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Borse America Latina: Argentina in rally malgrado l’inflazione record, Lula non scalda il Brasile, il Messico corre

Pixabay

L’America Latina è – come quasi sempre – in una fase di grande fermento politico, col ritorno delle sinistre al potere nella maggior parte dei Paesi negli ultimi anni (anche se in Paraguay hanno appena vinto i conservatori e in Perù il sindacalista Castillo è già stato destituito) e due eventi in particolare che stanno segnando il 2023: il ritorno di Lula alla guida del Brasile e l’addio del presidente argentino Alberto Fernandez, che ha già annunciato che non si ricandiderà alle elezioni del prossimo autunno. E dal punto di vista finanziario, invece, quale è stata la risposta dei mercati a tutti questi eventi nel primo quadrimestre dell’anno? Le Borse delle principali economie dell’area non registrano particolari scossoni, a parte il paradosso della Borsa di Buenos Aires che mentre il Paese va in frantumi, prosegue il rally iniziato lo scorso anno.

Brasile: finisce la Luna di miele con Lula, Bovespa -5% da inizio anno

Partiamo dalla prima economia del continente, che ha anche l’indice di Borsa con il valore di capitalizzazione più alto: il Brasile. Nonostante i mercati premessero per il ritorno dell’ex presidente Lula, la luna di miele è durata poco, dimostrando di fatto che la priorità era soprattutto di far fuori Bolsonaro: l’indice Bovespa di San Paolo era partito in crescita a gennaio, subito dopo l’insediamento del leader socialista (e nonostante il drammatico assalto alle istituzioni di Brasilia dell’8 gennaio), incappando però in una fase ribassista a marzo, dalla quale è risalito solo parzialmente nelle ultime settimane. La tendenza in questo inizio di maggio è di nuovo ribassista (il saldo dal 2 gennaio dice -5%): i mercati temono soprattutto le politiche molto espansive promesse e in parte già attuate da Lula, oltre che una crescita che sta ripartendo al rallentatore e soprattutto il grande spauracchio dell’inflazione, accompagnato dallo scontro ormai continuo tra il governo e la Banca centrale brasiliana, accusata di ritardare il taglio dei tassi d’interesse.

Questi ultimi infatti sono ancora alti, oltre il 13%, sebbene l’inflazione ad aprile sia scesa sotto il 5% dopo due anni, e secondo gli analisti potrebbe risalire ma non oltre il 6%. Gli stessi analisti, oltre che lo stesso presidente Lula (che polemizza su questo quasi ogni giorno) e gran parte del mondo imprenditoriale, stanno chiedendo a gran voce che la Banca centrale riduca i tassi: le previsioni del consensus sono di scendere intorno al 12%, ma per ora l’istituto finanziario (che fa capo al ministero delle Finanze e di cui ancora fanno parte i membri nominati da Bolsonaro) oppone resistenza, rivendicando la propria autonomia rispetto all’agenda politica. In questo scenario, il Brasile sta faticando a ritrovare la strada della crescita: l’aspettativa di aumento del Pil nel 2023 è di appena l’1%, in leggerissimo rialzo rispetto al +0,8% pronosticato a inizio anno.

Nel frattempo l’economia del Brasile si sta legando sempre di più all’agrobusiness (che ora vale il 25% delle esportazioni, rispetto al 6,6% del 2002, anno di inizio del primo governo Lula) e dunque alla Cina, che riversa investimenti in energia e infrastrutture in cambio della preziosissima soia e anche di carne bovina e altre materie prime. 

Per quanto riguarda la Borsa, in questa prima finestra di 2023 hanno retto bene le banche, nonostante il fallimento in stile Parmalat della catena di ipermercati Lojas Americanas, di cui si temeva un effetto domino che trascinasse in crisi gli istituti di credito. Invece i titoli bancari sono tra i migliori e è ripartito anche il credito, per la verità solo da parte degli istituti pubblici, come Banco do Brasil. Da segnalare invece il flop delle Ipo nel periodo pandemico: delle 65 aziende quotate tra il 2020 e il 2021, molte delle quali operanti in ambito tecnologico, solo 10 sono in rialzo, e diverse di loro hanno perso oltre l’80%. La colpa, secondo gli esperti, è di nuovo dei tassi troppo alti.

Argentina: inflazione a tripla cifra, ma la Borsa vola

Sempre molto difficile la situazione dell’Argentina. Dopo la bizzarra idea, peraltro già datata e cassata diverse volte, di creare una moneta unica di scambio col Brasile, Buenos Aires non riesce a liberarsi dall’incubo dell’inflazione, che nel 2022 ha registrato il massimo storico, eguagliando i livelli allarmanti dell’inizio degli anni 2000, quando ci fu la famosa crisi del corralito. Su base annua, oggi, il dato s’innalza in tripla cifra: 102,5%, praticamente i prezzi al consumo sono più che raddoppiati rispetto allo scenario già drammatico di 12 mesi fa. Il tutto mentre il tasso di povertà ha superato il 40% e il Paese continua a vivere a due velocità: chi può permettersi di vedere il proprio salario adeguato all’inflazione, come i dipendenti pubblici, è ancora in grado di sostenere i consumi interni e persino la crescita del Pil, che nel 2022 è salito del 5,2%, anche se nel 2023 secondo le stime dell’Fmi sarà inchiodato allo 0,2%, per poi risalire al 2% nel 2024.

La Borsa di Buenos Aires però ha iniziato bene il 2023, con una crescita del 39%, in scia ad un già brillantissimo 2022, anche se a ben vedere l’indice Merval ha chiuso lo scorso anno solare ancora sotto del 69% rispetto ai valori del 2018. Nell’ultimo periodo comunque l’Argentina, come anche il Cile, ha beneficiato del boom delle commodities dovuto alla guerra in Ucraina: i due Paesi, così come anche il Brasile, sono grandi esportatori di materie prime e infatti proprio i titoli minerari ed energetici sono saliti più di altri. Non è da escludere che la tendenza rialzista della Borsa di Buenos Aires sia pure da addebitare all’addio ormai certo del presidente Alberto Fernandez, che non si ricandiderà ad ottobre: la sua popolarità è ai minimi storici e le sue politiche populiste non sono mai piaciute alla comunità finanziaria, che scommette dunque su un ritorno dei liberali al governo.

Messico e Cile: +8% per la Borsa messicana, in parità quella di Santiago

La Borsa di Città del Messico, che tra il 2015 e il 2016 aveva persino superato quella di San Paolo come capitalizzazione, affermandosi temporaneamente come la principale dell’America Latina, da inizio anno ha guadagnato circa l’8%, nonostante un crollo in marzo e i malumori per le politiche decisamente troppo austere del presidente Andrés Manuel López Obrador, che ha anche provato con un colpo di mano a cambiare la Costituzione per ricandidarsi alle elezioni del prossimo anno, mettendo a rischio la tenuta democratica del Paese. Il referendum attraverso il quale ha provato ai bypassare la sua ineleggibilità non è passato, ma lui contravvenendo alla prassi sta forzando la nomina del suo successore, per dare continuità al suo potere.

Chiude invece il primo quadrimestre sostanzialmente sulla parità la Borsa di Santiago del Cile, che in generale continua la sua tendenza rialzista da quando è stato eletto, poco più di un anno fa, il giovane socialista Gabriel Boric. Nonostante le difficoltà di quest’ultimo, in particolare dopo la bocciatura del referendum che doveva approvare la nuova Costituzione, il mercato continua a dare fiducia ad un Paese in espansione e dal grande potenziale, che è uscito bene dalla pandemia (Pil +2,3% nel 2022), anche se per il 2023 l’Fmi prevede un rallentamento al -1,3%. Un dato comunque corretto in meglio rispetto alla precedente previsione di -1,9%. E dal 2024 l’economia cilena dovrebbe tornare a crescere almeno del 2,5%.

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