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Rigels Tepshi: l’albanese che ha sposato Lomellina e Napoli

Alberto Blasetti Ph. www.albertoblasetti.com

Sono quasi 500.000 quelli regolarmente residenti in Italia, come la popolazione di Genova e provincia. Storicamente il nostro Paese ha rappresentato un approdo sicuro per quanti, nel XV secolo, dovettero abbandonare le loro terre a causa dell’avanzata dei turco-ottomani. Poi agli inizi degli anni ’90 la grande drammatica ondata migratoria causata dalle disperate condizioni di vita dopo il crollo della cortina comunista. La comunità albanese in Italia è una radicata realtà etnica, perfettamente inserita nella popolazione italiana che ha saputo esprimersi con successo in numerosi campi, artistico, sportivo, culturale, economico.

Senza andare troppo indietro nel tempo i primi nomi che vengono in mente sono quelli di Anna Oxa, che non ha bisogno di commenti; di Kledi Kadiu, il giovane ballerino arrivato in Italia a bordo della nave Vlora insieme a 20mila persone che vi avevano trovato rifugio, lanciato dal talent show di Maria De Filippi, oggi richiesto dai teatri di tutto il mondo; di Clirim Muça poeta, scrittore, drammaturgo che nel 1992 arrivò in Italia passando per la Grecia e la ex Jugoslavia, a piedi, in pullman e in treno, passato per cinque anni di clandestinità ma che oggi è imprenditore alberghiero a Castiglioncello, e anche titolare di una casa editrice, la Albalibri, che pubblica gratis autori italiani ed europei; di Elhaida Dani vincitrice della prima edizione di The Voice nel team di Riccardo Cocciante, che ha interpretato con successo il ruolo della protagonista Esmeralda nella edizione francese e italiana del musical Notre dame de Paris.

E ancora di Inva Mula soprano considerato tra i dieci migliori soprani del mondo di casa al Teatro La Scala; di Saimir Pirgu, giovane tenore albanese naturalizzato italiano acclamato come una vera e propria rivelazione in tutti i teatri e festival più importanti al mondo, vincitore del premio Pavarotti; di Igli Tare ex calciatore di ruolo attaccante dal 2009 direttore sportivo della Lazio; di Ermal Meta vincitore del premio della critica Mia Martini al Festival di Sanremo o di Gentian Selimi, il bocconiano assunto alla Caboto che lasciò tutto per mettere su a Gubbio un’impresa di integratori di alto livello che oggi ha sedi in tutto il mondo.

Si potrebbe proseguire per molto nel parlare di Albanesi di successo che ce l’hanno fatta in Italia, fra questi va citato Rigels Tepshi, 30 anni, affermato chef talentuoso di cui si sentirà sempre più parlare in futuro. Giovanissimo, dimostra meno della sua età, da due anni Tepshi si è insediato nelle cucine di “Ottocentodieci ristorante” all’interno dell’Hotel Eridano, a Sannazzaro de’ Burgondi, paesino di cinquemila anime nella bassa Lomellina, ai margini della valle alluvionale del Po, la cui economia è legata alla grande raffineria che l’ENI, il cuore pulsante della raffinazione petrolifera italiana voluto da Enrico Mattei.  

Nome strambo per un ristorante ma dietro ai numeri si cela in realtà un preciso concetto gastronomico: ottocentodieci sono i chilometri che uniscono Sannazzaro a Napoli, sono i chilometri percorsi da Annalisa Magri giovanissima e decisa imprenditrice, partita dalla costiera napoletana per insediarsi nel paesino lomellinese dove, con grande entusiasmo e intraprendenza, ha avviato la sua attività imprenditoriale alberghiera e ristoratrice.

Un atto d’amore per la sua Campania e un impegno di fedeltà per la sua terra d’adozione, con un fil rouge che coniuga le due realtà geografiche: la fedeltà alle eccellenze del suo territorio, alle sue genuine tradizioni gastronomiche, al senso dell’ospitalità e del calore tipici della costiera napoletana, e l’impegno di scoprire ed esaltare il panorama gastronomico pavese “che ancora ha molto da dire, che ha grandi potenzialità inespresse”, sviluppando con forza il progetto di unire queste due culture così distanti all’interno di ricette uniche.

Un progetto ambizioso che ha entusiasmato Rigels Tepshi che si è trovato a suo agio, una sfida che ha accolto con voglia di mettersi in discussione e che in fin dei conti ripercorre il suo vissuto personale, la memoria dell’Albania dove è nato e la perfetta integrazione con l’Italia, non solo terra d’adozione, ma la “sua terra”: vi arrivò a sei mesi di età, nell’alessandrino dove i suoi presero residenza. “La mia cultura – dice – mi ha lasciato qualcosa che custodisco gelosamente: Rigels, infatti, è una stella della Costellazione di Orione. Una stella che porta il mio nome! L’ho sempre interpretato come un buon auspicio, un augurio per quello che verrà. E non mi ha mai tradito”.

Figlio di un autotrasportatore e di un’operatrice sanitaria, Tepshi giocando da piccolo con i soldatini, suo passatempo preferito, avverte così forte il fascino delle divise che sogna di entrare da grande “nelle forze dell’ordine per servire il paese”. Il mutamento di programma dei suoi sogni avviene quando sua madre viene destinata alle cucine dell’azienda sanitaria, e diventa cuoca. La cucina entra così indirettamente nella sua vita. Diventato un po’ più grandicello e abbandonati i soldatini, il giovane Rigels, su consiglio della madre, si iscrive all’Istituto Alberghiero Artusi di Casale Monferrato nei pressi di Alessandria e contemporaneamente trova lavoro in una pizzeria.

“La mia prima esperienza fu in una pizzeria per iniziare il mio percorso di indipendenza. A volte penso che avrei voluto divertirmi di più vista la mia giovane età ma a oggi posso dire di essere felice delle scelte che ho fatto”. Dà una mano, serve ai tavoli, prepara i condimenti, fino a che un giorno gli chiedono eccezionalmente di fare di corsa una pasta per alcuni avventori. Intuitivo, impulsivo (“cosa che però riesco a controllare mantenendo i nervi saldi”), rigoroso, determinato nel raggiungere gli obiettivi che si prefigge, Rigels non se lo fa ripetere due volte, abbandona le pizze, va in cucina e prepara il piatto. Riceve i complimenti di tutti, il suo orgoglio è alle stelle: è protagonista, e non uno dei tanti pizzaioli, e questo gli fa accendere una lampadina (“capii la soddisfazione che questo lavoro avrebbe potuto darmi. Da lì il vero via alla mia carriera”).

Rigels comincia da quel giorno a sperimentare, prendendo ispirazione dove capita. Ma obiettivamente si rende conto che la strada non è poi così facile se si vogliono raggiungere risultati concreti e lui non è persona da accontentarsi di poco (“Purtroppo la realtà non ha rispettato le aspettative. Ho capito che per dare il meglio mi mancava ancora esperienza, cosa che ritengo fondamentale”).

Con quel caratterino che si ritrova, si butta a capofitto in questo mondo che lo attira e lo affascina assistito dalla sua buona costellazione dell’Orione. Perché il giovanissimo Tepshi avvia la sua marcia a tappe forzate passando per alcune strutture dell’Alessandrino tra cui Villa Sparina, sulle colline del Gavi, dove c’era un giovanissimo Massimo Mentasti (che da lì a pochi anni avrebbe conquistato la Stella Michelin), Villa Pomela a Novi Ligure, dove ricopre il ruolo di sous chef per 3 anni. Poi nel 2014 il grande salto che lo porta in alto: inizia l’esperienza al Trussardi alla Scala (all’epoca 1 Stella Michelin), punta di diamante della ristorazione meneghina, dove sotto la guida di Luigi Taglienti diventa capo partita.

Quando Taglienti cede i fuochi a Roberto Conti, formatosi al fianco di chef di fama internazionale come Maurizio Bosotti, Pietro Leemann del Joia, Andrea Berton, Rigels sale rapidamente i gradini e diviene sous chef. Ha bruciato tutte le tappe, viene addirittura chiamato per consulenze importanti, come quella al Sikelia a Pantelleria, un Resort 5* lusso che è un punto di riferimento del turismo siciliano d’alto livello, per cui ha curato l’apertura. Ma il nostro non è ancora soddisfatto vuole salire ancora più in alto e ci riesce.

Nel 2018 inizia un’esperienza al ristorante Seta – 2 Stelle Michelin – all’interno dell’hotel 5* Mandarin Oriental, dove Antonio Guida è executive chef. Un’esperienza che regala a Rigels la piena consapevolezza delle sue capacità. La cosa arriva all’orecchio di Annalisa Magri: quel ragazzo giunto così in alto e in così breve tempo, che ha cucinato per Trussardi e Berlusconi, per Philipp Plein, il grande designer di moda e personaggi dello spettacolo da Manuel Agnelli a De Sica, è la persona giusta per realizzare il suo progetto in Lomellina. Con grande coraggio Tepshi accetta, lascia Milano e si trasferisce a Sannazzaro dei Burgondi. Crea subito una squadra affiatata di giovani affiancato dal sous chef Carlo Sarchi che proviene da esperienze di tutto rispetto accanto a grandi Stellati come Antonio Cannavacciuolo e Andrea Ribaldone.

“Ottocentodieci” fa subito rumore, Tepshi ha idee chiare e decise su come sarà la sua cucina, disegna la filosofia del ristorante interpretando i profumi e i sapori del Mediterraneo attraverso accostamenti inediti e originali da appaiare ai migliori prodotti della Lomellina e dell’orto. Ne nasce una cucina contemporanea d’autore che coniuga territorio e armonia degli ingredienti, bellezza estetica, naturalezza e naturalezza di sapori, innovazione e creatività nell’assoluto rispetto della stagionalità.

“La mia cucina non è estrema, afferma lo chef – ma certamente l’obiettivo che mi sono sempre prefissato è di fare una cucina che sia decifrabile da tutti, una cucina concepita come un luogo di incontro che non deve creare soggezione nel cliente. La gente deve avvicinarsi ai miei piatti e percepire subito cosa c’è dentro, deve sentirsi a suo agio, non deve essere stupita da soluzioni astruse che lo mettano in difficoltà e soprattutto deve conservare un ricordo di piacevolezza che lo faccia sentire a proprio agio e quindi gli dia il piacere di ritornare”.

E questo vale per i suoi “Scampi in versione alla catalana”. Un piatto di concetto, ottenuto lavorando su diversi pensieri, il pieno utilizzo degli ingredienti e le diverse consistenze presenti; come per il suo “Raviolo di zucca Bertagnina con brodo di salame d’oca di Mortara e pepe di Timut” un piatto che rappresenta al 100% la Lomellina “zona che ci ospita e che cerchiamo di valorizzare al nostro meglio”, così come per il “Riso Carnaroli Riserva San Massimo, cipolle rosse di Breme, limone, agretti, polvere di pane”, un piatto rassicurante, come lo definisce lo Chef, o l’”Animella con zucca Bertagnina di Dorno, finferli e caviale prestige Calvisius” ( prodotto da un allevamento nel bresciano), piatti che portano in tavola il territorio pavese e le sue tradizioni filtrati attraverso la fantasia e la creatività di Tepshi.

Ovviamente tutto ciò non arriva a caso. La sua organizzazione in cucina – memore della antica passione per i soldatini e la vita militare – è impostata alla francese, secondo una precisa gerarchia. Il ché vuol dire che il rigore è d’obbligo, la disciplina è la legge, il coordinamento deve essere costante: i capopartita cucinano, servono al pass le preparazioni e lo chef assembla il piatto, perché sul controllo finale dell’impiattamento Tepshi non transige. Per Rigels tuttavia è anche importante che la sua brigata si senta motivata attorno a un progetto che è e deve essere comune, e lui è sempre pronto a dare consigli.

Voltandosi indietro a guardare la sua rapida carriera Tepshi oggi osserva: “Sarebbe stato sicuramente più semplice andare in un ristorante conosciuto in una grande città e diventare qualcuno. Ma quando mi offrirono questa possibilità, a due passi da Alessandria, dove sono vissuto e cresciuto, allora ho pensato che avrei avuto più stimoli a fare tutto da me, partendo dalla provincia italiana. Credo che non ci sia nulla di più importante di presentare un piatto in cui le persone possano riconoscersi. Ovvero partire da ricette e ingredienti tipici e conosciuti per poi dare un mio tocco personale al tutto e rendere unica l’esperienza”.

A due anni di distanza la sfida di “Ottocentodieci” è stata ampiamente vinta. E se poi considerate che lo chef mito di questo ragazzo, dai modi cortesi e affabili, è nientemeno che Marco Pierre White, irriverente enfant terrible della cucina inglese, tutto genio e sregolatezza, anticonformismo e torbide passioni, il più giovane tristellato britannico della storia, il maestro di Gordon Ramsay, allora si può anche indovinare verso quale futuro si stia indirizzando il giovane Tepshi, guidato dalla sua costellazione di Orione.

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