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Presbitero: il consolidamento del debito proposto da Fratianni e la lezione della Giamaica

Uno degli aspetti fondamentali per poter analizzare le possibili via d’uscita dalla crisi del debito in Europa è la necessità di poter disporre di una serie di policy options, ognuna delle quali presenti in maniera chiara e definita, per quanto possibile, costi e benefici.
Se la soluzione paventata è raggiungere il pareggio di bilancio, quali ne potranno essere i costi in termini di crescita potenziale? Quali sono le diverse conseguenze di agire sul lato della spesa o delle entrate? E’ davvero realistico pensare a un’expansionary fiscal contraction, e sotto quali condizioni? Un’eventuale uscita dall’Euro quanto costerebbe realmente, e chi ne sopporterebbe in misura maggiore i costi? Quali costi comporterebbe per il sistema finanziario e per i detentori di titoli di Stato una parziale ristrutturazione del debito? Esiste davvero un costo di lungo periodo, in termini di differenziale sui tassi, dovuto al parziale default o i mercati, come suggerito dall’articolo, tendono ad avere la memoria corta?

Mi sembra che l’articolo di Michele Fratianni (“E’ ora di consolidare il debito pubblico: ecco i vantaggi dell’allungamento dei titoli di Stato” su FIRSTonline del 25 ottobre 2011) vada nella direzione di esplicitare i costi e i benefici delle possibili opzioni, focalizzandosi su un possibile consolidamento del debito. Non mancano però le difficoltà. Come determinare, ad esempio, quanto in là sia necessario andare per ridurre il debito? Esiste un problema di credibilità: ai mercati sufficiente dimostrare di poter ridurre il rapporto debito/PIL del 20% oppure del 50%? Un’altra scelta riguarda la possibilità di agire sul debito estero o domestico, facendo “pagare” la manovra principalmente ai cittadini residenti o al settore estero.

Per cercare di orientarsi tra le possibili opzioni sarebbe opportuno guardare a quanto è stato fatto altrove, nel passato più o meno recente. Le esperienze del piano Brady, della crisi Argentina e del consolidamento del debito dell’Uruguay possono insegnare qualcosa. Più recentemente, si può guardare all’esperienza della Jamaica, sebbene si tratti di un’economia molto diversa, per livelli di sviluppo, dimensione e struttura economica da quelle europee.

In Jamaica, nel corso degli ultimi anni, il debito pubblico ha superato il 130% del PIL e la spesa per interessi ha raggiunto il 25% del PIL, determinando una forte contrazione degli investimenti pubblici e della spesa sociale, un rallentamento della produttività e una conseguente stagnazione economica. Nel 2010 il governo, insieme al Fondo Monetario Internazionale (FMI), ha implementato un piano di ristrutturazione del debito (Jamaica Debt Exchange – JDX), volto a ridurre la scadenza media del debito domestico e il tasso medio di interesse applicato sui nuovi titoli. Il piano, mirato a preservare la stabilità del sistema finanziario (che possedeva buona parte del debito domestico), ha coinvolto la quasi totalità dello stock di debito eleggibile (il 65% del debito domestico) e si è tradotto in una minore spesa per interessi, nell’ordine del 3% del PIL. Nel complesso, si tratta di una manovra che non risolve completamente il problema, poiché il debito è ancora su livelli elevati che ne mettono a repentaglio la sostenibilità futura (si vedano l’Article IV del FMI del 2010 e un documento, più critico, del CEPR). Tuttavia, ciò che è rilevante per l’esperienza europea è la possibilità di progettare piani di ristrutturazione il più efficienti possibile.

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