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OLIMPIADI – Londra 2012, i Giochi ai tempi della crisi: luci (e ombre) della ribalta

“Considerato lo scenario economico, per alcuni la cerimonia inaugurale dovrebbe consistere solo di un autobus scoperto con sopra Colin Firth, J.K. Rowling e i Beckhams che salutano”, ha scritto Nick Hornby, in un bell’articolo pubblicato sul Wall Street Journal.

C’è un clima strano, intorno alle Olimpiadi, e non solo perché Londra, di questi tempi, è più piovosa che mai. È uno degli effetti della crisi, questo clima (non la pioggia, anche se forse il governo è ladro), lo stridore metallico che una cerimonia inaugurale da 42 milioni di dollari produce entrando nell’ingranaggio della recessione, una grandeur che fa a schiaffi con tutto il resto.

In mezzo ai veli di caligine nel cielo londinese soffiano venti diversi, l’attesa di qualcosa di imminente, un’aria precaria da panico economico e fine del mondo: 70 % di umidità, rischio di precipitazioni e spread a 475.

Ogni Olimpiade è un evento radicato nel suo tempo, un evento in grado di raccontare i suoi giorni e di segnare il punto in cui si trova il mondo. Londra 2012 è l’Olimpiade di questo preciso momento, l’Olimpiade di un’atleta greca (Voula Paraskevi Papachristou) che viene rimandata a casa per aver scritto un commento razzista su Twitter, l’Olimpiade della copertura televisiva totale ed entropica, un caos a 15 canali in cui rischia di perdersi l’unicità del momento in cui si scrive la storia, confuso tra milioni di altri momenti che ne fanno il verso, l’Olimpiade dei superatleti sempre più globali e sempre più ricchi, capitanati, nella classifica degli incassi, da Lebron James e Roger Federer, due che non potrebbero essere più diversi, ma che alla fine dei conti sono la stessa cosa, due grandi campioni e, ancora di più, due belle icone del nostro tempo.

Londra 2012 è l’Olimpiade di Bolt, unico fenomeno davvero planetario dell’atletica, che dovrà guardarsi dalla rincorsa dell’amico Blake, e stavolta dovrà sporcarsi i gomiti per vincere, non potendo più passeggiare sulle nuvole, l’Olimpiade di Phelps e Lochte, di Mark Cavendish e della nostra Federica Pellegrini, l’Olimpiade di Neymar che cercherà di portare il Brasile alla vittoria dell’unico alloro calcistico che inspiegabilmente gli manca.

Londra 2012 è tutto questo, ma è anche altro. Il presidente del Coni Petrucci ha detto che spera che in questi giorni si parli di medaglie e non di spread. Probabilmente sarà così. Guarderemo le gare e tutto il resto, appassionandoci agli atleti, alle loro vittorie e anche ai loro amori (com’è capitato per la coppia Pellegrini-Magnini), al gossip dei belli e sani e ricchi e famosi, per dimenticarci di noi stessi, dal momento che lo sport, in quanto nuova religione, è diventato oppio dei popoli e panacea dei mali.

Lo sport è anche l’affermazione di un potere (l’egemonia statunitense, sportiva oltre che economico-culturale, insidiata prima dall’Unione Sovietica e oggi dalla rincorsa cinese), ma allo stesso tempo è il campo nel quale un popolo sottomesso può rialzare la testa, mostrando il suo orgoglio in un riscatto che travalica lo sport per diventare sociale.

L’abbiamo visto in questi mesi, dopo la vittoria dell’Italia sulla Germania agli Europei, celebrata con l’elegantissimo Vaffankermel di Libero, oppure con le parole di Alonso dopo l’ultimo Gran Premio, una perfetta sintesi, “Un pilota spagnolo che vince in Germania su una macchina italiana è una cosa fantastica”.

Londra assapora ogni istante con gusto, come fosse una buonissima cena in un ristorante troppo costoso, chiedendosi a ogni delizioso boccone se alla fine ce la farà a saldare il conto. Il rischio serio è che quest’Olimpiade diventi una fotografia già vecchia nel momento in cui viene scattata, un grandioso evento destinato a cristallizzare un’epoca già finita.

Il sondaggio di FIRSTonline sugli atleti italiani più rappresentativi di Londra 2012

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Categories: Cultura