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Abbigliamento: dal 2022 raccolta differenziata obbligatoria

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Magliette e pantaloni bucati non potranno più finire nel bidone dei rifiuti non riciclabili. Dal primo gennaio 2022 – con tre anni di anticipo rispetto alle prescrizioni europee – in Italia diventerà obbligatoria la raccolta differenziata dei prodotti tessili.

Non sarà un cambiamento da poco, vista l’arretratezza del nostro Paese in questo settore. Da un’analisi di Ref Ricerche emerge che nel 2019 solo lo 0,8/0,9% dei rifiuti differenziati in Italia era riconducibile all’industria tessile. Una percentuale davvero bassa, ma comunque in crescita di quasi un quarto rispetto al 2015.

Per migliorare la situazione, la strategia consigliata da Bruxelles e adottata dal ministero della Transizione ecologica risponde al principio del “chi inquina paga”. Sarà introdotto quindi l’obbligo di Responsabilità estesa del produttore, che dovrà sostenere un contributo ambientale (trasferendolo poi sul prezzo d’acquisto dei prodotti) per finanziare una filiera della raccolta tesa a sostenere il riuso e il riciclo.

La battaglia per il riciclo degli abiti può sembrare secondaria nel panorama delle crociate ecologiste, ma non lo è. I dati della Commissione e del Parlamento Europeo dimostrano che l’industria tessile è responsabile del 10% delle emissioni mondiali di gas serra: più dell’intero trasporto aereo e marittimo messi insieme.

Ancora più impressionanti sono i numeri sullo sfruttamento delle risorse idriche. L’Aea stima che la produzione tessile sia responsabile di circa il 20% dell’inquinamento globale dell’acqua potabile e che il lavaggio di capi sintetici rilasci ogni anno 0,5 milioni di tonnellate di microfibre nei mari. Per realizzare una maglietta servono in media 2.700 litri di acqua, una quantità che basterebbe a tenere in vita una persona – senza farle soffrire la sete – per circa due anni e mezzo.

A fronte di questi numeri, è importante agire sulla filiera dei rifiuti anche perché negli ultimi anni, con il diffondersi della cosiddetta fast fashion, il consumo di abiti è cresciuto moltissimo. Dal 1996 a oggi, il prezzo degli indumenti nell’Ue è calato del 30% al netto dell’inflazione, inducendo le persone ad acquistare il 40% di abiti in più rispetto a 25 anni fa. E, com’è ovvio, più acquisti significa più rifiuti.

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