X

Tim al bivio tra Opa di Kkr e rete unica con Open Fiber: oggi il Cda. Tutto quel che c’è da sapere

FIRSTonline

Tim al bivio: Opa si, Opa no. Azionisti, analisti, investitori, stakeholders ma anche il mondo della politica hanno tutti gli occhi puntati sulla decisione del board della compagnia telefonica di oggi pomeriggio, domenica 13 marzo, in merito all’offerta prospettata dal fondo americano Kkr quattro mesi fa sul 100% delle zioni della prima compagnia telefonica italiana. A novembre il fondo americano, che è già presente nella rete secondaria di Tim, aveva presentato una manifestazione d’interesse non vincolante da 10,8 miliardi di euro (cioè 0,505 euro ad azione) e aspirava ad ottenere “il gradimento degli amministratori della Società e il supporto dei soggetti istituzionali rilevanti” per lanciare un’Opa amichevole. Ma quel gradimento e quel supporto dei vertici non sono mai arrivati e l’Opa è per ora rimasta al palo, con grande delusione della Borsa che da sempre preferisce l’uovo oggi alla gallina domani.

Con la manifestazione di interesse di Kkr il titolo era volato da 0,35 a 0,45 euro fino al 3 marzo quando la quotazione è scesa a 0,40 in scia ai deludenti conti 2021 alle incertezze realizzative del nuovo piano industriale 2024 e soprattutto all’allontanarsi dell’Opa. Tanto che il primo azionista Vivendi ha svalutato i titoli da 0,857 a 0,657 per azione, la stessa che aveva ritenuto la proposta di Kkr troppo bassa ma che continua a dare pieno appoggio all’amministratore delegato Pietro Labriola.

Di fronte a tanta incertezza sull’assetto proprietario l’ex monopolista pubblico dei telefoni continuerà inevitabilmente a viaggiare sulle montagne russe. Motivo per cui, alcuni azionisti e gestori come Kairos e come i consiglieri di emanazione Assogestioni del board di Tim chiedono l’apertura del data room a Kkr, che è un po’ l’anticamera dell’Opa. Ma facciamo un passo indietro per capire cosa sta succedendo nella prima compagnia italiana delle telecomunicazioni.

Tim al bivio: l’offerta di Kkr

Il fondo di private equity americano si era fatto avanti a novembre con il proposito di lanciare un’offerta pubblica di acquisto sul 100% delle azioni, finalizzata al delisting (ovvero il ritiro dalla Borsa del titolo) al prezzo indicativo di 0,505 euro. Un’offerta sicuramente intrigante in quel momento dato che il prezzo di mercato era di 0.334 euro per azione con un premio potenziale pari al 50%. Sui valori attuali di Borsa il prezzo, se confermato, rappresenterebbe addirittura un premio del 70%.

La Manifestazione d’interesse, non vincolante, non convinceva per la serie di condizioni a cui era legata, tra cui lo svolgimento di una due diligence confirmatoria di quattro settimane. Una pratica spesso applicata nei casi di offerte amichevoli con lo scopo di ottenere informazioni sulla congruità del premio offerto e sulla validità del piano industriale.

Da quel momento, però, intorno alla partita sul controllo della prima compagnia italiana di tlc, che nel frattempo ha cambiato l’ennesimo Ceo, è calata la nebbia mentre Kkr si è chiuso in un impenetrabile silenzio. Da parte sua, il gruppo telefonico è andato avanti per la sua strada con un piano che porta un’infrastruttura unica per la banda larga a controllo pubblico a Cassa Depositi e Prestiti (azionista Tim al 9,8%) e alla fusione tra la rete secondaria di Tim (Fibercop) con Open Fiber.

Tim al bivio: resta aperta la partita con Open Fiber

A giudizio dei consulenti di Labriola sul piano industriale la separazione tra rete e servizi potrebbe portare Tim a 1 euro per azione, addirittura a 1,3 euro per azione se si concretizzasse un’integrazione delle reti con la società partecipata da Cdp (al 60%) e dal fondo australiano Macquarie (40%). Ma fra qualche anno.

Per quanto riguarda le opzioni strategiche per lo scorporo della rete (Netco e ServCo), però, il piano dell’amministratore delegato fatica a prendere forma. Tant’è che i dettagli sui numeri sono rinviati a fine giugno, in base ovviamente alla strada che si deciderà di percorrere, se quella della partnership commerciale con Open Fiber o quella lastricata dall’offerta presentata da Kkr. Ma è difficile che il Cda possa chiudere le porte al fondo Usa, già partner finanziario e azionista del 37,5% FiberCop, la società creata dalla telco nel 2018 per la fibra ottica.

In realtà il piano KKR e il piano Labriola non sono diversissimi ed entrambi puntano a smontare l’attuale integrazione verticale di Tim e a dividere la compagnia in due società: da una parte la rete e dall’altra i servizi. Il vero spartiacque dipende dal rapporto con la Borsa. KKR vorrebbe dividere Tim dopo aver proceduto al delisting mentre Labriola pensa che si possa riordinare Tim e dividerla in due società quotate senza passare dal delisting.

Il ruolo del Tesoro nella partita della rete unica

La posizione del Mef ha un peso rilevante sulle decisioni del Cda di Tim. La questione riguarda l’opportunità per la Cdp – che è azionista di Tim e che ha il controllo di Open Fiber – di dare il via libera a Open Fiber a firmare un memorandum of understandig con la telco per mandare avanti la partita della rete unica.

I due operatori sarebbero impegnati a definire le offerte da consegnare entro la fine di marzo per partecipare ai bandi del Piano Italia a 1 Giga per portare la banda ultralarga nelle aree grigie del Paese. Ma come possono integrarsi le sue società se si aggiudicheranno i lotti in gara separatamente?

La questione rimane delicata, perché non riguarda solo il futuro delle due aziende ma anche i fondi del Pnrr (3,8 miliardi di euro) che se non saranno assegnati entro giugno, l’Italia perderebbe.

Kairos in pressing sul Cda di Tim: “Rifiuto Kkr contro interesse azionisti”

Il gestore di fondi Kairos, Guido Maria Brera – che rappresenta anche Norges, il fondo norvegese che è l’ottavo investitore istituzionale di Tim con una quota oltre l’1% – ha scritto una lettera al board di Tim esprimendo “profondo sconcerto e preoccupazione per atteggiamenti tenuti e decisioni adottate” dal board in relazione alla manifestazione di interesse inviata da Kkr. Tale “chiusura a priori rispetto alla facilitazione alla presentazione di un’offerta vincolante “potrebbe provocare ingenti danni alla società e i suoi azionisti” in quanto preclude un’opzionalità per quest’ultimi, indipendentemente “dalla decisione di aderire o meno avrebbe offerto un floor valutativo”. E non solo, per il numero uno di Kairos la preoccupazione si è aggravata alla luce del piano strategico firmato Labriola “che ha determinato un crollo verticale del titolo” e “prevede potenziali operazioni straordinarie che potrebbero attivare il diritto di recesso”. Motivo per cui, secondo indiscrezioni di stampa, il fondo americano potrebbe abbassare la sua offerta a 0,40.

Insomma il caso KKR-Tim è un bel rebus e vedremo oggi se il cda della compagnia telefonica comincerà a sbrogliarlo e in che direzione.

Related Post
Categories: Finanza e Mercati