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Sapelli: “In Argentina Macri ha sconfitto il peronismo anche se non diventerà il leader del Sudamerica”

Imagoeconomica

“L’Argentina sceglie Macri nonostante le difficoltà perché il peronismo della Kirchner è definitivamente finito: troppo diviso, e ormai in tutto il Sudamerica si è chiuso il ciclo dei grandi partiti, con le sinistre in arretramento dopo le ultime grandi esperienze con Lula e Chavez. Lo stesso Morales, completamente diverso da Macri, ha dato in Bolivia una risposta diversa da quella tipicamente peronista”. Giulio Sapelli, docente di Storia economica alla Statale di Milano e grande esperto di America Latina, spiega così le recenti elezioni legislative di mid-term che hanno visto il rafforzamento del presidente Mauricio Macri, eletto due anni fa con appena il 3% su Cristina Kirchner, moglie di Nestor e rappresentante di una dinastia che ha occupato la Casa Rosada dal 2003 al 2015, prima tirandola fuori dalla grande crisi del corralito, poi non trovando più le risposte necessarie a riportare la crescita economica nella terza (una volta seconda) economia del Sudamerica.

“Cambiemos”, il partito di Macri, ha vinto nelle elezioni di mid-term in 13 province e stravinto nella capitale Buenos Aires. L’affluenza è stata del 78% e stavolta Macri ha quasi doppiato Cristina: 41,76% (oltre 10 milioni di voti in un Paese di 40 milioni di abitanti) contro 21,83%. Un risultato contro ogni pronostico?

“Sì, perché storicamente in Argentina le elezioni di medio termine sono negative per il partito di governo, ancora di più di quanto accade negli Stati Uniti, e lasciano spazio al populismo. Macri invece ha ottenuto il suo sdoganamento, approfittando soprattutto del fatto che il peronismo kirchnerista non esiste più e l’alternativa migliore rimane lui, che tra mille difficoltà sta riportando il Paese a prospettive economiche migliori e più stabili”.

E’ dunque stato eletto principalmente per demeriti altrui?

“Macri ha ereditato una situazione pesantissima. Il protezionismo della Presidenta ha fatto danni che hanno favorito il suo avversario: si pensi per esempio al mercato della carne, completamente distrutto. Nel 2005 l’Argentina era il terzo esportatore di carne al mondo, oggi il tredicesimo dietro anche al piccolo Uruguay. La Pampa era diventata un ammortizzatore sociale ma molte aziende sono fallite e hanno iniziato a produrre soia per il mercato cinese, abbattendo il bestiame e rinunciando a molta manodopera che si è riversata nelle città. E l’urbanizzazione tradizionalmente porta la gente a votare a destra, perché c’è almeno inizialmente la sensazione di poter stare meglio”.

In parte con Macri è stato così: il Pil, dopo un 2016 complicato, è tornato a crescere nel primo semestre di quest’anno, seppur debolmente (+1,6%); l’indice di povertà, che nei primi nove mesi del suo mandato era salito al 32% (con 1,5 milioni di nuovi poveri), è ora sceso al 28,6%; la produzione industriale cresce del 5,1%, le costruzioni del 13%. L’Argentina è dunque in ripresa?

“Sì, ma è una ripresa fragile, all’europea se vogliamo, basata su un abbassamento dei salari e dunque della qualità della vita, e sui consumi da deflazione”.

E perché i cittadini dovrebbero essere contenti di questo, al punto di votare in larga maggioranza per il presidente? Oltretutto la disoccupazione è salita dal 5,9% dell’ultimo dato di Cristina Kirchner all’8,7% rilevato a luglio.

“Perché prima era molto peggio, la gente faceva fatica a mangiare, ricordiamo tutti i cartoneros, le persone che vivevano nei cartoni nella centralissima Avenida 9 de Julio. Il lavoro creato dalla Kirchner è stato parassitario in molti casi, assistenzialista. Si pensi nuovamente alla Pampa: prima, come dicevo, era un ammortizzatore sociale, ora è diventato un sistema produttivo perfettamente capitalistico, con aziende che vanno anche a quotarsi in Borsa. Questo crea un ecosistema economico più evoluto e stabile”.

Capitolo inflazione. L’Argentina è il settimo Paese col dato più alto al mondo, in una graduatoria comandata da Stati disastrati come Venezuela, Congo, Sudan e Libia. Anche se il trend sta cambiando: ad agosto l’inflazione mensile è stata dell’1,4%, a settembre dell’1,9%, e per il 2017 l’FMI stima un dato annuale del 22%. Macri ha detto che quella del 2018 sarà la più bassa degli ultimi 8 anni.

“Il più grande merito di Macri è sull’inflazione: ricordiamoci che in passato l’Argentina ha avuto tassi di inflazione al 1000%, adesso è sempre molto alta ma sotto controllo. Poi è stato bravo anche a riaprire le porte ai capitali esteri: ha rimesso l’Argentina sul mercato e questo piace alla piccola e media borghesia del Paese, oltre che ai giovani che si riconoscono in un Paese più aperto. Infine, e questo lo dico a margine, Macri ha vinto anche grazie al sostegno della Chiesa”.

La tornata di dieci giorni fa è stata il più duro colpo al peronismo da 30 anni, da quando nel 1985 vinsero i radicali di Alfonsin. Tuttavia, pur essendosi rinnovati metà dei deputati e un terzo dei senatori, la maggioranza di Macri in Parlamento è ancora ballerina.

“Questo paradossalmente va a suo favore. Gli argentini hanno una psicologia del voto tutta particolare, il fatto che Macri non eserciti un potere così assoluto li rassicura. Oltretutto è stato ai tempi un buon governatore di Buenos Aires e gli elettori lo hanno ormai sdoganato: è riuscito anche a far dimenticare suo padre Franco, nato in Italia e diventato uno degli uomini più ricchi d’Argentina. Un imprenditore edile che costruì un impero, ma anche un uomo molto discusso”.

In cosa invece Macri ha sbagliato?

“Nella gestione dei rapporti con i sindacati. Il problema del lavoro e della povertà è ancora fortissimo e lui non ha mediato molto. Elettoralmente ha pagato, anche se politicamente non è stato il massimo. Del resto lui non è un politico puro: è un ingegnere, un imprenditore edile prestato alla politica, ha fatto bene il governatore di Buenos Aires ed è stato anche presidente del club calcistico più famoso del Paese, il Boca Juniors. E’ un Montezemolo argentino, se vogliamo, ma con più spessore”.

Dopo questo successo elettorale, qual è il rischio maggiore che corre Macri da qui alla sua possibile rielezione nel 2019?

“Quello dei migranti boliviani e paraguaiani. Un tema di cui parliamo poco in Europa, ma che equivale all’immigrazione dall’Africa per noi. Dai Paesi confinanti sta arrivando un esercito di poveri, che mettono a dura prova il sistema di welfare argentino: in alcuni casi vanno in Argentina per usufruire delle cure gratuite che il sistema sanitario offre. Questo problema è molto sentito dagli argentini, come per noi europei quello dei migranti africani”.

Secondo lei Macri sarà rieletto nel 2019? E se sì, darà vita a un nuovo corso della politica sudamericana, di cui lui sarà il leader?

“Non so se vincerà di nuovo, dipende molto da quello che accadrà in Venezuela, ma soprattutto in Brasile e dal rapporto con gli Usa. Con Trump può succedere di tutto, non escludo una nuova stagione di dittature militari, manovrate da Washington, anche se ovviamente non con i livelli di violenza delle stagioni più buie. In ogni caso Macri non è e non sarà il leader politico del Sudamerica: l’ultimo è stato Lula, adesso ogni Paese ha una storia a sé”.

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