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Michelangelo ritrovato: la “Pietà di terracotta” svelata in un libro

Sotto 9 strati di vernici si nascondeva la mano del maestro. Quella di Michelangelo Buonarroti, che in età giovanile, prima di scolpire la Pietà Vaticana – nota in tutto il mondo e conservata a San Pietro – modellò un’altra opera con lo stesso soggetto, Cristo senza vita fra le braccia della Vergine. Stavolta non in marmo, ma in una terracotta più lucida del solito, che contiene creta e polvere di marmo di Carrara.

La scultura fu ritrovata circa vent’anni fa e per tornare all’aspetto originario è passata attraverso un restauro durato tre anni, a cura di Loredana Di Marzio.

Ma come possiamo essere certi che l’autore sia davvero Michelangelo? La storia dell’opera e del suo laborioso processo di attribuzione è ripercorsa nel libro “Michelangelo e la Pietà in terracotta. Studi e documenti / Interventi / Diagnostica“, a cura di Claudio Crescentini, edito da Erreciemme e presentato giovedì nella sede romana dell’Associazione Civita, a Piazza Venezia.

Il volume – che oltre agli interventi del curatore e della restauratrice contiene saggi degli studiosi Roy Doliner, Tommaso Emaldi, Valentina Martino e Patrizia Nitti – approfondisce tutti gli aspetti a sostegno della paternità michelangiolesca dell’opera: elementi iconografici, storico-documentali e diagnostici.

In realtà, la qualità artistica e le conoscenze anatomiche dello scultore fecero pensare immediatamente al giovane Buonarroti, che avrebbe realizzato quest’opera come studio preparatorio per la scultura oggi a San Pietro. “La Pietà in terracotta è un’opera chiaramente manierista e il Manierismo prende le mosse proprio da Michelangelo – spiega Crescentini – Diversi elementi legano questa scultura alla Pietà Vaticana, ad esempio la veste della madonna che diventa il tessuto in cui viene avvolto il corpo di Cristo, oppure la cosiddetta ‘serpentina manierista‘ nella definizione delle figure”.

E ancora: “Le mani sinistre di Maria, Gesù e dell’angelo si incrociano – sottolinea Roy Doliner, il primo a ipotizzare la mano del Buonarroti – È una firma di Michelangelo, che era mancino”.

Negli anni sono emersi poi diversi documenti decisivi per l’attribuzione: l’opera è descritta in numerosi archivi, inventari, disegni e quadri famosi. Questi testi hanno permesso di ricostruire i vari passaggi di proprietà della scultura, appartenuta alla famiglia Casali di Bologna e, prima ancora, ad un aiutante di Michelangelo, Antonio Basoja, detto “Il Francese”.

“Abbiamo trovato una montagna di documenti sulla storia di questa statua – continua Doliner – È decisamente la terracotta più documentata del Rinascimento”. Infine, con la voce rotta dall’emozione: “Sono commosso all’idea di aver contribuito ad aggiungere un altro gioiello al patrimonio artistico italiano”.

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