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Tim frena, il nodo dell’indipendenza indebolisce il piano Kkr

Imagoeconomica

Si ferma, il giorno dopo, la corsa di Telecom Italia, quasi a confermare che la grande partita innescata dall’”iniziativa amichevole” di KKR ormai riguarda gli equilibri politici nonché gli assetti regolatori del sistema delle tlc. La questione del prezzo, evocata da Vivendi, viene dopo. E’ quanto si deduce dalla frenata del titolo che, dopo un avvio promettente, in tarda mattinata ha imboccato la via del ribasso (-1,69%% a 0,441 euro alle 13), in attesa che si sciolgano i tanti nodi sul tappeto.

Il primo, in ordine di tempo, riguarda il braccio di ferro tra Vivendi, azionista di maggioranza relativa con il 23,9% ed il management, ovvero Luigi Gubitosi sotto accusa per i modesti risultati dei primi nove mesi. La resa dei conti potrebbe già verificarsi al prossimo cda, fissato per venerdì. Vivendi che sospetta (o anche di più) l’intelligenza tra Gubitosi ed il nemico KKR è pronta a bocciare il business plan che l’ad presenterà alla vigilia. Ma basterà per aver partita vinta?

Un ruolo chiave l’avrà la Cassa Depositi e Prestiti, forte del 9 per cento abbondante, longa manus del governo che ha giudicato “positivo” l’interesse del private americano. In termini politici, KKR, il colosso vicino ai centri di potere di Washington, tra l’altro editore di Springer e del sito Politico.eu, conta senz’altro più amici di Vincent Bolloré, oggi grande patron dell’editoria francese che sta schierando giornali e tv conto il presidente Emmanuel Macron a vantaggio di Eric Zemmour, l’ultimo idolo della destra estrema transalpina. Non a caso, contro Gubitosi si è prontamente schierato Matteo Salvini. 

Il retroterra politico spiega solo in parte la partita finanziaria ed industriale. Vivendi ha fatto trapelare che il prezzo offerto da KKR (0.505 euro) è troppo basso, ma non sarebbe contraria ad un’offerta da parte di KKR.  Peraltro, a complicare il quadro, ci sono i fondi di private equity CVC e Advent che, con il supporto di Nomura e di Marco Patuano, sarebbero al lavoro per predisporre una controfferta, naturalmente migliorativa sul piano economico, che non potrà che essere “amichevole” e offrire quelle garanzie sul piano politico e giuridico che rappresentano il vero “punto caldo” della questione, su cui si concentrerà già in settimana il gruppo di lavoro creato dal Governo che potrebbe già riunirsi in settimana. 

Sul tappeto ci sarà la struttura di un’eventuale Telecom formato KKR. Come anticipa il Financial Times, il private Usa potrebbe replicare il modello Terna, ovvero la scissione tra la rete che si occupa del trasporto dell’energia dall’Enel che la produce. In passato il modello venne fieramente contestato dalla stessa Telecom, decisa a non separarsi dal controllo dell’infrastruttura sulla base del principio che nelle tlc è difficile distinguere contenuti e trasmissione.

Ma oggi, però i tempi sono cambiati. Si moltiplicano in giro per l’Europa le offerte finanziarie, specie dei private, ai vari gestori tlc, dall’Olanda alla Scandinavia. Presto potrebbero veder la luce iniziative specializzate in giro per l’Europa con l’obiettivo di estrarre valore dalla Rete.  

Inoltre, in Italia potrebbe cadere anche l’obiezione dell’Unione Europea contraria al gestore unico se quest’ultimo, come oggi è il caso di Telecom, è al tempo stesso erogatore di servizi e gestore delle attività di rete. Altro conto se FiberCop, oggi controllata dalla Cdp, confluisse con Open Fiber, ricavata dallo spezzatino di Telecom.

Una società unica della Rete, sostenuta da un flusso di ricavi prevedibile nel tempo, potrebbe caricarsi di una parte rilevante del debito di Telecom nonché di quasi i due terzi dei 40 mila dipendenti del gruppo. Insomma, una quadratura del cerchio che deve però superare una grande obiezione: la comunicazione è materia sensibile, più del gas, dell’acqua o dell’energia elettrica, cioè le altre commodities.

E per garantire che il controllo di dati ed informazioni, il petrolio dell’età digitale, resti sotto il controllo del Paese occorrono regole ferree. Non è destituita di fondamento l’obiezione legata al Cloud Act Usa che prevede che, su richiesta del governo degli Stati Uniti, una società deve mettere a disposizione tutti i dati che passano tra le “nuvole”, anche quelli sensibili. Se questo punto non potesse essere in qualche modo aggirato anche la partecipazione di Tim con il 45% al progetto del cloud nazionale di Stato (Psn), con Leonardo (25%), Cdp (20%) e Sogei (10%) rischierebbe di venir meno. Ed è proprio sulla base di questi ragionamenti che, secondo fonti finanziarie, Vivendi nei giorni scorsi avrebbe fatto avere una proposta alle istituzioni italiane volta a mettere in sicurezza in mano pubbliche la rete e le infrastrutture sensibili di Telecom, garantendo al contempo l’occupazione e la salvaguardia dell’azienda. Ma per ora la questione resta aperta. 

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Categories: Finanza e Mercati