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Sostenibilità e misurazione d’impatto per gli investimenti del PNRR

Global Thinking Foundation

Come scongiurare eventuali banalizzazioni, quando non operazioni di mero “washing”? Come far procedere in parallelo il canale della corretta comunicazione e il binario del rigore nella puntuale e costante valutazione dei risultati di sostenibilità? Ne parliamo con uno degli speaker intervenuti al VI evento annuale di Global Thinking Foundation : il Professore Luigi Corvo, co-founder della piattaforma digitale, Open Impact, nata come spin off dell’Università di Roma Tor Vergata allo scopo di raccogliere e rendere accessibile l’intero set di dati, informazioni e conoscenze già generato dall’intelligenza collettiva con progettualità legate alla sostenibilità, ma non sfruttato.

Impatto e Sostenibilità sono i termini a cui più insistentemente si ricorre nel tentare di tratteggiare i lineamenti di una economia ‘possibile’ e che più frequentemente sono evocati per rimarcare l’esigenza di una transizione che, prima di essere digitale e ambientale, deve essere culturale. Il ‘disinvolto’ ricorso a tali concetti, tuttavia, comporta il rischio di svilirne la portata rivoluzionaria e ridurne il potenziale trasformativo, comprimendoli e confinandoli all’interno della sfera del marketing: ma non è questa la loro sede naturale. Al contrario, richiedono un investimento in termini di intenzionalità politica e strategica.

Un ricco database , quello sviluppato da  Open Impact,  anzi un vero e proprio tesoro sepolto, che consentirebbe di orientarci nel mondo della sostenibilità con evidenze e metriche in grado di misurare il valore prodotto, non più solo in termini finanziari, ma anche rispetto alle dimensioni sociale ed ambientale.

Professore Luigi Corvo, cosa si propone con Open Impact?

“Nostro obiettivo è rimuovere le barriere tecniche per abilitare i decisori a compiere scelte sempre più consapevoli verso la transizione ad un nuovo mondo, che immaginiamo come ‘casa’ della Next Generation, ovvero quel luogo in cui il valore investe una dimensione più ampia e profonda di quella del profitto. Il secolo scorso, caratterizzato da un capitalismo estrattivo, ha declinato il valore nella sola accezione finanziaria. Richiamando una bellissima poesia di Erri de Luca, ‘Considero valore’, vorremmo contribuire ad una nuova significazione di ciò che la società considera valore”

Come intendete farlo?

“Facendo leva su tutta conoscenza disponibile: non siamo certo i primi, né i soli, interessati a misurare gli impatti sociale e ambientale, anzi. C’è una nutrita comunità impegnata a produrre dati e a pubblicare report. Tutto ciò, però, ad oggi è ampiamente trascurato, preferendo seguire due strade scarsamente efficaci: costruire, di volta in volta, modelli di misurazione, o rifarsi a tassonomie top down tendenti a standardizzare i processi al punto da svuotarli del contenuto, determinando un effetto compilativo più che trasformativo. Quando la sostenibilità si traduce in procedura è come quando la farina diviene 00”

In altre parole, perde il proprio valore “nutrizionale” per lo sviluppo dell’ecosistema. D’accordo, ma in che modo le valutazioni di Open Impact posso prescindere dai vincoli delle tassonomie più accreditate?

“Costruendo un ambiente di apprendimento in cui i dati raccolti da altre valutazioni favoriscono e accelerano un processo di cross-learning. In altri termini, i dati imparano dai dati e l’intelligenza umana si integra con quella artificiale per ottimizzare ogni conoscenza, ovunque nel mondo sia stata prodotta. Le tassonomie, dunque, non rappresentano più un vincolo a cui adempiere, ma un riferimento a cui tendere, per far convergere le evidenze raccolte dal basso in cluster di comparazione riconoscibili da policy maker e investitori. Pensiamo agli SDGs, alla EU Taxonomy e ai criteri ESG: queste tassonomie sono utilissime, se intese in un processo circolare, in cui flussi ascendenti e discendenti di dati riescano a portare sempre maggiori evidenze dall’alto dei luoghi decisionali al territorio in cui si sperimentano innovazioni e viceversa”

Come tutto ciò si rapporta alla finanza e agli investimenti?

“Questo è un passaggio chiave del nostro approccio. I dati ci dimostrano che il valore sociale e quello ambientale non sono da considerarsi meramente teorici, come dimostrato dal fatto che è quasi sempre riconoscibile il riflesso finanziario sprigionato da cambiamenti sociali e ambientali positivi”.

Qualche esempio?

“Progetti che riescono a misurare l’impatto in termini di maggiore inclusione sociale provocano significativi effetti finanziari in termini di riduzione strutturale della spesa pubblica, così come la riduzione dell’emissione di CO2 determina risparmi sul costo della bolletta energetica e su altri fronti di spesa. Una piattaforma intelligente è in grado di collegare gli impatti ai suoi effetti finanziari e a valorizzare il ritorno sociale e ambientale di un investimento su scala micro, meso e macro”

Potrebbe, quindi, essere utile anche come metodo di lavoro per orientare e monitorare gli investimenti previsti dal PNRR?

“Certo. Abbiamo già avviato una sperimentazione di utilizzo del database degli impatti a supporto delle intenzioni di investimento esplicitate dal PNRR: abbiamo evidentemente l’irripetibile opportunità di compiere un’evoluzione nel modo in cui concepiamo i processi di investimento e costruiamo le relazioni pubblico-privato. Il PNRR, così come i fondi legati alla programmazione EU 21-27, non solo devono prevedere valutazioni di impatto sociale e/o ambientale ex post, ma dovrebbero essere indirizzati ai progetti capaci di esprimere, ed esplicitare, le intenzioni di impatto atteso. La sostenibilità, dunque, non attiene alla mera verifica, ma al pensiero strategico di un futuro desiderabile: un ecosistema socio-economico inclusivo, equo e compatibile con quello naturale. Oggi, tale prospettiva, attraverso l’alleanza fra innovazione digitale e sociale, è perseguibile”

Dalle sue parole, traspare un ottimismo di fondo. È così?

“La specie umana ha già dimostrato nel corso della storia di riuscire in sfide ai limiti del possibile. Il mio ottimismo nasce dalla continua percezione delle ‘ricchezze del possibile’, che, per dirla con Andre Gorz, vedo come nettamente prevalenti rispetto alle ‘miserie del presente’”

Allora non si tratta di ottimismo, ma più probabilmente di riacquisire la facoltà di immaginazione

“Esatto. Parlerei di necessità di coltivare un realismo trasformativo e non imprigionato in vincoli apparentemente naturali ma, in realtà, frutto di costrutti sociali. E i costrutti sociali, come il concetto di profitto, sono campi semantici che possono essere ri-significati attraverso nuovi pattern emergenti. Questa società ha un compito storico di grande fascino: far evolvere i segnali che orientano le conversazioni di mercato, abbracciare la complessità umana, ben oltre l’astratta semplificazione dell’homo aeconomicus, il cui agire nella realtà sociale è parziale e dettato dall’utilità individuale.

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Categories: Economia e Imprese