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Teenager imprenditori con la Fondazione Golinelli

Un bracciale che al mattino racconti la qualità del nostro sonno e, attraverso una app per il telefonino, suggerisca cosa fare per dormire meglio; uno strumento per controllare il pupo e cullarlo quando rischia di svegliarsi, nella speranza che lasci riposare anche mamma e papà. Presto questi prodotti, ideati da teenager emiliano-romagnoli, potrebbero arrivare sul mercato grazie al Giardino delle imprese, vivaio di giovanissimi industriali della Fondazione Golinelli.

La Fondazione è la creatura dell’imprenditore Marino Golinelli, nata nel 1988 per la crescita intellettuale dei ragazzi, modellata sullo stile delle realtà filantropiche americane e prossima a trasferirsi con tutte le sue attività, il 3 di ottobre, nell’Opificio, un’azienda dismessa di Bologna divenuta un centro del sapere e del saper fare dopo un investimento di 12 milioni di euro per la ristrutturazione. Il Giardino è la sezione che coltiva imprenditori in erba. Il meccanismo è presto detto: la Fondazione, con i suoi partner (che sono tanti) propone un tema e i candidati, ragazzi delle scuole medie secondarie, dopo un corso accelerato d’impresa, sviluppano le proposte. La prima edizione ha chiesto agli oltre 60 partecipanti di cimentarsi con il monitoraggio del sonno “un tema – spiega Antonio Danieli, direttore generale della Fondazione – in linea con la nostra vocazione scientifica e che unisce molti ambiti, dalle nanotecnologie, alle neuroscienze, alla genetica”.

A prevalere sono stati il gruppo Zyron di Imola, con il bracciale e i Day Dreamers di Forlì, con l’applicazione per bambini fino a 18 mesi. L’approdo però va oltre il fatto di mettere un trofeo in bacheca. Le idee vincitrici infatti diventano prototipi e brevetti con i fondi, circa ottomila euro, messi a disposizione dal Trust Eureka. “Si tratta di una cassaforte di cristallo ideata sempre da Golinelli – spiega Danieli – che fino ad oggi ha raccolto 670 mila euro da un nutrito gruppo di finanziatori ”. In questo giardino dunque i sogni diventano realtà, progetti così concreti che i team firmano un patto di riservatezza, di cui la Fondazione è garante. Nel percorso si passa dal dire al fare, accompagnati per mano prima dalla Fondazione e poi da un network di partner, come la società Aster, della Regione Emilia-Romagna, che si occupa dell’incontro con eventuali investitori. La Fondazione invece si ferma su questa soglia, almeno per ora: “Ancora non facciamo venture capital”, chiosa Danieli. Se le cose dovessero andare male resterà lo scudetto, o meglio la certificazione delle competenze e l’attribuzione di un e-badge da condividere sui social e da inserire nel futuro e-portfolio. E mentre i primi progetti marciano verso il futuro, altri arrivano a maturazione. È già partita la seconda edizione del Giardino, dedicata alle piccole e medie imprese della filiera della frutta dell’Emilia-Romagna, con l’obiettivo per i ragazzi (sempre di scuola media superiore) di creare innovativi sistemi di confezionamento, marketing, distribuzione e vendita che valorizzino il Made in Italy.

Il cibo è di grande attualità, ma “al di là dei temi, che oggi possono essere questi e domani altri – osserva il direttore – è importante che i ragazzi imparino un metodo, capiscano che fare impresa è un impegno per sé e per gli altri”. Cento le candidature, per un percorso così articolato: campo estivo di tre settimane dal 29 giugno al 10 luglio e dal 24 al 28 agosto, 70 ore di lezione su cultura d’impresa, innovazione tecnologica, project work e ricerca. In autunno ci sarà lo sviluppo dei progetti, con incontri settimanali. Tra novembre e dicembre il concorso di idee e la scelta dei vincitori, massimo tre, per un finanziamento fra i 6mila e i diecimila euro. E la ruota ricomincerà a girare: “Quello che ci preme – conclude Danieli – è che i ragazzi vincano soprattutto le loro paure, mettano alla prova le loro idee, perché il coraggio, nella vita professionale, è più importante dell’errore.

Nel mondo anglosassone anche uno sbaglio fa curriculum. Oggi in Italia la disoccupazione giovanile sfiora il 44% e l’età media di chi comincia a fare impresa è 34 anni. Bisogna accorciare le tappe, aiutare i giovani a misurarsi con la vita e a sfruttare la loro vivacità intellettuale, fornendogli al tempo stesso gli strumenti per non farsi male”. In questa fucina del ben fare e del ben pensare si sta studiando anche un corso parauniversitario e l’abbassamento ulteriore dell’età dei partecipanti, perché non è mai troppo presto per forgiare delle menti e aiutarle ad affrontare il futuro, perché non è mai troppo tardi per fare politica industriale e tenere viva la grande tradizione manifatturiera italiana.

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