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Abuso del diritto e revisione delle sanzioni prove d’esame per il Fisco del Governo Renzi

Il Fisco deve smettere di mostrarsi come nemico e ostile verso i contribuenti, di incutere solo timore – ha affermato Renzi nel suo discorso di insediamento -; deve porsi, piuttosto, al loro fianco per agevolarli nel corretto adempimento degli obblighi tributari. Durissimo – ha concluso – il Fisco dev’essere solo verso chi davvero commette reati.

Ancora più preciso è stato il ministro dell’Economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, al suo esordio nell’aula di Montecitorio. “Il primo obiettivo della legge delega – ha dichiarato – è di conferire stabilità e certezza al sistema fiscale. Eliminare l’incertezza è un elemento fondamentale perché, a parità di altre condizioni, favorisce l’adozione di un orizzonte temporale di più lungo periodo. Quindi, migliora l’attitudine a investire”. E ha proseguito segnalando i punti più qualificanti delle deleghe conferite al Governo: “la ridefinizione dell’abuso del diritto unificata a quella dell’elusione, la revisione delle sanzioni penali e amministrative, il migliore funzionamento del contenzioso, il miglioramento dei rapporti con i contribuenti secondo le linee della cooperative compliance, proposte dell’Ocse”.

In effetti, la delega sulla disciplina dell’abuso del diritto nonché quella per la revisione del sistema sanzionatorio appaiono fondamentali per segnare la nuova strada che il Fisco deve intraprendere nonché per realizzare un sistema tributario anche più attrattivo verso gli investimenti dall’estero.

La competizione tra gli Stati sul piano fiscale avverrà sempre meno attraverso la concessione di regimi agevolati, di favore e opachi. Le recenti evoluzioni dell’atteggiamento dei maggiori Stati verso i paradisi fiscali sta portando a un nuovo clima mondiale, nel quale l’efficacia dei sistemi tributari per favorire la crescita economica dei Paesi, gli investimenti e l’insediamento di capitali esteri, dovrà esprimersi in modo diverso. Vinceranno i sistemi fiscali capaci di garantire stabilità e certezza, di garantire che il mercato non sia distorto da operatori che si avvantaggiano evadendo le imposte; ma anche che gli accertamenti tributari siano ispirati a criteri di trasparenza e oggettività, con reazioni sanzionatorie proporzionate alla reale gravità dei comportamenti.

La prima questione è quella di una disciplina dell’abuso del diritto. Negli ultimi anni, l’utilizzazione sempre più estesa di questo istituto da parte degli uffici dell’amministrazione fiscale nonché dei giudici tributari ha finito col rendere incerta l’applicazione del diritto tributario, creando una situazione insostenibile non soltanto per le imprese italiane, ma per l’immagine del nostro sistema fiscale a livello internazionale.

Gli uffici accertatori fanno spesso ricorso all’abuso del diritto per disconoscere gli effetti di atti negoziali, che, pur conformi alla legge, tuttavia mancherebbero – secondo le loro contestazioni – di valide ragioni economiche, diverse da quelle fiscali. Ciò sulla base di contestazioni di merito opinabili, tutt’altro che oggettive e prevedibili. Il problema è reso più acuto dalla circostanza che il nostro ordinamento è costellato di fattispecie che, pur realizzando equivalenti risultati economici, sono soggette a trattamenti fiscali differenti.

E’ urgente, quindi, una definizione di abuso del diritto che renda questo istituto di più precisa e circoscritta applicazione. In sede di attuazione della delega, il Governo italiano dovrebbe fare tesoro delle indicazioni che la Commissione Ue ha emanato nel dicembre 2012, con riguardo al contrasto delle “operazioni aggressive”. Gli Stati devono motivare le proprie pretese impositive – ha affermato la Commissione – con criteri oggettivi e prevedibili, soprattutto laddove non vi siano chiare violazioni di norme scritte, motivando le loro pretese con adeguate indagini non soltanto sulla natura artificiosa delle operazioni, ma anche sull’esistenza di un reale aggiramento di un chiaro e preciso principio fiscale (per esempio, doppia deduzione di costi o di perdite, doppia esenzione di proventi ecc.). 

Per quanto riguarda il sistema sanzionatorio, sempre nell’ottica di volgere il sistema tributario italiano verso principi di certezza, oggettività e ragionevolezza, è urgente un intervento di risistemazione e adeguamento delle sanzioni amministrative nonché di quelle penali. 

Le sanzioni amministrative vanno graduate in rapporto alla gravità delle violazioni riscontrate. Sembra un concetto elementare, eppure nel sistema attuale può accadere che sanzioni commisurate all’imposta dovuta scattino anche per la semplice erronea imputazione temporale di componenti reddituali e di costi oppure per violazioni puramente formali. 
Il problema è più rilevante per le sanzioni penali. Anziché essere applicate nei soli casi di operazioni fraudolente, come è negli altri Paesi, nel nostro sistema le sanzioni penali possono scattare automaticamente al superamento di soglie quantitative di contestazioni da parte degli uffici fiscali. E si tratta di soglie, fissate dalla legge, espresse in valore assoluto, quindi poco significative per le imprese di maggiori dimensioni. Ne consegue una moltitudine di procedimenti penali nei confronti degli amministratori di società, spesso con effetti sulla loro reputazione, anche per violazioni minori dovute a errori solo fattuali o a controversie d’interpretazione. E’ necessario riallineare il nostro ordinamento a quelli esteri, per riportare la sanzione penale alla funzione afflittiva che le è propria. 

L’attuazione delle deleghe sull’abuso del diritto e sulla revisione delle sanzioni costituisce una grande occasione per promuovere un nuovo clima di fiducia e di reciproca comprensione tra operatori economici e Amministrazione finanziaria, che dia un segnale chiaramente percepibile dai mercati sul nuovo corso avviato dal sistema fiscale italiano. Senza questo salto culturale non si riusciranno ad attrarre investimenti esteri né si riuscirà a trattenere le imprese nazionali che hanno possibilità di localizzarsi altrove.

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