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La Finmeccanica e la scommessa industriale di Pansa

Dopo tre anni di indagini giudiziarie per presunte tangenti che hanno portato all’archiviazione dell’inchiesta sull’ex presidente Pier Francesco Guarguaglini e al carcere e al rinvio a giudizio con l’accusa di corruzione del suo successore Giuseppe Orsi e che hanno massacrato i conti del gruppo, è comprensibile che, in prossimità della assemblea convocata per giovedì 30 maggio, i riflettori si accendano su Finmeccanica, il principale gruppo italiano dell’industria ad alto contenuto tecnologico. Due sono le domande alle quali l’assemblea dovrà cominciare a rispondere: da chi sarà composto il vertice del gruppo e se ci siano ragionevoli speranze che Finmeccanica possa tornare in utile già da quest’anno e ritrovare un posizionamento sui mercati che le assicuri un reale rilancio.

Sul primo punto e salvo imprevisti, i giochi sono già fatti a metà: c’è da nominare un presidente (per il quale corrono le voci sull’ex capo della Ps e dei servizi di sicurezza De Gennaro e sugli ambasciatori Massolo e Castellaneta) mentre l’incarico di amministratore delegato e direttore generale del gruppo, che è da qualche mese riunito nelle mani di Alessandro Pansa, è in scadenza nella primavera del 2014.

Quanto al rilancio, oltre alle prime mosse sulla trasparenza e su una nuova governance decise da Pansa, bisognerà capire come Finmeccanica vorrà affrontare le grandi sfide dell’aerospazio e della difesa ma anche come vorrà presidiare e aggredire i mercati internazionali a cui guarda e come saprà coniugare maggiore efficienza con maggiore innovazione e maggiore rinnovamento tecnologico. Sono problemi che investono il vertice di Finmeccanica ma che riguardano anche il Governo e l’intero sistema Paese. Anche se il modo stupefacente con cui si sta assistendo all’affossamento di un colosso come l’Ilva non lascia ben sperare e anche se l’ostilità ideologica o la colpevole indifferenza con cui da noi si guarda ai grandi gruppi industriali – che infatti sono ormai ridotti al lumicino – non autorizza illusioni, se l’Italia vuole avere qualche chance di rilancio sarebbe ora che tornasse a ragionare sui grandi temi del sistema industriale e che alla Finmeccanica non si pensasse solo per le inchieste giudiziarie e la corsa alle nomine ma soprattutto per il suo futuro industriale.

L’industria della difesa e quella l’aerospazio, al di là dei giganteschi investimenti che muovono e al di là delle loro ricadute sulla ricerca e sviluppo, non sono industrie e imprese qualunque ma sono veri e propri asset strategici per gli interessi nazionali, se alla parola strategica si vuol dare il significato di un asset che offre un rilevante contributo al Pil e che non è replicabile. La Finmeccanica ha un fatturato di circa 17 miliardi di euro, ha oltre 67 mila dipendenti con 150 sedi operative e commerciali e 354 siti produttivi in 50 Paesi del mondo ed è attiva nei settori degli elicotteri (AgustaWestland), dell’elettronica per la difesa e la sicurezza (Selex ES) e dell’Aeronautica (Alenia Aermacchi) – che ne costituiscono il core business – ed è ben posizionata nel settore spaziale (Telespazio, Thales Alenia Space), nei sistemi di difesa (Oto Melara, Wass MBDA), nell’energia (Ansaldo Energia) e nei trasporti (Ansaldo STS, Ansaldo Breda, BredaMenarinibus).

Essendo a controllo pubblico ed essendo oggetto da sempre dell’attenzione occhiuta della politica , è evidente che Finmeccanica ha accumulato in portafoglio troppi asset e troppe società che la distolgono dal suo core business. Oggi è venuto il momento di razionalizzare e di scegliere senza guardare in faccia a nessuno e di vendere quel che non è più essenziale per concentrare gli investimenti sulle attività e sui mercati che possono far crescere il gruppo e garantirne un’adeguata redditività. Finmeccanica si colloca al centro di business che vivono lo scontro tra sistemi Paesi di cui bisogna capire la differente dinamica e trovare la risposta industriale giusta.

La prima emergenza è l’India dove le accuse di corruzione piovute sulla gestione Orsi del gruppo per la fornitura di 12 elicotteri per 560 milioni rischiano, insieme alla vicenda dei marò, di escludere Finmeccanica da un mercato molto interessante. Ma, senza dimenticare l’Australia, la Corea del Sud, il Giappone e il Sud Est dell’Asia, dove il gruppo italiano ha raggiunto risultati importanti, è negli Usa che si gioca una partita decisiva sia per la Finmeccanica che per il nostro sistema-Paese, perché competere in modo vincente lì significa prima di tutto investire in tecnologie e mantenere il gap tecnologico tra le migliori aziende occidentali e quelle dei Paesi emergenti.

Ridurre i costi, evitare le ingerenze politiche, raggiungere economie di scala, continuare ad investire in innovazione (oggi Finmeccanica investe il 12% del proprio fatturato in R&S) e decidere che sfida industriale si vuole raccogliere: la scommessa con cui la Finmeccanica di Pansa si presenta in assemblea è esattamente questa. E’ una scommessa che riguarda uno dei principali gruppi industriali del Paese ma che interessa da vicino tutto il nostro sistema industriale. Sarebbe ora che l’Italia se ne accorgesse e che capisse che le grandi opzioni strategiche vengono prima delle nomine dei manager e vanno oltre le inchieste giudiziarie.

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