titolandolo “Pisa caput mundi”. In effetti per il Sant’Anna il risultato dell’avvio di questa tormentata legislatura è stato strepitoso: Enrico Letta, pisano e già allievo del Sant’Anna, presidente del Consiglio e Maria Chiara Carrozza, docente di bioingegneria industriale e Rettore del Sant’Anna nuovo ministro dell’Università e della Ricerca. Chissà che cosa sarebbe successo se un altro personaggio di primissimo piano del Sant’Anna come Giuliano Amato fosse diventato Presidente della Repubblica.  “La nomina di Letta a Presidente del Consiglio e quella della Carrozza a ministro è un po’ il riconoscimento dell’eccellenza del Sant’Anna e di ciò che rappresenta nel panorama italiano” commenta con soddisfazione Riccardo Varaldo, economista insigne e già Presidente della Scuola Superiore Sant’Anna. Non è la prima volta in assoluto che questo succede, perché già in passato almeno una decina di ministri veniva da quello straordinario laboratorio di classe dirigente che è il Sant’Anna: dallo stesso Amato ad Antonio Maccanico e a Sabino Cassese per non dire di Paolo Emilio Taviani, Ferrari Aggradi e di Pieraccini nei lontani anni sessanta.  “Però – aggiunge Varaldo – le novità non sono solo la nomina di un premier e di un ministro che vengono dalle nostre file ma altre due: per la prima volta finisce l’egemonia della giurisprudenza e non è casuale che le due personalità di governo che escono dal Sant’Anna vengano dalle scienze politiche (Letta) e da quelle tecnologiche (Carrozza).  Ma poi – e questa sì è una novità assoluta – c’è la parità di genere visto che per la prima volta il Sant’Anna offre al governo  una donna, di grande preparazione. Anche per questi aspetti vuol dire che la Scuola è perfettamente in linea con i tempi”.

Ma qual è la formula magica che fa della Scuola Superiore Sant’Anna, che ha solo 25 anni, come Istituzione universitaria autonoma e del suo Collegio, che è invece nato nel 1920, la palestra della classe dirigente italiana? Ecco che cosa risponde Varaldo, che è  stato a lungo Presidente del Sant’Anna, a FIRSTonline.

FIRSTonline – Professor Varaldo,  ci svela il segreto del successo del Sant’Anna?

VARALDO – Penso che gli ingredienti del successo della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che ne fanno un unicum in Italia, siano almeno tre: la governance, la selezione e il collegio.  Prima di tutto, tra le Università e le Scuole superiori, il Sant’Anna è l’unico istituto pubblico in Italia ad avere una governance duale: questo modello di governo, che introducemmo nel 2004, assicura una feconda dialettica tra il Presidente, che ha compiti più istituzionali e di alta rappresentanza, e il Rettore, che gestisce l’attività accademica, e soprattutto offre la possibilità di coniugare la massima autonomia con la massima apertura verso il mondo esterno e verso l’internazionalizzazione, senza arroccamenti e senza tentazioni autoreferenziali. Non è un caso che questo tipo di governance sia tipico delle migliori università degli Stati Uniti e di altri Paesi, tra cui la Cina, e che in Italia si ritrovi in Bocconi e Luiss, due Istituzioni universitarie di eccellenza.

FIRSTonline – Poi però ci sono altri elementi che fanno diverso il Sant’Anna e che contribuiscono alla sua affermazione: Lei ne accennava altri due.

VARALDO – Esattamente.  Il primo riguarda la fortissima selezione all’ingresso sia per i corsi di laurea che per i master, i dottorati di ricerca ed ogni altro tipo di corso. Consideri che su mille candidati, le matricole che vengono annualmente accolte dopo prove molto impegnative non sono più di 50 o 60: siamo a livelli di selettività più alti  di Harvard.  Ma questo facilita il nostro compito:  potendo contare su una comunità di studenti eccellenti e molto motivati, siamo già a metà dell’opera ed è più facile sensibilizzare e valorizzare veri talenti che non erogare corsi in modo indistinto. Ma c’è un terzo atout che offre il Sant’Anna.

FIRSTonline – Quale, professore?

VARALDO – La peculiarità, per dir così, del processo educativo del Sant’Anna e cioè il fatto di essere una università residenziale. Gli studenti, che in gran parte non sono pisani, risiedono nei Collegi Sant’Anna – con una dotazione complessiva di trecento posti letto – fanno vita in comune e vivono collegialmente la loro formazione e crescita educativa.  Il Collegio è un elemento fondamentale nella formazione dei giovani perché li obbliga al confronto e li spinge al dialogo ricevendo tutti i vantaggi della contaminazione dei e tra i saperi.  Ma soprattutto la vita collegiale favorisce l’apertura mentale e fa emergere le capacità di leadership.

FIRSTonline – Forse non è casuale che il Presidente del Consiglio Enrico Letta, allievo doc del Sant’Anna, usi spesso la parola “Insieme”.

VARALDO – Penso che sia il frutto anche della sua esperienza formativa al Sant’Anna, così come a mio parere è anche il fatto di aver battezzato il Suo come un “Governo al servizio del paese”. Chi studia, chi insegna, chi lavora al Sant’Anna sente molto un senso di responsabilità sociale che lo porta a capire ciò che il Paese si attende dal Sant’Anna in quanto centro di formazione dell’eccellenza. Ma, mi lasci dire, che il Sant’Anna ha altre peculiarità, oltre a quelle principali appena elencate, che rafforzano le basi del suo successo.  La prima di queste è la capacità non solo di fare ricerca ma di saperla applicare. Il Sant’Anna è una straordinaria fabbrica di sapere e di conoscenza ma anche di capacità di impiego delle conoscenze nei vari campi delle istituzioni, della società, dell’economia e delle imprese.  Noi andiamo in controtendenza rispetto al Paese.

FIRSTonline – In che senso?

VARALDO – Si si fa un confronto internazionale l’Italia è ai vertici nella produzione di pubblicazioni scientifiche ma da anni è agli ultimi posti  in Europa e nel mondo avanzato per innovazione: cioè produce ma non utilizza conoscenze scientifiche. Al contrario, il Sant’Anna produce conoscenze e le trasforma in idee innovative, progetti e tecnologie  sia attraverso collaborazioni su scala regionale, nazionale e internazionale sia anche attraverso la nascita e la promozione di start up, che trovano qui un terreno fecondo. Ecco perché chi si forma al Sant’Anna non riceve una preparazione astratta ma ha gli strumenti per sapersi muovere nella società e nel campo del lavoro e delle professioni.

FIRSTonline – Il modello del Sant’Anna  è replicabile in altre parti d’Italia?

VARALDO – A certe condizioni, penso di sì e infatti ci sono stati e ci sono diversi tentativi di imitazione. Certamente abbiamo fatto scuola e con la trasformazione avviata dalla metà degli anni ’90 siamo diventati un modello di riferimento per le nuove Scuole superiori universitarie e post-universitarie.

FIRSTonline – Una delle critiche che solitamente si fa alla francese Ena è il classismo: chi è figlio di famiglie umili o di immigrati può arrivare al Sant’Anna?

VARALDO – Al Sant’Anna si entra per merito e non per censo e chi è figlio di famiglie umili ma ha qualità accertate può essere ospitato e formarsi gratuitamente al suo interno. Noi abbiamo sempre pensato al Sant’Anna come uno straordinario veicolo di mobilità sociale e come ambiente in grado di aprire percorsi di eccellenza a chi ha le qualità per affermarsi. Ma i nostri tempi lanciano nuove sfide e quella dell’inclusione dei figli degli immigrati è certamente tra le più importanti. Qui però non possiamo partire dalla coda: l’esclusione di giovani immigrati di valore non avviene solo a livello universitario, ma prima, nella scuola di base o nei licei: è lì che bisognerà incidere lanciando nuovi programmi di educazione e aprendo nuove frontiere.

FIRSTonline – Potrebbe essere un suggerimento anche per il governo Letta.

VARALDO –  Chissà che anche Enrico Letta e il ministro Carrozza non trovino la strada per diffondere lo spirito di eccellenza e di inclusione sociale del Sant’Anna, partendo dai livelli più bassi del nostro sistema formativo, per poi poter proseguire il cammino a livello universitario, anche e soprattutto con il nostro esempio. Come economista, preoccupato per le future sorti del Paese, mi auguro fermamente che si possa andare in questa direzione. Basti ricordare che l’Italia, data la sua struttura e dinamica demografica vedrà progressivamente calare il peso delle fasce giovanili, per cui in mancanza di meccanismi efficaci di integrazione, come ha osservato correttamente Ignazio Visco, “la dotazione di capitale umano del nostro paese rischia di essere ulteriormente penalizzata dal rapido aumento della quota di giovani con origini straniere che, sulla base delle proiezioni demografiche dell’Istat, si stima supererà il 30 per cento nel 2050”.

Related Post
Categories: News