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Tim, Elliott scende al 6,9%: assemblea il 23 aprile

Imagoeconomica

Dopo due anni di bagarre in cda, il fondo Elliott inizia a mollare la presa su Tim. L’investitore statunitense, che ancora due settimane fa, a parole, ribadiva la sua piena fiducia nel piano industriale presentato dall’Ad Luigi Gubitosi e garantiva sul suo status da investitore di lungo periodo, ha in realtà comunicato di aver fatto un passo indietro, riducendo la sua partecipazione dal 9,8% al 6,9% nel capitale della tlc italiana.

L’operazione di Elliott, che era salita quasi al 10% di Tim nel marzo 2016, è in buona parte anche legata all’emergenza coronavirus, che costringe un po’ tutti i grandi investitori a rivedere le proprie strategie e proteggersi, specialmente in questa fase turbolenta sui mercati (oggi il titolo Telecom Italia a metà mattinata è piatto, in una seduta in cui il Ftse Mib prova a insistere nel recupero dopo l’exploit di ieri).

Ci sarebbe stato in teoria anche il motivo della probabile minusvalenza da evitare, visto che quattro anni fa il fondo di Paul Singer ha pagato il suo primo 9,8% di Tim 0,81 euro per azione, e in seguito grazie a operazioni di trading ha abbassato il prezzo di carico a 0,51 euro. Ma per evitare questo Elliott aveva già assicurato tutta la posizione con un derivato che lo protegge da nuovi cali e gli dà diritto di vendere azioni se il titolo scende sotto quota 0,43 euro (oggi è a 0,39).

Il motivo principale resta quello strategico. Il cda targato Elliott in questi anni non ha avuto vita facile e pur ribadendo il sostegno a Gubitosi e alla sua squadra, il fondo sta in realtà decidendo di alleggerirsi sull’Italia anche in considerazione del fatto che qui ha sempre meno margini di manovra a causa del ruolo diventato ingombrante di Cdp, nel frattempo salita al 9,9% del capitale e destinata a fare da “anchor investor”.

Inoltre, secondo gli analisti, la maggior creazione di valore su Tim è appesa a cosa deciderà Enel del suo 50% di Open Fiber, una variabile su cui Singer non ha potere e su cui la Cassa guidata da Fabrizio Palermo è in conflitto di interesse: è sia socio di Tim sia azionista di co-controllo della rete guidata da Elisabetta Ripa. Fatto sta che in due anni Elliott non ha realizzato nessuna delle promesse che aveva fatto al mercato quando aveva promosso la sua lista di 10 consiglieri, da cui è stato scelto Gubitosi.

Allora il fondo Usa programmava di separare la rete in una società distinta da quella dei servizi, vendere Sparkle e convertire le risparmio in ordinarie. Quest’ultima opzione resta una delle priorità del gruppo appena si verificheranno le condizioni di mercato, mentre le prime due ipotesi sono tramontate. L’unica promessa di Elliott che si è realizzata è quella del pagamento di un dividendo simbolico di un centesimo.

Intanto ieri Telecom ha convocato l’assemblea per approvare bilancio e cedola il prossimo 23 aprile. Chissà se visto il disimpegno di Elliott, Vivendi (primo azionista con il 23,9% ma in minoranza in cda) o la stessa Cdp, chiederanno un’integrazione dell’ordine del giorno. E chissà cosa accadrà da qui all’assemblea del 2021, quando verrà a scadenza il cda targato Elliott.

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