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Petrolio, si infiamma il prezzo dopo l’attacco Israele-Iran. Stop alle forniture? Ecco cosa può succedere

Pixabay

I prezzi del petrolio sono saliti ai massimi degli ultimi mesi oggi, dopo che Israele ha lanciato attacchi su vasta scala contro l’Iran, scatenando una rappresaglia iraniana e alimentando le preoccupazioni relative all’interruzione delle forniture di petrolio sullo Stretto di Hormuz. Nello scenario peggiore, la chiusura dello stretto potrebbe far salire i prezzi fino a 120-130 dollari al barile, dicono gli analisti. Ma l’Opec+ potrebbe calmierare gli eccessi modulando la produzione.

Il greggio statunitense West Texas Intermediate ha visto una fiammata a un certo punto sono balzati di oltre l’11% toccando un massimo di 77,62 dollari, il livello più alto dal 21 gennaio per poi assestarsi. I future sul greggio Brent hanno toccato un massimo intraday di 78,50 dollari, il più alto dal 27 gennaio.
I guadagni di oggi rappresentano i maggiori movimenti giornalieri per entrambi i contratti dal 2022, quando l’invasione russa dell’Ucraina ha causato un’impennata dei prezzi dell’energia.

Israele ha dichiarato di aver preso di mira gli impianti nucleari iraniani, le fabbriche di missili balistici e i comandanti militari, all’inizio di quella che ha avvertito sarebbe stata un’operazione prolungata per impedire a Teheran di costruire un’arma atomica. L’impianto nucleare iraniano di Natanz è stato danneggiato, ha affermato l’organizzazione per l’energia atomica del Paese in una nota, ma le indagini non hanno evidenziato alcuna contaminazione radioattiva o chimica all’esterno del sito.

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha esortato l’Iran a raggiungere un accordo sul suo programma nucleare, per porre fine ai “prossimi attacchi già pianificati”. La National Iranian Oil Refining and Distribution Company ha affermato che gli impianti di raffinazione e stoccaggio del petrolio non hanno subito danni e continuano a funzionare.

Occhi puntati sullo stretto di Hormuz

Ma ora la preoccupazione principale riguardava l’impatto che gli ultimi sviluppi potrebberop avere sulle forniture di petrolio con l’attenzione principale concentrata sullo Stretto di Hormuz, ha detto l’analista di SEB Ole Hvalbye, come ha riportato Reuters. “Questa importante via d’acqua era già stata a rischio a causa dell’aumento della volatilità regionale, ma finora non ne era stata influenzata”, ha aggiunto Hvalbye. “Finora non c’è stato alcun impatto sul flusso di petrolio nella regione”.

Attraverso lo stretto passa circa un quinto del consumo mondiale totale di petrolio, ovvero circa 18-19 milioni di barili al giorno (bpd) di petrolio, condensato e carburante.

Gli analisti di JPMorgan dicono che, nello scenario peggiore, la chiusura dello stretto o una risposta di ritorsione da parte dei principali paesi produttori di petrolio della regione potrebbero far salire i prezzi fino a 120-130 dollari al barile, quasi il doppio delle loro attuali previsioni di base. L’aumento del prezzo di 10 dollari al barile negli ultimi tre giorni non rifletteva ancora alcun calo nella produzione di petrolio iraniano, per non parlare di un’escalation che potrebbe comportare l’interruzione dei flussi di energia attraverso lo Stretto di Hormuz, ha detto in una nota l’analista di Barclays Amarpreet Singh.

Il Segretario di Stato americano Marco Rubio ha definito gli attacchi israeliani contro l’Iran un ‘”azione unilaterale” precisando che Washington non è coinvolta, esortando al contempo Teheran a non prendere di mira gli interessi o il personale statunitense nella regione.

I mercati azionari globali hanno subito un forte calo questa mattina, dopo che Israele ha effettuato attacchi aerei contro l’Iran, mirati a impianti nucleari. Gli operatori ora si domandano quanto questo balzo del petrolio sarà da considerarsi una fiammata emoriva oppure no. Secondo Janiv Shah, analista di Rystad, “I dati fondamentali mostrano che quasi tutte le esportazioni iraniane sono dirette in Cina, quindi gli acquisti scontati cinesi sarebbero i più a rischio. La capacità produttiva inutilizzata dell’OPEC+ può fornire la forza stabilizzatrice”, ha aggiunto. “Una questione chiave è se la rappresaglia iraniana sarà limitata a Israele o se la leadership cercherà di internazionalizzare il costo dell’azione di stasera prendendo di mira basi e infrastrutture economiche critiche in tutta la regione”, ha affermato in una nota l’analista di RBC Capital Helima Croft.

Investitori alla ricerca di porti sicuri. A partire dall’oro che torna ai massimi

A parte il petrolio, su tutti i mercati gli investitori, uscendo dai listini azionari, sono andati alla ricerca di porti sicuri, a iniziare dall’oro e dal franco svizzero. Il metallo giallo a metà seduta è in rialzo dello 0,75% a circa 3.421 dollari l’oncia, avvicinandosi al massimo storico di 3.500,05 dollari di aprile.

Ma in momenti di tensione come quelli di oggi, molti altri asset vengono considerati più sicuri delle azioni. Gli investiotri sono tornanti anche ad acquistare titoli del Tesoro USA, che erano stati snobbati nelle ultime settimane, facendo scendere il rendimento delle obbligazioni decennali al minimo di un mese del 4,31% e allo stesso modo il rendimento del titolo di Stato giapponese a 10 anni è sceso all’1,4% oggi toccando il minimo delle ultime cinque settimane.

Ma hanno raccolto le preoccupazioni degli investitori anche il franco svizzero e lo yen, mentre alcuni trader sono stati attratti anche dal dollaro, con l’indice del dollaro in rialzo dello 0,5% a 98,131.

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