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ACCADDE OGGI – 75 anni fa l’Italia diventava una Repubblica

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Una scheda elettorale, due simboli: una corona per la Monarchia e una testa di donna con fronde di quercia per la Repubblica. Era il 2 giugno del 1946 e in Italia iniziava un referendum che si sarebbe concluso il giorno dopo, decretando l’inizio di una nuova era per un Paese uscito con le ossa rotte dalla Seconda guerra mondiale e dal ventennio fascista. Partecipò alla consultazione l’89% della popolazione avente diritto: il 54,3% pose una X sulla testa di donna e scelse la Repubblica, eleggendo parallelamente l’Assemblea Costituente che avrebbe avuto il compito di scrivere la nuova Costituzione. 

Un passaggio imprescindibile per la nostra Nazione che tutti noi abbiamo studiato sui libri di storia e che ogni anno celebriamo per ricordarci quello che era e non è più. Lo diamo ormai per scontato, ma alla vigilia del 2 giugno quel voto e quel risultato erano tutto meno che scontati. 

Il referendum del 2-3 giugno fu il primo voto dopo 22 anni di regime fascista. Non solo, per la prima volta nella nostra storia alle urne furono ammesse anche le donne. “Al seggio meglio andare senza rossetto alle labbra – scriveva il Corriere della Sera – Siccome la scheda deve essere incollata e non deve avere alcun segno di riconoscimento, le donnenell’umettare con le labbra il lembo da incollare potrebbero, senza volerlo, lasciarvi un po’ di rossetto e in questo caso rendere nullo il loro voto. Dunque, il rossetto lo si porti con sé, per ravvivare le labbra fuori dal seggio. Perché, come ha scritto Dorothy Thomson ‘non è azzardato affermare che saranno le donne a far pencolare la bilancia in favore della Monarchia o della Repubblica’”.

Unica condizione per votare era l’aver compiuto 21 anni, che all’epoca corrispondevano alla maggiore età. Due le schede elettorali a disposizione, la prima per scegliere quale forma di Stato avrebbe dovuto avere l’Italia, la seconda per eleggere i deputati dell’Assemblea costituente.  

Il clima era incandescente e le parti non si risparmiarono colpi bassi. Il più famoso avvenne poche ore prima dell’inizio del referendum. La notte tra il 1° e il 2 giugno, alle 2.20 del mattino dalla redazione dell’Ansa partì un dispaccio che violava il silenzio elettorale. Il mittente era il re in persona, quell’Umberto II che tre settimane prima era asceso al trono dopo l’abdicazione del padre Vittorio Emanuele III. “Italiani, vi dico solennemente che in caso di riaffermazione dell’istituto monarchico accetterò le responsabilità che ho assunte secondo la legge della successione, ma per quanto mi riguarda e mi compete, mi impegno ad ammettere che, appena la Costituente avrà assolto il suo compito, possa essere ancora sottoposta agli italiani, nella forma che la rappresentanza popolare volesse proporre, la domanda cui siete chiamati a rispondere il 2 giugno”, recitava il testo. 

Era un ultimo, disperato tentativo di ribaltare i pronostici, che nei giorni precedenti al referendum davano la Repubblica in vantaggio di pochi punti. 

Non ci riuscì. Gli italiani a cui Umberto II si appellava ne avevano viste troppe: dalla marcia su Roma alle leggi razziali, dalla “fratellanza” con Hitler all’arresto di Benito Mussolini nel luglio del 1943.

Vinse la Repubblica con 12,7 milioni di voti, oltre 2 milioni in più di quelli a favore della Monarchia. Nonostante il successo netto, i monarchici non si rassegnarono e chiesero il riconteggio. Ma i giochi erano fatti e il 13 giugno, ancora prima dell’arrivo dei risultati ufficiali, Umberto II lasciò l’Italia per rifugiarsi a Calais, in Portogallo, non prima però di aver fatto l’ultimo sgarbo: rifiutare di riconoscere la legittimità della Repubblica. 

L’esito del riconteggio arrivò 5 giorni dopo, il 18 giugno del 1946, quando la Corte di Cassazione pose fine al Regno d’Italia, dichiarando ufficialmente la nascita della Repubblica. 

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