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Succo d’arancia, prezzi alle stelle: clima e batterio killer affossano le produzioni di Usa, Brasile e Messico

Pixabay

Attenzione al prezzo dei succhi d’arancia nei prossimi mesi, soprattutto nel prossimo inverno, quando la nostra dose quotidiana di vitamina C potremmo doverla pagare a peso d’oro. Il motivo? I cambiamenti climatici, che stanno mettendo in ginocchio tre dei maggiori produttori mondiali di arance per succhi di frutta, vale a dire Usa, Messico e Brasile. Lo scenario più critico è quello della Florida, che nel raccolto 2023-2024 produrrà solo 16 milioni di casse, il 60% in meno del raccolto precedente e uno dei peggiori dal 1930, secondo le stime del Dipartimento di Agricoltura statunitense. Nel caso dello Stato nordamericano, ad incidere è stato soprattutto l’uragano Ian, che si è abbattuto nell’area nel settembre dell’anno scorso provocando danni per 250 milioni di dollari solo nel settore della citricultura, ma anche il il cosiddetto greening, un batterio probabilmente di origine asiatica che sta decimando le piantagioni e che è sempre più resistente agli insetticidi.

La minaccia per il succo d’arancia

L’incidenza di questo batterio era infatti del 16% nel 2016, mentre nel 2022 era già salita al 24%, cioè quasi una pianta su quattro uccisa dalla malattia trasmetta da un insetto (psilideo) che prima veniva debellato nell’80% dei casi dagli insetticidi, mentre oggi la letalità del rimedio è scesa al 30-40%. Per lo stesso motivo (oltre che per la siccità) la produzione del Messico è caduta del 30%, ma ora a preoccupare di più è il Brasile, primo esportatore al mondo di arance per succhi con una quota di mercato del 75%. Praticamente la produzione congiunta dei due maggiori player mondiali del settore (Brasile e Florida) dovrebbe dimezzarsi quest’anno, passando dai 600 milioni di casse della scorsa stagione a 330 milioni, peraltro in uno scenario di crescita della popolazione globale e dunque di aumento della domanda. Per la verità la raccolta brasiliana di per sé non sarà così scarsa: è prevista in calo solo dell’1,55% rispetto al 2022, ma lontanissima dalle raccolte record di inizio anni 2000 (-30% circa) e anche inferiore all’aspettativa del mercato, che sperava in 320 milioni di casse prodotte, mentre saranno meno di 310 milioni.

La produzione regge ma vanno a picco le scorte

Il dato più allarmante, nella prospettiva di un clima che è sempre meno prevedibile e che quindi potrebbe nel frattempo provocare altri danni, è quello degli stock, che si stanno praticamente azzerando: nel 2012 il Brasile aveva 1,14 milioni di tonnellate di arance di scorta, mentre nel 2022 il dato è sceso a 434.000, il più basso di sempre. La restrizione dell’offerta sta già facendo lievitare i prezzi sul mercato europeo: ad esempio l’associazione francese Unijus ha rilevato che il prezzo della tonnellata di succo d’arancia è salito da 2.600 a 3.400 euro, dovuto anche alla siccità che ha colpito la Spagna e al fatto che gran parte del raccolto brasiliano viene ora dirottato verso gli Usa, spingendo appunto al rialzo i prezzi in Europa, alla quale tradizionalmente era destinata la fetta più grande della produzione sudamericana. Non a caso, già nello scorso novembre il costo dei contratti futures del succo d’arancia concentrato e surgelato non era mai stato così alto da cinque anni, superando i 2,20 dollari per libbra.

Cresce la concorrenza di paesi come Egitto e Sudafrica

Si è avverata dunque la profezia del film “Una poltrona per due”, ma al contrario: nel cult natalizio, infatti, il commissario dell’Agricoltura spiega: “L’inverno rigido non sembra aver compromesso il raccolto delle arance”. Tradotto: offerta abbondante, prezzi estremamente bassi e, nella trama del film, i diabolici fratelli Duke in rovina. Oggi, nel mondo reale, il loro sogno di arricchirsi si sarebbe avverato. Per quanto riguarda invece l’Europa e l’Italia – il cui consumo di arance è segnalato in crescita – non resta che rivolgersi a nuovi esportatori: promettono bene Egitto e Sudafrica, clima e insetti killer permettendo.

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