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Borsa: il Toro reagisce sperando negli eurobond ma la corsa del petrolio favorisce la stagflazione

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Tra strappi violenti ed improvvise prese di beneficio va in onda stamane il rimbalzo dei mercati europei, le prime vittime finanziarie della guerra in Ucraina. Corrono banche (Unicredit +7,6%) ed assicurazioni, riprende quota il settore utility, Piazza affari viaggia con un rialzo largamente sopra i due punti percentuali attorno a quota 22.700 punti (lunedì alle 12 l’indice oscillava attorno a quota 21 mila). Non meno importante la corsa all’acquisto dei Btp, in forte ascesa sui Bund, con relativa discesa dello spread a 147 punti.

 Una ripresa violenta, tanto quanto è stata pesante la fuga dei capitali verso i mercati Usa (7,6 miliardi di dollari a venerdì scorso) che ha provocato sia la frenata dell’euro sul dollaro che la discesa dei prezzi, sensibilmente caduti rispetto alle blue chips Usa: il 25% circa di valore in meno, uno sbilancio che si è visto solo nel 2011, ai tempi della crisi greca. Un rimbalzo che ha sia motivazioni tecniche che politiche ma che segna anche una prima risposta alle preoccupazioni sul futuro dell’economia europea, che si è ritrovata all’improvviso in prima linea nella trincea della crisi ucraina, ancor prima di archiviare l’emergenza Covid. Ma adesso? E’ il caso di far di nuovo rotta sui mercati europei? Oppure il Vecchio Continente è destinato ad infilarsi, a differenza dl Nord America, nel tunnel della recessione sotto la minaccia del caro energia? Proviamo a cercare una risposta.

La Borsa rimbalza ma l’Europa paga il rischio stagflazione

  1. E’ sintomatico che l’impennata delle Borse europee, Piazza Affari in testa, abbia coinciso con le indiscrezioni su un piano Ue per l’emissione di eurobond destinati a finanziare le spese su difesa ed energia dei Paesi dell’Eurozona. Il progetto, di cui si parlerà al prossimo vertice di Versailles, sarà un passo concreto per l’avvio di un coordinamento degli investimenti in materia di difesa ed energia, con un esplicito obiettivo di autosufficienza sui microchip ed il settore alimentare. La conferma, insomma, di un “momento Hamilton” della Ue che in una settimana ha infranto tabù che sembravano inossidabili, a partire proprio dagli Eurobond.
  2. La nota negativa sta nell’impatto sull’inflazione della politica espansiva che la Bce dovrà in qualche maniera promuovere controvoglia. Causa l’emergenza energia che incide in maniera assai diversa sulle due sponde dell’Atlantico. Gli Stati Uniti, non a caso, premono per il blocco immediato dell’import di petrolio dalla Russia, che rappresenta il 7% del mercato del Nord America. Un importo modesto che Washington potrebbe colmare o anche più con un accordo con il Venezuela con cui, a sorpresa, ha ripreso i contatti nello scorso week end con l’obiettivo di raffreddare i prezzi della benzina in Usa, condizione necessaria per sperare di vincere le le elezioni di mid term. Ancor più forte il divario con la Ue nel gas naturale, che abbonda nel Nord America mentre rappresenta il tallone d’Achille della Ue, Germania ed Italia in testa: dall’inizio della crisi con la Russia il prezzo è salito di 33 volte rispetto ai listini Usa.  
  3. La minaccia russa di un prezzo del petrolio destinato a salire fino a 300 dollari in caso di stop all’import spaventa così molto di più l’economia europea di quella americana. La Germania, che pure ha bloccato il gasdotto Nord Stream, inviato per prima armi a Kiev e votato il raddoppio della spesa militare, ha frenato sull’embargo totale del petrolio che metterebbe l’Europa in gravissime difficoltà. Mosca fornisce il 40% del gas all’Europa ed è il maggior esportatore di petrolio. Ma l’impatto della crisi contagia anche altre materie prime: la Borsa dei Metalli di Londra (Lme) ha sospeso le quotazioni del nichel, attualmente fermo a 48.078 dollari la tonnellata (+66,25%). Il metallo usato nella produzione dell’acciaio inox e per le batterie delle auto elettriche ha guadagnato fino al 111% nella seduta asiatica, arrivando a superare quota 100mila dollari la tonnellata.  
  4. Anche senza l’embargo sull’energia russa sono in molti ad esser convinti che l’Europa non possa sfuggire alla recessione. A partire dall’effetto stagflazione, cioè la combinazione tra mancata crescita economica e contemporaneo aumento dei prezzi, che ci riporta alla memoria gli anni Settanta, dopo la guerra del Kippur e l’esplosione delle quotazioni del petrolio. Anche allora il mondo si trovò a far fronte ad un aumento dell’inflazione da costi o “cattiva” da distinguere da quella “buona”, provocata dall’eccesso di domanda. In questo caso, si dice, “il rimedio ai prezzi alti è il rialzo dei prezzi” per frenare la domanda. Al contrario, l’iniezione di liquidità di fronte ad un’offerta anelastica si traduce solo in aumenti a danno dei consumatori. “Io non prevedo un boom dei consumi in presenza di una guerra”, aggiunge Luca Paolini di Pictet.  
  5. L’Europa finirà certamente in recessione? Non tutti sono così pessimisti. Oxford Economics prevede che l’aumento delle materie prime frenerà la crescita già prevista al 3,2% ma solo di un punto percentuale. La ripresa, come dimostrano i dati di gennaio della Germania resta solida e la ripresa degli investimenti consentirà di mantenere un ritmo sostenuto. A favorire un modesto ottimismo è la considerazione che il petrolio oggi ha un ruolo assai memo importante che nel 1973. Non solo. Le banche centrali hanno comunque armi sufficienti per contrastare la recessione. Purché no si facciano mosse sbagliate.
  6. In linea di massima si può prevedere, insomma, che l’effetto della guerra ucraina sarà, in media di un punto percentuale sulla crescita mondiale. Il peso maggiore cadrà sulle spalle dell’Europa, trarranno qualche beneficio i produttori dell’America Latina e dell’Africa. La recessione in Europa, dunque, è possibile ma non scontata. Soprattutto se aumenteranno gli investimenti nella difesa. Ahimè, causa Putin, l’invito è “togliete i fiori dai vostri cannoni”.
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