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Istat, l’Italia cade in “deprivazione”: Paese sempre più povero e penalizzato da tasse e regole Ue

A fine 2012 le persone in famiglie deprivate erano 14,928 milioni, quelle in famiglie gravemente deprivate erano raddoppiate a 8,608 milioni. Così l’Istat nel Rapporto annuale, segnalando che la pressione fiscale in Italia è al top in Europa, seconda solo a quella francese, rispettivamente al 44% del Pil e al 46,9%.

L’Istat ha approfondito anche gli effetti delle nuove regole fiscali europee (pareggio di bilancio strutturale e Fiscal compact): l’analisi dell’Annuario mostra che un Paese in condizioni analoghe a quelle dell’Italia per debito pubblico e andamento del Pil impiegherebbe 80 anni per raggiungere il 60% nel rapporto debito/Pil.

Le simulazioni mostrano anche che ‘gli spazi per l’attuazione di politiche di bilancio discrezionali per la correzione del ciclo economico risultano inesistenti nel caso dell’applicazione stretta della regola del pareggio di bilancio strutturale’, che risulta quindi essere ancora più penalizzante del Fiscal compact (avvio nel 2015). In tale contesto, sei milioni di persone sono senza lavoro e vorrebbero trovare un’occupazione.

E cresce il numero dei Neet, giovani che non studiano e non lavorano: ‘Sono oramai in questa posizione -spiega l’Istat nel Rapporto annuale 2013 – due milioni e 250mila giovani, il 23,9%’. Il numero dei Neet nel 2012 è aumentato di 95 mila unità. Dal 2008 l’incremento è stato del 21,1% pari a 391mila giovani in più.

A marzo inoltre l’indicatore di credit rationing relativo alla manifattura ha raggiunto i livelli massimi da quando i dati sono disponibili (giugno 2008), mentre per le imprese dei servizi si attesta su valori paragonabili solo a quelli osservati nel periodo di crisi creditizia dei primi mesi del 2009. Lo segnala Istat nel Rapporto annuale, rilevando che sia nella manifattura, sia nei servizi, continuano ad avere una maggiore probabilità di subire razionamenti le imprese delle regioni meridionali e insulari.

Sul piano settoriale, le attività manifatturiere più esposte al rischio di razionamento del credito nel primo trimestre 2013 continuano a essere quelle tradizionali e quelle caratterizzate dalla presenza di economie di scala, in particolare legno, abbigliamento, mobili, altri mezzi di trasporto. Tra i servizi, invece, il rischio più elevato è nei settori del trasporto terrestre e mediante condotte e per quelli ricettivi e della ristorazione.

L’indicatore segnala, inoltre, la presenza di una ‘questione dimensionale’, visibile soprattutto nel comparto manifatturiero, la cui persistenza mina le potenzialità di una quota sostanziale del sistema produttivo italiano. Per le piccole imprese industriali, risultare solide riduce significativamente la probabilità di non ottenere il credito richiesto, ma non compensa la penalizzazione dovuta alla dimensione.

Le stime mostrano che a marzo 2013 la probabilità di non ottenere il finanziamento richiesto è, per queste imprese, in media quasi due volte più elevata rispetto a quella delle imprese di media e grande dimensione. Per le piccole imprese la probabilità di razionamento è in generale aumento e si è attestata su livelli paragonabili a quelli dei periodi di maggiore tensione creditizia, mentre per le aziende di media e grande dimensione il faticoso recupero registrato nel corso del 2012 dopo il drastico peggioramento della seconda metà del 2011 è ancora incompleto. Il divario dimensionale, quindi, continua ad allargarsi.

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