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L’Europa dorme su un vulcano e l’Economist riscopre Tocqueville

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Il pessimismo Alexis de Toqueville sulla identità tra libertà e democrazia 

Pubblichiamo il secondo articolo dedicato alle teorie dei grandi pensatori liberali rivisitati in chiave di attualità, nel tentativo di rintracciare nel loro pensiero delle idee in grado di rivitalizzare il liberalismo, che sembra entrato nel suo autunno. È questa un’importante iniziativa, che ha aperto un apposito forum, del più avanzato think-thank liberale del mondo, quello del magazine inglese “The Economist”. 

È la volta di Alexis de Tocqueville, uno dei maggiori filosofi politici della storia della statura di Machiavelli, di Hobbes e di Marx. Le sue riflessioni sull’esperienza democratica americana, che conosceva al pari dei suoi fondatori ma da un osservatorio differente, sono ormai uno dei grandi classici della letteratura politica. Siamo quindi lieto di offrire, nella traduzione italiana, il testo integrale che l’Economist ha dedicato al contributo del pensatore, filosofo e storico francese. 

Un aristocratico francese alla corte liberale 

È il membro più atipico del pantheon liberale. Il liberalismo è nato soprattutto come espressione della classe media anglo-americana. Alexis de Tocqueville, invece, proveniva dall’alta aristocrazia francese. Il liberalismo ha la tendenza a essere ottimista al punto di sfiorare l’ingenuità. Toqueville, al contrario, riteneva che l’ottimismo liberale doveva essere correto con il pessimismo. Infatti, lungi dall’essere inevitabile e automatico, il progresso dipende da un governo saggio e da una politica ragionevole. 

Toqueville si colloca tra i grandi pensatori della storia. Ha scritto dei classici, due dei quali sono stati fondamentali per l’emergente ordine liberale: La Democrazia in America (1835-40) e L’antico regime e la rivoluzione francese (1856). Toqueville ha anche contribuito a plasmare le caratteristiche del liberalismo francese, sia come attivista politico che come pensatore. È stato uno dei principali protagonisti del “Grande dibattito” degli anni venti dell’Ottocento tra liberali e ultra-realisti sul futuro della Francia. Nel 1849, per un breve periodo, è stato anche ministro degli esteri (sarebbe morto dieci anni dopo).  

Ha ampliato la tradizione liberale sottoponendo le blande convinzioni della classe media anglo-americana a una critica aristocratica, individuando, in primo luogo, i crescenti pericoli della centralizzazione burocratica. Più di ogni altro liberale, Tocqueville ha compreso l’importanza di far sì che le attività che rendono una democrazia solida ed efficiente siano svolte il più possibile dalle persone stesse, attraverso lo sforzo volontario, piuttosto che per mano dello Stato. 

I fondamenti del liberalismo di Toqueville 

Il liberalismo di Toqueville si basa su due fondamenti. Il primo forte convincimento riguarda la sacralità dell’individuo. Lo scopo della politica è proteggere i diritti delle persone (in particolare il diritto alla libera espressione) così da conferire a ciascun individuo la possibilità di sviluppare appieno le proprie capacità. Il secondo è la sua incrollabile convinzione che il futuro del mondo sia la “democrazia”. Con ciò intende qualcosa di più della semplice democrazia parlamentare con il suo principio di rappresentanza ad ampio suffragio. Intende una società basata sull’uguaglianza. 

Il vecchio regime era basato sul principio della divisione in classi sociali. Alcune persone nascevano per governare e altre per servire. I governanti, come la famiglia di Tocqueville in Normandia, avevano ereditato responsabilità e privilegi. Erano moralmente obbligati a prendersi cura del “loro popolo” e a servire “il loro paese”. La società democratica, invece, è basata sull’idea che tutte le persone nascano uguali. Sono venute al mondo come individui e non come aristocratici o contadini. La loro maggiore responsabilità consiste nell’utilizzare al massimo le loro capacità. 

Il rapporto tra libertà e democrazia 

Molti appartenenti alla classe di Tocqueville pensavano che la democrazia fosse un incidente e un errore, un incidente perché un’evoluzione intelligente del vecchio regime avrebbe potuto impedire la rivoluzione nel 1789 e un errore perché la democrazia distruggeva le basi dell’Ancien Régime. Tocqueville pensava che ciò fosse un’assurdità – e commiserava quei compagni di sangue blu che avevano perso la vita nel vano tentativo di ripristinare i privilegi aristocratici. 

La grande questione al centro della riflessione di Tocqueville è il rapporto tra libertà e democrazia. Tocqueville era certo dell’impossibilità della libertà senza democrazia, ma temeva che fosse possibile una democrazia senza libertà. Ad esempio, la democrazia avrebbe potuto trasferire il potere dalla vecchia aristocrazia a uno stato centrale onnipotente, riducendo quindi gli individui ad atomi isolati e indifesi. Oppure avrebbe potuto trasformarsi in una farsa della libera espressione dove tutti si sarebbero inchinato alla volontà della maggioranza dominante. 

Sir Larry Siedentop, un accademico di Oxford, sottolinea che il maggiore contributo di Tocqueville è stato quello di identificare un difetto strutturale delle società democratiche. I liberali sono così occupati a definire i termini del “contratto” tra l’individuo da una parte e lo Stato dall’altra che non fanno abbastanza caso al ruolo dell’associazionismo intermedio che funge da scuola di politica locale e cuscinetto tra l’individuo e lo stato. Toqueville è stato il primo pensatore serio ad avvertire che il liberalismo poteva autodistruggersi.  

I rischi della dissoluzione dell’autogoverno 

Tocqueville era preoccupato che gli Stati potessero usare il principio di uguaglianza per accumulare potere e assoggettare le tradizioni e le comunità locali. Tale centralizzazione avrebbe avuto ogni sorta di conseguenza deleteria. Poteva ridurre la molteplicità delle istituzioni, obbligandole a obbedire un piano centrale. Poteva ridurre le persone a soggetti indifesi davanti a uno Stato onnipotente, costringendole a obbedire alla volontà dello Stato o rendendole dipendenti dalla prodigalità dello Stato stesso. Poteva uccidere le tradizioni di autogoverno. Quindi un principio liberale, come la parità di trattamento, avrebbe potuto risolversi nella distruzione dei tre principi convergenti: l’autogoverno, il pluralismo e la libertà dalla coercizione. 

Tocqueville temeva che il suo stesso paese potesse cadere nella morsa di una democrazia illiberale, come era avvenuto durante il Terrore con Maximilien Robespierre nel 1793. I rivoluzionari francesi erano stati così accecati dal loro impegno per la libertà, l’uguaglianza e la fraternità da schiacciare i dissenzienti e massacrare gli aristocratici, compresi molti membri della famiglia di Tocqueville. I suoi genitori furono risparmiati, ma i capelli di suo padre incanutirono precocemente e sua madre divenne nevrotica cronica. 

La preoccupazione di Tocqueville, però, andava oltre il semplice spargimento di sangue, che fu una sbronza passeggera. Il potere dello Stato rappresentava una minaccia più subdola. La monarchia aveva tirato su uno stato sovrumano, mentre i re francesi avevano trasferito il potere dagli aristocratici al governo centrale. La rivoluzione completò il lavoro, abolendo, insieme al potere dell’aristocrazia, quello delle autonomie locale e riducendo i singoli cittadini a una uguale servitù sotto l’”immenso potere tutelare” dello Stato. 

L’esperienza americana 

Al contrario, gli Stati Uniti rappresentavano la democrazia nella sua più alta espressione. L’apparente ragione di Tocqueville per attraversare l’Atlantico, nel 1831, fu quella di voler studiare il sistema penale americano, allora considerato uno dei più illuminati del mondo. Il suo vero desiderio era, invece, quello di capire in che modo l’America avesse saputo coniugare in modo così efficace la democrazia con la libertà. Fu colpito soprattutto dalle comunità della Nuova Inghilterra con il loro robusto governo locale, ma fu ugualmente impressionato dal crudo egualitarismo della frontiera. 

Perché i figli della rivoluzione americana hanno saputo realizzare ciò che i figli della rivoluzione francese non hanno potuto fare? L’elemento più importante è stata la diffusione del potere. Il governo di Washington era sottoposto a un sistema di pesi e contrappesi. Il potere era esercitato al livello più basso possibile, non solo negli Stati ma anche nelle città, nelle comunità e nelle associazioni di volontariato che fiorivano in America quando in Francia, invece, sparivano.  

Il secondo fattore era quello che chiamava “usanze”. Come la maggior parte dei liberali francesi, Tocqueville era un anglofilo. Pensava che l’America avesse ereditato grande parte delle migliori tradizioni della Gran Bretagna, come la common law e una classe dirigente impegnata a far crescere le istituzioni locali. 

Sulla libertà e la religione 

L’America aveva anche il vantaggio inestimabile della libertà di religione. Tocqueville era convinto che una società liberale dipendesse in ultima analisi dalla morale cristiana. Unica tra le religioni del mondo, il cristianesimo predicava l’uguaglianza degli uomini e il valore infinito dell’individuo.  

Ma l’Ancien Régime aveva privato il cristianesimo del suo spirito originario trasformandolo in un’appendice dello Stato. La decisione dell’America di fare della religione una questione di libera coscienza aveva portato a un’alleanza vitale tra lo “spirito originario della religione” e lo “spirito di libertà”. L’America è una società che “procede di per sé”, come diceva Tocqueville, non solo perché il potere era diffuso, ma perché il sistema formava cittadini sicuri di sé, energici, capaci di organizzarsi piuttosto che rivolgersi allo Stato per risolvere i propri problemi. 

Dormire su un vulcano  

Non era però cieco sulle debolezze della democrazia americana. Era molto perplesso sul fatto che la società più liberale del mondo praticava la schiavitù, anche se, come la maggior parte dei liberali, si consolava al pensiero che era un fenomeno transitorio. Si preoccupava dell’atteggiamento tendenzialmente settario della gente comune. Gli americani sembravano così impressionabili dall’idea che l’opinione di una persona potesse essere migliore di quella di un’altra che abbracciavano idee stolte e perseguitavano come eretiche quelle buone. Era preoccupato che l’individualismo potesse sfociare nell’egoismo.  

Privi di legami con una società più ampia, gli americani rischiavano di rinchiudersi nella solitudine dei loro cuori. La combinazione di egualitarismo e individualismo avrebbe potuto diventare per gli americani quello che la centralizzazione era stata per la Francia, cioè l’abbattimento delle loro difese contro il potere statale e la riduzione a gregge, felice di essere nutrito e abbeverato da burocrati amorevoli.  

Tocqueville esercitò una forte influenza su coloro che condividevano questi suoi timori. Nella sua “Autobiografia” John Stuart Mill ha ringraziato Tocqueville per avere raffinato la sua intuizione che il governo della maggioranza poteva ostacolare la possibilità degli intellettuali fuori dal coro di partecipare e influenzare la conversazione pubblica. Nel 1867 Robert Lowe, un importante politico liberale, sostenne l’educazione di massa usando l’argomento tocquevilliano secondo il quale “dobbiamo educare i nostri maestri”. Altri politici liberali si sono opposti all’estensione del suffragio elettorale con l’argomento che la libertà avrebbe potuto non sopravvivere a un eccesso di democrazia. Negli anni ’50 e ’60, gli intellettuali americani hanno colto l’intuizione di Tocqueville secondo cui la società di massa aveva indebolito la libertà, riducendo le scelte degli individui.  

L’eredità di Tocqueville 

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In tempi più recenti gli intellettuali si sono preoccupati della rapida crescita del governo federale, avviata dal programma della Great Society di Lyndon Johnson. Il trasferimento di potere dal governo locale quello federale, l’accresciuto peso di burocrati, al di fuori di ogni controllo, nel prendere decisioni su faccende astratte come “uguaglianza di rappresentanza” (anche se questo significa calpestare le istituzioni locali) e la tendenza a minare la vitalità della società civile, sono tendenze che rischiano di distruggere gli elementi costitutivi dell’America di Tocqueville.  

Una recente conferenza, organizzata dalla Tocqueville Society, tenuta nel maniero normanno della famiglia e improntata sul tema del “demo-pessimismo”, si è concentrata sui vari modi in cui la democrazia è assalita sia dal suo interno, cioè dai comportamenti che limitano la liberà di parola, sia dall’esterno con il sorgere del populismo autoritario. 

Vale la pena aggiungere che la minaccia alla libertà, oggi, non deriva solo dallo Stato pesante. Proviene anche dalle grandi aziende, in particolare dalle aziende tecnologiche che prosperano sulle informazioni e sul legame tra queste ultime e lo Stato. Le gigantesche società tecnologiche hanno quote di mercato impensabili dopo la Gilded Age. Sono interlacciate con la politica tramite l’attività di lobby e la disponibilità dei funzionari pubblici a lavorare per loro quando lasciano l’incarico statale. Sfornando così tante informazioni senza costi per il consumatore stanno soffocando i gruppi media che basano il loro business nell’informazione ai cittadini. Usando algoritmi basati sui gusti del pubblico tendono a servire alle persone informazioni che alimentano le loro opinioni e i loro pregiudizi: la rabbia conservatrice per la destra e la rabbia progressista per la sinistra. 

America e Cina: la realizzazione degli incubi di Tocqueville 

Negli Stati Uniti il potere di oggi ha preso una direzione opposta di quello dei tempi di Tocqueville. La Cina è un esempio non di democrazia al servizio della libertà, ma di centralizzazione al servizio dell’autoritarismo. Lo Stato e i gruppi tecnologici cinesi sono in grado di controllare il flusso delle informazioni in una misura neppure immaginabile in passato. Sempre di più, la Cina incarna tutto ciò contro cui Tocqueville ha messo in guardia: il potere centralizzato nelle mani dello Stato; cittadini ridotti ad atomi; la volontà collettiva di sacrificare la libertà per una vita agiata. 

Prima della rivoluzione nel 1848 in Francia, Tocqueville aveva affermato che l’Europa stava “dormendo su un vulcano… Soffia un vento di rivoluzione, la tempesta è all’orizzonte”. Oggi la democrazia in America ha preso una piega pericolosa. I populisti stanno avanzando in Europa, Asia e America Latina. Gli autoritari stanno consolidando il loro potere. Il più pessimista dei grandi pensatori liberali potrebbe non essere stato abbastanza pessimista. 

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