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Una storia d’eccezione: Maria Montessori di Francesca Marone

È difficile sottostimare l’importanza del metodo montessoriano nella formazione dei giovani innovatori che hanno portato avanti la rivoluzione di Internet. Larry Page e Sergey Brin, i fondatori di Google si sono formati entrambi in una scuola montessoriana. Pure Jeff Bezosci è passato. Tutti hanno pubblicamente riconosciuto il contributo di creatività e liberazione che devono al pensiero e all’azione montessoriana. Nel mondo ci sono oggi 5mila scuole montessoriane di cui un quarto nei soli Stati Uniti (500 sono scuole pubbliche).

Siamo dunque lieti di offrire ai nostri lettori un profilo di donna e scienziato di Maria Montessori scritto da Francesca Marone tratto dal bel volume pubblicato da Guerini e Associati (presto disponibile in formato digitale) dal titolo Storie di donne. Autobiografie al femminile e narrazione identitaria a cura di Simonetta Ulivieri e Irene Biemmi.

Durante tutta la mia vita ho proclamato la necessità della libertà di scelta, dell’indipendenza di pensiero e della dignità umana. Tuttavia ritengo che la vera libertà, quella interiore, non possa essere donata. Non può nemmeno essere conquistata. Può solamente essere costruita dentro di sé, come parte della personalità e, se questo avviene, non potrà più essere perduta.
Maria Montessori

1. Un percorso atipico

Perché parlare di Maria Montessori? Per la sua rivoluzione nella scuola realizzata attraverso un pensiero ancora attuale; ma anche e, soprattutto, per la vita eccezionale in quanto a innovazione e rigore intellettuale di una delle poche donne medico del suo tempo, di una femminista e di un’italiana le cui idee e il cui impegno sociale e scientifico si sono affermati nel mondo.

Nata nel 1870 da genitori liberali e impegnati nella politica, nel 1875 risultava iscritta in una scuola popolare di Roma, dopodiché proseguì i suoi studi in una scuola tecnica e scientifica per approdare al diploma. Il suo percorso di studi coraggioso e atipico ha sfrecciato su binari tecnologici e scientifici. Ma in quegli ultimi anni dell’Ottocento italiano per dare corpo ai propri sogni, Maria, in quanto donna, dovette lottare: voleva iscriversi alla facoltà di ingegneria, ma suo malgrado ripiegò sulla medicina e sulla chirurgia, trasferendo nell’anatomia e nella fisiologia la sua passione per la tecnologia. Così si laureò in medicina per poi scoprire una terza via, quella pedagogica, che nel tempo le avrebbe portato successo e fama.

Sebbene non fosse la prima donna a essersi laureata in medicina, la sua presenza nell’ateneo romano era oggetto di grande curiosità. Senza dire che corpi, viscere, dissezioni e palpazioni le crearono non pochi problemi: non solo perché sfidava le convenzioni e i ruoli tradizionali ma anche perché dovette fare i conti con l’educazione ricevuta e i propri sentimenti di ragazza di fine Ottocento. Divenne famosa al punto che la rivista L’illustrazione Popolare nel 1896 le dedicò un articolo con foto.

Nello stesso anno, arrivò la laurea, discutendo la sua tesi sperimentale in psichiatria, materia verso cui andava orientandosi prevalentemente. Poco dopo, esercitò la sua attività scientifica nell’ambito della cattedra di psichiatria, diretta da Ezio Sciamanna e sotto la guida di Sancte de Sanctis, uno dei padri della psicologia italiana. In seguito, passò all’istituto medico-pedagogico adiacente al manicomio di S. Maria della Pietà diretto da Clodomiro Bonfigli, lavorando insieme al collega Giuseppe Montesano, tra i pionieri della neuropsichiatria infantile in Italia. Questa terribile esperienza tra i reietti del genere umano fu una rivelazione per la giovane dottoressa, impressionata dalla concomitante presenza in quel luogo di bambini affetti da patologie differenti, inclusi quelli con semplici turbe del comportamento e, dunque, condannati alla permanenza in quel luogo.

Nel frattempo, pochi mesi prima della laurea, è databile l’inizio del suo impegno femminista, poiché entra a far parte dell’Associazione «Per la Donna», promossa da Rosa-Mary Amadori, direttrice della rivista Vita femminile. Poco dopo la laurea, rappresentò l’Italia al Congresso internazionale sui diritti femminili a Berlino per confrontarsi con donne provenienti da diverse parti del mondo su temi cruciali: riforme sociali, pari diritti rispetto agli uomini nello studio e nel lavoro, educazione e pace; infastidendosi tra l’altro per l’attenzione riservatale dalla stampa del tempo, soprattutto riguardo al suo aspetto fisico gradevole e attraente, con il timore di vedere svalutato il suo impegno sociale e professionale.

Nel 1906 aderì alla proposta di Anna Maria Mozzoni di presentare una petizione al Parlamento per il voto femminile, nell’ambito della campagna più generale per il suffragio universale. La giovane scienziata si appellò alle donne italiane attraverso le pagine de La Vita affinché s’iscrivessero alle liste elettorali, così come proposto con successo negli Stati Uniti d’America. Ma in Italia le cose andarono diversamente; sulla stampa si scatenò un dibattito fra i fautori del voto alle donne e i contrari: sarebbero dovuti passare quasi quarant’anni perché alle italiane venisse concesso il diritto di voto al pari degli uomini.

L’impegno per i diritti delle donne e le riflessioni sulla questione femminile, la portarono a discostarsi dal determinismo positivista e da talune, anche illustri, affermazioni sulla naturale inferiorità delle donne per formulare, invece, un «femminismo scientifico» che emergeva dalla sua esperienza di vita.

Invero questo periodo, pur fecondo dal punto di vista delle scoperte e dei successi professionali, è per lei burrascoso e denso di contraddizioni. Negli stessi anni, infatti, Maria ventottenne anticonformista, bella ed elegante, si trovò a vivere contro ogni convenzione sociale una storia d’amore appassionata ma dalle conseguenze dolorose con Giuseppe Montesano, suo compagno di studi e di lavoro. Nel 1898 dalla loro relazione nacque Mario, tenuto segreto per il rispetto delle apparenze come imponeva la morale corrente. I due decidono di non sposarsi ma il loro rapporto si incrinerà per sempre nel 1901, allorquando Montesano si risolse a sposare un’altra donna, non tenendo fede alla promessa data. Intanto, il bambino fu affidato di comune accordo a una famiglia di fiducia residente in campagna: lì Maria andrà a trovarlo sistematicamente, per riprenderlo con sé solo nel 1913; e, precisamente, dopo la morte di sua madre contraria a questa maternità che considerava d’intralcio alla carriera della figlia. Col tempo Mario diventerà il suo principale e originale collaboratore e sarà da lei riconosciuto solo nel ’50.

Pertanto, negli ambienti accademici di fine Ottocento tradizionalmente maschilisti il suo itinerario formativo insolito, non solo per quanto riguarda gli studi ma anche le scelte private e, non ultimo, il suo originale modello pedagogico che infrangeva gli stereotipi tradizionali, ne fecero un personaggio scomodo perché difficilmente catalogabile.

Il suo metodo e la sua riforma pedagogica, scaturiti soprattutto dall’osservazione diretta del bambino più che da consolidate e astratte correnti di pensiero, hanno radicalmente innovato il rapporto tra adulti e bambini, ripensando l’educazione a vantaggio di questi ultimi. Maria inaugurò una pedagogia liberatrice che permetteva ai bambini, in particolare a quelli abbandonati e deprivati, di adattarsi alla vita senza deformazioni, preservando la propria individualità.

Spirito indipendente e figura di grande fascino, sfuggì a ogni gabbia di tipo culturale e politico: né positivista, né idealista, né di destra, né di sinistra, fu considerata con sospetto dai cattolici per il suo sottrarsi alla tradizione rigidamente confessionale. Non manifestamente laica né esclusivamente cattolica, Montessori fu prima corteggiata dal regime fascista e poi osteggiata e detestata da Mussolini.

Per quanto riguarda i suoi rapporti con la Chiesa, che a quel tempo non risparmiava strali nei confronti della scienza e delle femministe, questi poi si deteriorarono definitivamente tra il 1929 e il 1934 allorché la Dottoressa (come la chiamavano i suoi collaboratori) rifiutò di accettare l’idea di peccato originale così come pure di un’autorità esterna che premia e punisce. Anche se è stato riconosciuto da più parti che non le fece mai difetto una certa spiritualità e che una profonda religiosità, da intendersi con «il senso del sacro dell’essere umano», pervade la sua opera; certo, l’opera di una scienziata, democratica e liberale, aperta al confronto religioso e interculturale, al di là della morale e delle convenzioni prestabilite.

D’altro canto, nel 1899, si era iscritta alla Theosophical Society e ne subì un certo influsso per tutta la vita, forse attratta da alcuni suoi principi, tra cui quello dell’uguaglianza sessuale. Inoltre, l’appartenenza a quest’associazione internazionale, strettamente legata all’ambiente massonico, facilitò la diffusione del suo metodo pedagogico nel mondo.

In realtà, la teosofia attribuiva grande importanza all’educazione, perseguendo il progetto di formare un’umanità migliore: da qui il grande interesse nutrito dai suoi esponenti per le teorie montessoriane e per le sue scuole. Priva della protezione di uomini potenti fu una nomade e non solo culturalmente. Infatti, a causa delle ostilità manifestate in Italia verso la sua persona e il suo modello pedagogico, diventò a suo modo un’emigrante, sia pure illustre. Maria Montessori viaggiò parecchio, dall’America alla Spagna, quindi in Olanda e in India, paese che percorse a lungo, incontrando condizioni favorevoli al suo insegnamento pedagogico. Quando le veniva chiesto di quale nazionalità fosse, la scienziata rispondeva: «Vivo in Cielo, il mio paese è una stella che gira attorno al sole e che si chiama Terra».

All’estero le furono riservate diverse onorificenze. Ebbe lauree honoris causa da molte università e fu insignita della Legione d’onore dal governo francese; le fu conferito l’ordine di Orange Nassau dalla regina d’Olanda; ottenne il premio mondiale Pestalozzi e, a New York, un premio dell’Esposizione internazionale femminile per il suo impegno internazionale. Inoltre, venne candidata per tre volte al premio Nobel per la pace.

Rientrò in Italia solo dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, nel 1947, acclamata dal Parlamento per riorganizzare l’Opera a lei dedicata. Ancora una volta, l’Italia non la capiva. Del resto, il suo metodo non è stato mai ufficialmente adottato nella scuola pubblica italiana, pur costituendo una fondamentale base pedagogica e didattica per gli insegnanti delle scuole materne ed elementari.

Ritornata definitivamente in Olanda, vi morì, a 82 anni, il 6 maggio del 1952. Precisamente a Noordwijk, un piccolo villaggio sul Mare del Nord con accanto il figlio Mario che riconoscerà ufficialmente, per la prima volta, nel testamento. Mario, divenuto il suo protettore, il factotum che le risolveva tutti i problemi pratici e creava le condizioni necessarie per la sua vita «eroica» di educatrice, sarà il depositario e il testimone delle tracce vitali e dell’impegno che lei sentì di dover assumere non solo per se stessa ma per l’umanità, mediante le sue parole e ciò che è stato scritto di lei.

Quando la vita avventurosa di questa professionista scrupolosa – una delle più innovatrici tra le studiose del Novecento – si concluse, sembrava ormai appartenere ad un’altra epoca; si spense «lontana dalla sua terra che aveva così profondamente amata», come detta la lapide sulla tomba della famiglia Montessori a Roma, «così ella volle a testimonianza della universalità della sua opera che la rese cittadina del mondo».

2. Dalla parte dei bambini: il Metodo Montessori e la sua diffusione nel mondo

Agli inizi del XX secolo Maria si legò a un gruppo di giovani psichiatri, tra cui Sante De Sanctis, Clodomiro Bonfigli, e il già citato Giuseppe Montesano, con cui affrontò la situazione tragica dei bambini disabili, allora definiti per lo più «oligofrenici». Insieme destarono l’interesse nazionale intorno al problema, rimarcandone anche le implicazioni sociali e rilevando l’importanza di un intervento specifico più educativo che medico.

Lasciati in stato di abbandono e spesso maltrattati, questi bambini disadattati e disturbati colpirono l’acume professionale della studiosa marchigiana, che decise di dedicarsi a loro, spostando l’attenzione dalla loro medicalizzazione al rapporto tra scuola e disagio minorile.

Il problema, quindi, era per lei essenzialmente di natura pedagogica. Ottenuto l’incarico di docente di antropologia pedagogica, si batté per i più deboli, riportando la sua esperienza nei congressi scientifici del tempo.

Ancora, s’impegnò a dare alla pedagogia una veste scientifica, rifacendosi all’antropologo Giuseppe Sergi al quale s’ispirò anche per quanto riguarda la messa a punto della metodologia didattica, che risentì tra l’altro dell’influenza dei due medici francesi Eduard Séguin e Jean-Marc-Gaspard Itard, che si erano occupati di fanciulli selvaggi o con gravi difficoltà di apprendimento.

Così, energica e instancabile, cominciò con caparbietà la sua missione per il recupero dei piccoli pazienti non più attraverso le cure mediche ma con l’ausilio di materiali idonei. In questo modo, ottenne risultati inaspettati e divenne ben presto famosa, pensando di estendere la sua metodologia anche ai bambini normali attraverso la messa in opera di una scuola privata.

Quando, infatti, a Roma sul finire del 1906 l’ingegner Talamo, autore del risanamento dei palazzoni fatiscenti, sorti senza nessun criterio sociale e igienico tra il 1884 e l’88 nel rione periferico di San Lorenzo, le aveva proposto di creare per i bambini emarginati del quartiere un luogo adatto, Maria accettò con entusiasmo e le fu messo a disposizione un locale al piano terra di uno dei casamenti.

Nacque così un’esperienza del tutto nuova: il 6 gennaio del 1907, in Via dei Marsi 58, circondata dalla povertà assoluta, sorse la prima Casa dei bambini, per ospiti dai tre ai sei anni.

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All’interno di un caseggiato fatiscente dell’edilizia popolare, Montessori si diede da fare per capire il funzionamento della psiche umana in ambienti di apprendimento non più opprimenti e mortificanti ma strutturati armoniosamente, sì da permettere il disvelamento di potenzialità insospettate. Per i piccoli, infatti, progetta mobili leggeri e colorati; predispone suppellettili proporzionate alle dimensioni fisiche dei bambini; porta loro i materiali sperimentati e ne prepara di nuovi a fronte della vivace risposta dei bambini; definisce accuratamente gli spazi esterni, che prevedono la presenza indispensabile del giardino. L’insegnamento è individualizzato, secondo le peculiarità di ciascuno e contempla che gli ospiti siano impegnati nelle attività pratiche come lavare, spazzare, apparecchiare le tavole per il pranzo, e allo stesso tempo immersi in esperienze sensoriali, attraverso la musica e il movimento ad esempio, senza trascurare la narrazione. La novità è che nessuno li sgrida e loro si aiutano spontaneamente, mescolati per età, supportandosi a vicenda e acquisendo altresì la capacità di autocontrollo, il cui acme è nello stare in silenzio e imparare ad apprezzare le attività che favoriscono la concentrazione e il contatto con se stessi.

L’educazione a non esprimere giudizi, l’eliminazione dei banchi, la mancanza di premi e castighi a fronte di spazi di libertà accuratamente organizzati, produce effetti positivi: tra le altre cose la libertà d’espressione favorisce la disciplina e l’autocontrollo. Evidentemente, il paradigma della formazione è stravolto per sempre. Inoltre, le Case dei bambini, svolgevano tra l’altro una «funzione materna socializzata», come ebbe a dire la stessa Montessori; una funzione eminentemente sociale, di supporto alle madri lavoratrici che potevano lasciare i loro figli in mani competenti e sicure, pur nel rispetto delle regole anche da parte dei genitori: nelle scuole vigeva «l’obbligo di mandare i loro bambini puliti e di coadiuvare all’opera educativa della direttrice». Regole a cui in molti si sentivano di aderire dal momento che la direttrice era sempre a disposizione delle madri e addirittura prese a vivere nello stesso stabile delle famiglie dei suoi piccoli allievi, diventando per quei diseredati un modello di vita.

Dunque, le Case dei bambini non erano semplicemente scuole ma progetti sociali, laboratori di ricerca aperti al progresso e in cui ci si occupava anche dell’extrascuola. Dall’esperienza nella Casa dei bambini, Maria sentì la necessità di formare anche gli adulti giacché, affinché i bambini mostrino le loro autentiche capacità occorrono maestri e genitori non aggressivi, non giudicanti, capaci di osservare prima di intervenire e in grado di accogliere i piccoli in ambienti ricchi di oggetti significativi, rispondenti alle età e alle abilità progressive di ciascuno, supportandoli serenamente. Nel 1913 si tenne in Umbria il primo corso per insegnanti. Successivamente, nelle «scuole Montessori» si vide una significativa presenza di educatori d’Oltreoceano con conseguente amplificazione del lavoro della pedagogista marchigiana.

La nuova proposta educativa superò i confini della città di Roma, per espandersi a Milano, con scuole dei quartieri operai come della borghesia, del resto vi studiarono personaggi famosi, e poi all’estero: in Olanda, Norvegia, Francia, Inghilterra, Svezia, Spagna, Russia, negli Stati Uniti dopo il suo soggiorno del 1913, più tardi in Sud America, in Asia.

Nel frattempo, aveva pubblicato nel 1917 il volume Il Metodo, scritto nel 1909 e tradotto nelle principali lingue europee e in giapponese. Il testo riscosse un successo internazionale che la spinse in Spagna, Francia e Stati Uniti, dove sperimentò il suo modello educativo con bambini di razze diverse, ricavandone la certezza che era veramente universale. Nel 1929 la scienziata italiana fondò appunto con Sigmund Freud, Piaget e il poeta Tagore, altro suo ammiratore, l’AssociationMontessori Internazionale, AMI, sostenuta finanziariamente da personaggi illustri come Alexander Graham Bell, Thomas Edison, JanMasaryk, Guglielmo Marconi e Mahatma Gandhi, che aveva visitato le sue classi durante un soggiorno a Roma nel 1930.

Il metodo Montessori insegnò ad educare il bambino all’autocorrezione e al controllo, mediante l’autonomizzazione dello stesso e senza interventi prescrittivi e imposizioni da parte dell’adulto.

Il presupposto della Montessori è che dal punto di vista della struttura psichica il bambino si comporta diversamente dall’adulto: la sua mente è una «mente assorbente» in quanto «prende le cose dall’ambiente e le incarna in se stessa». Così facendo il bambino «crea se stesso» e il proprio mondo interno; crea una propria «carne mentale» che permea le sue relazioni con il mondo.

Su queste basi la pedagogista italiana pervenne a definire il significato ultimo dell’educazione come orizzonte trasformativo della coscienza dell’umanità attraverso l’infanzia, nel senso di una vera e propria ristrutturazione psichica dell’umanità.

Questa idea di bambino padre dell’uomo, che racchiude in se stesso un segreto di vita che, se represso, porta alla patologia mentre, se individuato, offre al soggetto la possibilità di risolvere i suoi problemi individuali e sociali, era già discussa dalla psicoanalisi. Infatti, è lo stesso Freud a commentare il reciproco interesse per la psiche del bambino e a testimoniare la sua stima per la Dottoressa. Tale interesse era condiviso anche dalla figlia di Freud, Anna, psicoanalista infantile, che si era formata proprio in una scuola Montessori a Vienna. Pertanto, ella offrì volentieri il proprio personale contributo alla stesura della più completa biografia della studiosa italiana, raccontando con efficacia l’originalità del pensiero montessoriano e l’entusiasmo che lei e le sue allieve riversavano nelle numerose attività finalizzate al libero sviluppo del bambino; un entusiasmo che i Freud conoscevano bene.

3. La donna nuova: educazione, libertà, democrazia

Poco apprezzata in Italia e conosciuta in tutto il mondo, Maria Montessori è stata una donna curiosa, determinata, e una studiosa dotata di non poco coraggio: ha combattuto per laurearsi in medicina, tentando di umanizzare la professione medica; ha compreso che gli orfani, affidati ai manicomi, crescevano emulando gli adulti con disagi mentali e invece erano bimbi che si potevano recuperare; ha capito che per costruire il futuro bisogna partire dai bambini; ha messo a punto una «nuova rivoluzione copernicana», ponendo come centro motore dell’educazione non più l’adulto, ma il bambino stesso, con i suoi bisogni e le sue competenze autoformative. Tale innovazione pedagogica è basata sulla liberazione del corpo e sulla libera espressione della personalità, che deve avvenire in ambienti idonei.

In realtà, non fu tutto in salita il percorso di quest’eccezionale pedagogista. All’epoca in cui Maria elaborò il proprio sistema, imperversava una mentalità assai autoritaria dal punto di vista psicopedagogico, che tendeva a vedere nel bambino e nell’adolescente un essere sottoposto che doveva essere il più possibile rispondente ai comandi della scuola e della famiglia. Ciò, nonostante il successo di pensatori precedenti che avevano insistito sull’importanza di principi liberali sul piano dell’educazione, e tra questi i più illustri furono Rousseau e Pestalozzi. Montessori andò oltre, approfondendone le intuizioni così da concepire un sistema e una metodologia assai più completi dei loro. Ma si trovò a dover superare numerose resistenze. Tra le più ostili, non solo quelle da parte di talune forze cattoliche, ma anche dei filosofi idealisti che dominavano la scena in quegli anni, tra cui Giuseppe Lombardo Radice; più tardi anche le forze di sinistra si dimostreranno contrarie: riconoscere ai bambini il diritto all’autonomia nonché la loro elevata capacità di decidere, agire criticamente e pensare con la propria testa, prospettare la possibilità di apprendere senza soffrire, formare all’indipendenza, sono considerate evidentemente, oggi come allora, affermazioni e pratiche pericolose.

Non desta stupore, dunque, che avversate da tutti i regimi totalitaristici le scuole «Montessori» furono chiuse durante gli anni bui della Seconda Guerra Mondiale, in Germania nel ’33-’34 sotto il dispotismo di Hitler, in paesi come la Spagna di Franco e il Portogallo con Salazar al potere; mentre, in Unione Sovietica, già nel 1918 con i rivoluzionari russi. Anche in patria i rapporti con il potere non furono positivi. Mussolini in un primo momento si dichiarò suo ammiratore, illudendosi di poterne fare una bandiera del fascismo. Tant’è che Giovanni Gentile, allora ministro dell’istruzione, venne incaricato dal duce di presiedere la Società degli Amici, trasformandola poi nell’Opera Nazionale Montessori, dando vita immediatamente ad una serie di iniziative importanti che favorirono la diffusione del Metodo, fino al Corso Internazionale, tenutosi a Roma nel 1930. I legami di Maria Montessori con il fascismo non potevano, però, durare a lungo e Mussolini capì che non sarebbe riuscito a trasformarla in uno strumento di propaganda. Il radicato pacifismo della scienziata, l’ingerenza del regime nel-

le sue decisioni, anche riguardo alle candidature interne al movimento stesso, la consapevolezza di essere strumentalizzata contribuirono alla rottura. Nel 1933, infatti, si dimise dall’Opera e dall’insegnamento nella scuola Magistrale, diffidando il regime dal continuare a usare il suo nome e il Duce nel ’34 chiuse tutte le Case dei Bambini e le poche scuole elementari. Senza tralasciare che, per lavorare liberamente, fu costretta dal regime fascista a cambiare la propria residenza, spostandosi prima a Barcellona nel ’34 e, dopo la guerra civile spagnola, in Olanda che dal ’35 era la sede centrale dell’AMI.

Nel ’36, invitata in India dalla Società teosofica per tenere dei corsi, vi si recò con il figlio e vi soggiornò a lungo e fruttuosamente. Ma ormai, la guerra era alle porte. Nel 1940, quando l’Italia si schierò con Hitler, gli inglesi arrestarono madre e figlio, non considerando che avevano rotto con il regime fascista. Grazie alle trattative politiche e agli interventi di amici, quello stesso anno Mario fu rilasciato dal campo di Amednagar e a Maria, abbastanza libera nella residenza forzata ad Adyar eppure sofferente per la lontananza dal figlio, fu permesso di ricongiungersi a lui.

In India la nostra pedagogista realizzò numerosi e affascinanti esperimenti educativi, dando vita a diverse scuole multiculturali che le consentiranno di mettere a punto un progetto di «educazione cosmica» destinato ai bambini della scuola elementare, approfondendo altresì il tema dell’educazione alla pace, questione che già l’aveva vista partecipe qualche anno prima mentre si trovava in Inghilterra e in Danimarca a svolgere conferenze sul tema. Sottolineando i nessi tra educazione e pace Montessori rileva che c’è stato un grande progresso sul piano esteriore dell’umanità e nessuno sul piano interiore, così da ribadire che il mezzo basilare per costruire quest’ultima è proprio l’educazione, intesa come rispetto della vita e dell’infanzia a partire dalla nascita. Lo studio del neonato e del bambino nei primi tre anni cominciò a starle molto a cuore, tant’è che dopo la guerra sosterrà in modo particolare l’educazione dalla nascita come aiuto alla vita, dando origine al Centro Nascita Montessori di Roma.

L’Atto educativo per la pedagogista italiana è autenticamente tale nella misura in cui consente di liberare ed esprimere intelligenza, socialità, amore. L’educazione è l’arma che garantisce la pace e, quest’ultima, in quanto principio pratico di umanità e di organizzazione sociale che si fonda sulla stessa natura dell’essere umano, è la condizione necessaria ad una buona educazione; la pace intesa non solo come assenza di guerra ma soprattutto come assenza di disordine, di oppressione, di miseria materiale e intellettuale, di ostilità e egoismi. Pertanto, la pace è condizione necessaria della «buona educazione».

La straordinaria attualità del pensiero montessoriano sta, appunto, nel considerare la libertà come base imprescindibile della formazione di ogni essere umano; laddove, sovente, nella fa miglia o nella scuola o nella società, la violenza e l’intolleranza nascono da una mancanza di libertà, da una mortificazione dell’identità, dall’impossibilità di esprimere se stessi. Infatti, nel momento in cui non si realizzano le condizioni dell’apprendimento gioioso, il bambino si trova in una condizione di guerra, di sacrificio e di sconfitta che non gli sono congeniali. Il conflitto, la competizione, la sottomissione, generati dall’adulto, determinano nel bambino un impoverimento per quanto attiene alle capacità d’espressione, costringendolo a reprimere desideri e bisogni e a vivere una condizione inautentica, snaturando le proprie sensibilità in un impersonale adattamento. Va da sé che il progetto montessoriano incentrato sullo sviluppo di qualità superiori nell’umanità, quali libertà, maturità, creatività, universalità, è il risultato di una nuova educazione in grado di ampliare i confini della conoscenza e superare le frontiere ristrette della nazione, della razza, delle confessioni religiose, della famiglia, delle personali convinzioni e dello stesso io, per lasciare il posto al divenire di un soggetto cittadino del mondo, o meglio, cittadino dell’universo.

«Educazione cosmica» è la definizione coniata da Maria Montessori in una conferenza tenuta in India nel 1946 al fine di spiegare questa nuova visione dell’uomo immerso nella totalità del mondo, pronto ad apprezzare e fare esperienza di ciò che di positivo è stato fatto o è disponibile in ogni tempo e in ogni spazio.

Si è cercato, dunque, di evidenziare la portata di questa concezione pedagogica, non solo in relazione alla società del tempo ma anche riguardo ai giorni nostri, prodigiosa nel favorire la costruzione di modelli alternativi che, muovendosi in senso interdisciplinare, seguono i criteri di un’altra «logica», ostile all’«universale neutro», al conformismo; una logica capace di salvare i soggetti diversi nel segno della loro radicale alterità.

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