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Tv, tlc, Internet, spot: la pandemia ha cambiato tutto

Pixabay

Ci si appresta ad entrare nella cosiddetta Fase 2 del Covid19 e c’è da sperare che possa avvenire presto. Quando questa avrà inizio, la società, l’economia e la cultura del Paese potrebbero subire radicali e profonde mutazioni. Non ne saranno esenti il sistema delle telecomunicazioni, il mondo degli audiovisivi, del broadcast e del broadband. Vediamo una sommaria panoramica.

Anzitutto la rete Internet: quando è scoppiata la crisi, il primo allarme è stato sulla tenuta del sistema in termini di capacità di carico e resistenza, a fronte di un’improvvisa e inattesa richiesta di banda come mai prima era successo. La prima mossa è stata quella di Thierry Breton, commissario europeo per il Mercato interno, che ha chiesto ai big Amazon, YouTube e Netflix di ridurre il bitrate dei propri flussi di trasmissione. Era previsto che l’iniziativa durasse 30 giorni e riguardasse il 25% del traffico. Ora la scadenza è prossima e nessuno ha accennato al rinnovo. In ballo c’è la tenuta del mercato in un momento di acuta competizione e la nuova partita si giocherà anche sulla qualità del segnale. Chi sarà disposto a cedere ancora sovranità tecnologica pagata in soldoni a favore dei concorrenti diretti o indiretti?

Sulle retrovie di questa contesa c’è tutto il nuovo mondo che si è scoperto con il telelavoro, che richiede enormi capacità di banda e sul quale ci sarà molto da scrivere per quanto sarà in grado di modificare completamente modelli di produzione e organizzazione sociale.

5G

Veniamo al 5G, che, sulle frequenze acquistate dagli operatori telefonici, proprio a partire da quest’anno dovrebbe avviare la sua roadmap. I broadcasters sono tenuti a liberare le frequenze intorno alla banda dei 700Mhz per dare spazio ai servizi innovativi di AI e IOT. Nei giorni scorsi la Fondazione Ugo Bordoni, emanazione del Mise, ha rilasciato la prima relazione tecnica sulla verifica degli apparati di ricezione tv che si riconduce alla transizione verso il DVB-T2. Nel testo si legge che, su circa 24,3 milioni di famiglie italiane, 22,2 accedono alla Tv attraverso la piattaforma DTT, mentre 1,3 milioni usano altre piattaforme (satellite, rete IP), oltre 700mila dichiarano di non possedere un televisore e circa 120mila hanno un apparecchio televisivo ma non sono dotati di antenna di ricezione terrestre. Tradotto in italiano corrente: il Covid ha messo una seria ipoteca su questo processo e nessuno è in grado di immaginare come e quando il problema potrà essere risolto.

Importante osservare che il rapporto è stato completato proprio all’inizio del Covid e non ha potuto tener conto delle drammatiche conseguenze che questo potrà determinare nel prossimo futuro su tutto il comparto Tlc. Come abbiamo scritto più volte su FIRSTonline, gli utenti avrebbero dovuto avviare un costoso e impegnativo processo di migrazione dal proprio televisore verso un nuovo apparato in grado di ricevere i segnali nelle nuove frequenze. Ma è pensabile che, in condizioni di sistema così radicalmente mutate, gli utenti possano avere buone intenzioni di spendere soldi in cambio di poco più di nulla? La spinta motivazionale che poteva sorreggere in qualche modo l’acquisto di un nuovo televisore sarà decisamente indebolita dal venir meno dei grandi eventi televisivi, come gli Europei di calcio o le Olimpiadi di Tokio. Inoltre, i broadcasters potranno subire forti contrazioni sia sul fronte delle nuove produzioni (vedi gli spettacoli live, l’intrattenimento con la presenza di pubblico in studio, come pure le fiction che troveranno grandi difficoltà con le riprese esterne).

PUBBLICITÀ

Altro capitolo destinato ad impattare fortemente sarà la pubblicità. Ad esempio, non sarà sfuggito a nessuno in questo periodo la scomparsa pressoché totale di spot delle grandi case automobilistiche, tra i principali clienti del mercato. I dati previsionali non sono incoraggianti: al 31 gennaio Brand News proponeva una crescita potenziale dell’1,9% mentre un sondaggio effettuato al 1° aprile tra gli operatori del settore si prospettavano perdite a doppia cifra nell’ordine del 20%. La conseguenza più diretta l’ha già mostrata Mediaset quando, pure a fronte di un rilevante aumento degli ascolti, nei giorni scorsi ha dovuto ricorrere alla cassa integrazione per un gran numero di dipendenti.

RAI

Ma se Sparta piange Atene non ride, e a Viale Mazzini le cose non sembrano andare molto meglio. Al netto delle polemiche e delle tensioni tra i partiti che premono sulla Rai per occupare spazi e incarichi (tanto per cambiare), all’orizzonte della Fase 2, che c’è da sperare possa iniziare presto pure per la Rai, si riproporranno vecchi problemi mai risolti ed altri del tutto nuovi determinati al Covid. Tra quelli irrisolti c’è anzitutto il rinvio a dicembre del costosissimo Piano Industriale, al quale quasi nessuno sembra più credere. Tra i nuovi problemi si porranno quelli relativi ad un ruolo del Servizio Pubblico che necessariamente dovrà fare i conti con quanto è successo in queste settimane in termini di autorevolezza, credibilità e capacità di rispondere compiutamente alle domande poste dagli utenti sia sul fronte dell’informazione sia sul fronte dell’offerta editoriale. Un solo esempio: Rai Play che, come è emerso nei giorni scorsi da un documento interno all’Azienda rivelato da Repubblica, non sembra reggere il confronto con i suoi diretti concorrenti. Quando le migliaia di dipendenti dovranno (potranno?) tornare nei loro uffici, molte cose potrebbero esse diverse e non sono pochi tra loro quanti guardano con forte preoccupazione il futuro del loro posto di lavoro.

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Categories: Economia e Imprese