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Corporate Bond: le big italiane sul mercato contro la crisi

FIRSTonline


La crisi economica innescata dal Covid-19 sta cominciando a palesarsi in tutta la sua gravità e i corporate bond sono diventati per molti big una delle vie per combattere la recessione.

Non c’è settore dell’economia italiana che non abbia sofferto e non stia soffrendo le conseguenze di una pandemia che ha fermato il mondo. Dal turismo all’auto, dalla manifattura al trasporto aereo, le perdite hanno già battuto qualsiasi precedente record e le imprese – grandi e piccole – cercano di rimettersi in piedi sfruttando tutti gli elementi a loro disposizione: dalla riduzione degli spread sostenuta dal bazooka della Bce, agli aiuti varati dal Governo tramite i vari decreti (Cura Italia, Rilancio e Liquidità).

Nel ventaglio di soluzioni, il posto d’onore spetta senza dubbio alle emissioni di corporate bond che nelle ultime settimane hanno subito una brusca accelerazione, toccando livelli mai visti prima. Le grandi imprese cercano di finanziarsi sul mercato, chiedendo agli investitori la liquidità necessaria per andare avanti e, nello stesso tempo, provando a cautelarsi nel caso in cui una seconda ondata di contagi dovesse nuovamente travolgere il Paese, con conseguenze ancora più pesanti per l’economia.

CORPORATE BOND: TUTTI I BIG SUL MERCATO

Fino a pochissimo tempo fa, il 2019 veniva descritto come “l’anno dei record” per i corporate bond. Lo scorso anno le aziende italiane hanno collocato sul mercato obbligazioni per 27,4 miliardi di euro, una cifra che rappresenta una crescita del 79% rispetto al 2018.

Nei primi sei mesi del 2020 il valore delle emissioni ha già toccato quota 14,5 miliardi di euro e il secondo semestre si è aperto con tre colossi di Piazza Affari che hanno annunciato l’emissione di obbligazioni societarie. Nel dettaglio, il 1°luglio Leonardo ha collocato sul mercato 500 milioni di nuovi bond con scadenza gennaio 2026 e cedola a tasso fisso del 2,375%, Inwit ha debuttato nel mercato dei capitali con obbligazioni per 1 miliardo di euro con scadenza fissata nel luglio del 2026, mentre Erg ha approvato il rinnovo del programma di emissioni di prestiti obbligazionari non convertibili a medio lungo termine, aumentando l’importo massimo complessivo a 2 miliardi di euro. 

Il giorno prima – era il 30 giugno – a destare scalpore sui mercati era stato l’annuncio di Fiat Chrysler che ha deciso di rivolgersi agli investitori con un bond in euro in tre tranche dal valore complessivo di 3,5 miliardi di euro e cedole comprese tra il 3,375% e il 4,5%. Le richieste hanno superato di tre volte l’offerta, attestandosi a 9,5 miliardi di euro. A precedere di una settimana Fca è stata Ferrari che ha piazzato con successo un bond da 650 miliardi (erano 500, ma date le richieste l’importo è stato aumentato) con rendimento 1,5%, 

La lista dei collocamenti è lunga e variegata e spazia dalle utilities (non solo Erg, ma anche Italgas e Snam) alle assicurazioni (con Generali che ha annunciato il riacquisto di tre titoli subordinati e il lancio del secondo green bond), passando per i petroliferi (lo scorso 11 maggio Eni ha emesso due obbligazioni a tasso fisso con durata di 6 e 11 anni per un totale di 2 miliardi) e le banche (Unicredit ha emesso un bond subordinato Tier 2 destinato a investitori istituzionali per un ammontare totale di 1,5 miliardi di dollari ricevendo richieste per 5,5 miliardi).

PROSPETTIVE PER IL 2020

Il 2020 sarà dunque il nuovo “anno record” per i corporate bond italiani? Non è detto. Nel primo semestre a favorire la corsa ai bond hanno inciso diversi elementi, tra cui soprattutto il restringimento dello spread dei titoli di Stato nostrani favorito dagli ingenti stimoli della Bce. Secondo i dati di Borsa Italiana, il 2 luglio il differenziale tra btp decennali e bund tedeschi si attesta a quota 168 punti base, ai minimi dal 5 giugno. 

Nel secondo semestre però la situazione potrebbe essere diversa. La morsa della crisi potrebbe diventare ancora più stretta influendo sensibilmente sulla posizione debitoria delle aziende e quindi sui loro rating. “Le emissioni societarie di debito investment grade e high yield rimarranno contenute – si legge in un report di Unicredit Research – dal momento che le politiche aziendali sono focalizzate sulla salvaguardia della liquidità, meno degli investimenti”. 

UNO SGUARDO AGLI USA

Il fervore sui bond societari non è una caratteristica solo italiana. Anche all’estero i movimenti cominciano ad essere rilevanti. Basti pensare che due settimane fa Amazon ha collocato bond per 10 miliardi di dollari a un tasso dello 0,4%, il rendimento più basso mai registrato nella storia delle obbligazioni corporate americane, di appena due decimi di punto superiore a quello garantito dai titoli di Stato della stessa scadenza emessi a maggio da Tesoro Usa. Per ritrovare un livello simile occorre tornare indietro di quasi otto anni, quando la Federal Reserve decise di portare il costo del denaro a zero per favorire la ripresa dell’economia alle prese con la crisi dei subprime. Ebbene nonostante il rendimento esiguo, la domanda ha superato di tre volte l’offerta, segno del fatto che il mercato, con la pandemia di Covid-19 che negli Usa non si è ancora placata, cerca “porti sicuri” in cui far confluire il proprio denaro.

Non solo, a favorire il successo del bond Amazon è stata ancora una volta la banca centrale americana che ha cominciato ad acquistare corporate bond nell’ambito di un piano straordinario da 750 miliardi di dollari lanciato lo scorso 16 giugno. L’istituto ha già cominciato il shopping di obbligazioni societarie, che continuerà anche nei prossimi mesi, e martedì ha reso noto di aver comprato titoli di 86 società (su 750 ammesse) per un ammontare totale di 429 milioni. Tra esse spiccano big del calibro di Apple, Coca Cola, AT&T, Exxon, Walmart, Microsoft, Pfizer, General Motors, Ford, Philip Morris, Berkshire Hathaway Energy, Toyota, Volkswagen e Daimler.

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