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Trasporto locale che disastro, l’Antitrust accusa

FIRSTonline

Scarsa concorrenza, poche gare, servizi scadenti. L’indagine conoscitiva dell’Antitrust sul TPL, seconda voce di spesa per le Regioni dopo la Sanità, documenta l’arretratezza di un settore che impegna oltre 7 miliardi di euro di fondi statali e ne genera quasi 11 di ricavi, con la vendita dei biglietti che copre appena il 30% dei costi (anche a causa della piaga dell’evasione tariffaria). Ma è proprio da qui, anche se al momento solo il 14,6% degli spostamenti urbani avviene con mezzi pubblici, che può arrivare un contributo decisivo per sviluppare la mobilità sostenibile e ridurre la congestione, con benefici per l’ambiente, la salute e la qualità della vita.

UN DURO ATTO D’ACCUSA

Oltre alle performance insoddisfacenti, rispetto ai principali Paesi europei, emergono gravi squilibri strutturali tra cui: investimenti insufficienti in infrastrutture; parco rotabile obsoleto; notevoli divari territoriali, per cui gli utenti di alcune Regioni, soprattutto centro-meridionali, hanno accesso a meno servizi e di qualità peggiore, senza peraltro pagare prezzi inferiori.

Quasi il 70% delle perdite del settore, considerando le società a partecipazione pubblica, riguarda la Regione Lazio. Il che tradotto in soldoni vuol dire che l’Atac da sola pesa per i due terzi delle perdite complessive del settore. Anche nei grandi centri urbani il fondamentale diritto alla mobilità non è assicurato in modo uniforme: anzi, a volte l’offerta è peggiore proprio nelle zone frequentate dagli utenti con redditi minori. Insomma, nonostante i rilevanti esborsi di denaro pubblico, non c’è equità sostanziale nell’accesso ai servizi di TPL né sono state intraprese politiche efficaci per sviluppare la mobilità sostenibile.

Un dato colpisce in modo particolare: in Italia l’offerta complessiva dei servizi di TPL è in media sovradimensionata rispetto alla domanda effettiva, che spesso rimane però insoddisfatta. Questo apparente paradosso, prodotto dall’eccesso di servizi proprio dove ce n’è meno bisogno, rivela gravi carenze nella programmazione da parte delle Regioni e degli altri enti locali.

I servizi di TPL sono ancora, in prevalenza, gestiti in base a contratti in esclusiva affidati direttamente a imprese partecipate dagli enti locali o, nel caso del ferro, a Trenitalia. Sono state fatte poche gare, spesso male.

Nell’indagine dell’Antitrust si mostra come – anche alla luce delle migliori pratiche internazionali – gestioni efficienti e servizi di qualità non dipendono tanto dalla proprietà, pubblica o privata, delle imprese, ma dalla presenza di meccanismi, come quelli messi in moto dalle gare, che stimolano le imprese a comportarsi in modo virtuoso. L’apertura alla concorrenza del settore potrebbe, dunque, contribuire in modo rilevante a risolvere i problemi riscontrati, in modo da allentare la pressione sulla spesa pubblica ma garantendo anche un più ampio godimento del diritto alla mobilità.

GLI OSTACOLI DA RIMUOVERE

A parere dell’Autorità, due fattori sono all’origine del mancato sviluppo della concorrenza nel settore:

1) una normativa che ha ostacolato sia la concorrenza “per” il mercato (ovvero lo svolgimento di gare per affidare la gestione dei servizi) sia la concorrenza “nel” mercato (vale a dire l’offerta di servizi da parte di più gestori sulle stesse linee, che può generare più servizi e di qualità migliore senza trascurare la tutela delle categorie più deboli);

2) un insieme di elementi che hanno scoraggiato il ricorso alle gare, tra cui, in particolare, l’assenza di meccanismi in grado di condizionare l’erogazione dei fondi pubblici ai risultati ottenuti e i conflitti di interesse, nei casi in cui l’ente locale è anche proprietario del gestore dei servizi.

I RIMEDI NECESSARI

L’Antitrust ritiene dunque necessario, attraverso la riforma dei servizi pubblici locali in discussione in Parlamento o in altro modo, un tempestivo intervento normativo, per favorire un assetto più concorrenziale del settore, suggerendo quattro linee di intervento:

1) Serve un “salto di qualità” nella fase di programmazione dei servizi, sia nel riorganizzare il riparto di competenze tra Stato, Regioni ed enti locali, sia nel merito della programmazione, che dovrebbe essere svolta almeno a livello regionale se non sovraregionale e non più in base all’offerta storica, inadeguata, ma tenendo conto delle reali esigenze degli utenti; in altri termini, a partire da linee guida dello Stato centrale (per correggere le sperequazioni), le amministrazioni devono chiedersi qual è il modo migliore (treno, autobus, servizi non di linea, servizi a chiamata, servizi commerciali, da affiancare eventualmente a sgravi fiscali o rimborsi per le categorie più svantaggiate) per soddisfare la domanda, in modo da gravare il meno possibile sulla spesa pubblica, garantendo però un accesso effettivo all’uso del mezzo pubblico.

2) Occorre favorire il ricorso alle gare con meccanismi volti a responsabilizzare le amministrazioni, premiando quelle più virtuose al momento del riparto dei fondi pubblici e aumentando la trasparenza del loro operato.

3) Le gare devono essere ben fatte e garantire un’ampia partecipazione (ad esempio, è utile creare società indipendenti che acquistino i treni per noleggiarli agli operatori e ricorrere a strumenti appropriati per affrontare i risvolti occupazionali). Si deve intervenire, inoltre, sul nodo dei conflitti di interesse, distaccando le funzioni di stazione appaltante dalla dimensione locale e attribuendole a un unico organo a livello dello Stato centrale.

4) Va sviluppata la concorrenza “nel” mercato, poco diffusa anche perché ritenuta – erroneamente – una modalità che non consente di perseguire obiettivi sociali. L’indagine dimostra, invece, che la quasi totale assenza di concorrenza ha determinato pesanti pressioni sulla spesa pubblica, senza garantire maggiore equità e migliori condizioni di vita alla cittadinanza.

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