L’Intelligenza artificiale domina il dibattito tecnologico ed economico contemporaneo. Le aspettative sono grandi: questa tecnologia dovrebbe trasformare radicalmente il nostro modo di lavorare, di vivere il tempo libero e, soprattutto, rilanciare una crescita economica che da oltre un decennio fatica a ritrovare i ritmi del passato.
Quando l’innovazione tarda a manifestarsi
Dalla crisi del 2007 l’economia mondiale e quella dei paesi industrializzati in particolare, ha registrato momenti di crescita debole alternati a periodi di recessione senza mai tornare ai ritmi di espansione dei decenni precedenti.
Alcuni economisti vedono in questo andamento la conferma di una tendenza economica generale verso la stagnazione secolare. Naturale, dunque, aspettarsi una nuova “big thing” che possa risollevare le sorti dell’economia. Qualcosa come l’elettricità, o l’automobile che, per quasi un secolo, hanno dato un impulso decisivo allo sviluppo economico, creando nuove industrie, nuovi posti di lavoro e nuove abitudini di vita. Ma sarà davvero l’AI questa “grande innovazione”? La risposta è tutt’altro che scontata.
Gli indizi concreti sono scarsi. Il suo utilizzo da parte delle imprese rimane limitato: esistono numerosi casi d’uso, ma manca un’adozione strutturale diffusa. Di conseguenza, l’effetto sulle performance aziendali e sullo scenario macroeconomico è ancora poco percepibile.
I dati americani – certamente l’economia più avanzata nell’adozione dell’AI – sono eloquenti. Secondo Bloomberg, dalla pandemia la produttività del lavoro negli Stati Uniti è cresciuta a un tasso annuo dell’1,86%, meglio del periodo 2005 e il 2019 (+1,48%) ma assai lontana dal +3,3% che caratterizzò il decennio a cavallo tra la seconda metà degli anni ’90 e il primo quinquennio degli anni 2000, quando si manifestò l’incremento di produttività generato dall’introduzione del web.
Il paradosso di Solow si ripete?
È probabile che sia necessario attendere ancora del tempo prima che gli effetti della diffusione dell’AI si riverberino a livello macroeconomico. I ritmi di diffusione delle tecnologie non procedono linearmente e i guadagni in termini di produttività (fattore che influenza in modo determinante i principali indicatori economici) richiedono tempo per manifestarsi.
Gli economisti parlano di “J-curve della produttività”: inizialmente, l’adozione di nuove tecnologie può persino ridurre temporaneamente la produttività, mentre aziende e lavoratori imparano ad utilizzarle. Solo dopo, riprogettando processi e competenze, emergono i benefici.
Un precedente emblematico riguarda l’introduzione del computer: ha impiegato decenni prima di essere adottato universalmente e ancora di più prima di generare effetti concreti sull’organizzazione del lavoro e sulla produttività: il famoso “paradosso di Solow”.
AI: uno sviluppo per fasi alterne
La stessa AI ha una storia lunga, nata negli anni ’50 e segnata da momenti iconici. Nel 1968, Arthur C. Clarke e Stanley Kubrick immaginarono in 2001: Odissea nello spazio il sistema HAL 9000, forse la prima rappresentazione convincente di quella che oggi definiamo AGI (Artificial General Intelligence): una macchina in grado non solo di calcolare, ma di ragionare, conversare e prendere decisioni autonome complesse.
Nel 1997, il supercomputer Deep Blue di IBM sconfisse il campione del mondo di scacchi Garry Kasparov in una storica sfida su sei partite, segnando una svolta simbolica nella relazione tra uomo e macchina. Il cammino dell’AI non è stato lineare: ha alternato fasi di entusiasmo – le cosiddette AI Springs – a periodi di forte disillusione (AI Winters). Dagli slanci ottimistici degli anni ’50 e ’60, si è passati alla frustrazione per i limiti dei primi sistemi negli anni ’70, fino alla parabola dei sistemi esperti negli anni ’90, prima esaltati e poi rapidamente abbandonati.
Certamente oggi, in aggiunta ai risultati così rapidamente conseguiti dall’AI Generativa, si riscontrano per la prima volta l’esistenza di molte delle condizioni abilitanti per il raggiungimento di una nuova fase di sviluppo. Tra queste vanno senz’altro incluse il superamento dei vincoli infrastrutturali grazie al cloud computing globale, la scala computazionale disponibile e l’enorme quantità di training data.
Segnali di rallentamento che preoccupano
Tuttavia, segnali recenti dalla Silicon Valley destano preoccupazione. Sta crescendo la convinzione che l’ascesa dell’AI stia rallentando.
La maggiore evidenza è nel ritmo più lento di miglioramento dei grandi modelli linguistici (LLM) che alimentano ChatGPT e sistemi simili. All’inizio, aggiungere dati e potenza computazionale portava progressi impressionanti. Ora non più. È come se fosse stato raggiunto un plateau.
L’industria tecnologica ha scommesso sulle “scaling laws”: più potenza, dati e modelli più grandi dovrebbero garantire progressi significativi. Ma il timore è che la struttura stessa dei modelli attuali sia diventata un collo di bottiglia.
L’architettura transformer in altri termini, base di GPT, Claude, Gemini, avrebbe raggiunto i suoi limiti. Potrebbe quindi risultare inutile “aggiungere più dati” o “più calcolo” – il problema è strutturale. Servono breakthrough concettuali, non solo ingegneristici. Qualcosa di simile al salto che portò dalle reti neurali classiche ai transformer.
Aspettative economiche ridimensionate?
L’esistenza di un limite strutturale cambierebbe completamente gli scenari economici ottimisti e le speranze che avevano accolto l’arrivo dell’AI Generativa, poiché i tempi di sviluppo dell’innovazione diventerebbero molto più lunghi del previsto.
Le previsioni prudenziali di Daron Acemoglu – premio Nobel per l’economia 2024 – troverebbero, per esempio, conferma. Secondo l’economista del Mit, l’AI contribuirà alla crescita del Pil in misura non superiore all’1% nell’arco di un decennio, una stima che molti avevano considerato eccessivamente conservativa.
Se questa ipotesi dovesse rivelarsi attendibile, si rafforzerebbe anche la tesi che vede l’Intelligenza Artificiale come una tecnologia incrementale piuttosto che trasformativa. Ma giungere oggi a delle conclusioni sembrerebbe prematuro e avventato.
Resta ancora da approfondire, ad esempio, quale sarà l’impatto dell’AI sulla ricerca e l’innovazione stessa, forse destinate a beneficiare di una potente accelerazione, sia nell’accesso alle informazioni, che nella gamma di soluzioni disponibili. Senza dimenticare che anche le innovazioni incrementali sono in grado di produrre grandi effetti.
Una rivoluzione diversa è già in corso
Pensando alla relazione tra AI e sviluppo economico, in altri termini, stiamo forse guardando nella direzione sbagliata. Lo sguardo dovrebbe spostarsi dai momenti di svolta tecnologica, come ci induce a fare la storia economica, per concentrarci sui percorsi e le applicazioni dell’AI, che sembrano seguire strade diverse dal passato.
Emblematica è, da questo punto di vista, una delle tendenze più promettenti e in rapida evoluzione dell’intelligenza artificiale attuale. Google, Anthropic e OpenAI stanno spostando l’attenzione dalle dimensioni dei modelli verso nuovi casi d’uso basati sull’architettura esistente.
Ciò include l’utilizzo degli “agenti” AI capaci di prenotare voli o inviare e-mail per conto dell’utente, di aggregare dati da più fonti, di gestire in autonomia ticket di assistenza o di compiere attività di sicurezza informatica. Gli “agenti” AI rappresentano un vero cambio di paradigma e cioè il passaggio da modelli più intelligenti a modelli che fanno cose concrete basandosi sulle tecnologie esistenti. Come quando gli smartphone rivoluzionarono l’uso dei computer, pur utilizzando processori simili a quelli già esistenti. Un’innovazione tutt’altro che irrilevante. Questa potrebbe essere la vera rivoluzione dell’AI: non un salto quantico nell’intelligenza, ma una trasformazione qualitativa nel modo in cui interagiamo con la tecnologia e organizziamo il lavoro e la ricerca.
L’AI, dunque, non sarà forse la “big thing” che si stava cercando e non risolverà i nodi irrisolti dell’attuale crescita anemica. Ma è possibile che diventi qualcosa di più pervasivo e duraturo: un catalizzatore di cambiamenti incrementali che, sommandosi, ridefiniscono il panorama economico e sociale secondo modelli che starà a noi saper cogliere e interpretare.
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°°°L’autore è stato un allievo del grande economista Giorgio Fuà e per lunghi anni ha lavorato in grandi società di consulenza strategica. Attualmente è Ceo e Founder di Axelia CRF Advisory, società specializzata nell’assistenza a società medie e grandi per operazioni di finanza strutturata.