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In Sudamerica è tutti contro tutti: dal Venezuela all’Ecuador, ecco perché il 2024 è ad altissima tensione. A chi giova?

FIRSTonline

America Latina, che ambientino. Negli ultimi mesi le tensioni nel continente si stanno susseguendo, con tanto di vere e proprie crisi diplomatiche tra alcuni Paesi, al punto che l’ultima riunione del Celac, il principale organo di coordinamento politico della regione, è stata disertata da molti leader. Il presidente brasiliano Lula, la cui leadership nell’area è sempre più messa in discussione, ha fatto visita in questa settimana all’omologo colombiano Gustavo Petro in un clima di altissima tensione. Proprio Lula ha voluto riportare il Brasile all’interno del Celac, dopo che con Bolsonaro ne era uscito, e il presidente rieletto per la terza volta nel 2022 si era candidato a fare da mediatore in un continente sempre meno omogeneo dal punto di vista politico: l’onda “rossa” di alcuni fa sembra svanita, e se è vero che Lula e Petro hanno rapporti cordiali e sono espressione del socialismo latinoamericano, così come il cileno Gabriel Boric, non lo stesso si può dire ad esempio dell’Argentina, dove l’estremista di destra Javier Milei ha già insultato proprio Petro dandogli del “comunista assassino” e ha offerto asilo agli oppositori del presidente venezuelano Nicolas Maduro.

Venezuela verso il voto: le tensioni

Il Venezuela tra l’altro è uno dei Paesi che quest’anno andrà al voto (gli altri sono Uruguay, Messico, Panama, El Salvador e Repubblica Dominicana) e lo stop alla candidata dell’opposizione Maria Corina Machado ha dato inizio ad una sequela di tensioni, con Lula che, in virtù della storica amicizia con i chavisti, ha esitato prima di prendere le distanze e condannare apertamente il metodo Maduro. Caracas è sotto osservazione, e non solo da parte dei Paesi vicini ma da tutta la comunità internazionale ad incominciare dagli Stati Uniti, anche per la questione relativa all’annessione, decisa in maniera del tutto unilaterale, dell’Essequibo, una parte consistente (circa i due terzi) del territorio della vicina Guyana, Paese indipendente ma da sempre nella sfera di influenza anglosassone. Il Paese con capitale Georgetown fu infatti colonia inglese e oggi ha ceduto quasi la metà dei diritti di estrazione del ricchissimo blocco di petrolio offshore di Stabroek al colosso statunitense Exxon. Il caso Venezuela-Guyana è stato tuttavia solo il primo di una serie, a cavallo tra fine 2023 e inizio 2024. Poi c’è stato appunto lo scontro Argentina-Colombia, e più di recente quelli che riguardano Messico-Ecuador, Honduras e Venezuela-Cile.

Ecuador, ecco perché è nell’occhio del ciclone

L’Ecuador per la verità è al centro delle attenzioni da diversi mesi: da quando, lo scorso ottobre, il 35 enne conservatore Daniel Noboa è stato eletto presidente, il Paese è diventato uno di quelli del fronte “di destra”, se cosi possiamo semplificare, insieme a Argentina, Paraguay, Uruguay, Costa Rica e Guatemala. Il nuovo presidente ha dichiarato guerra totale ai narcos e questo ha generato violentissime proteste nelle carceri con centinaia di omicidi in tutto il Paese, compreso quello del procuratore Cesar Suarez, a gennaio. Lo scorso 5 aprile è però successo un episodio gravissimo ed inaudito: l’ex presidente ecuadoregno Jorge Glas, condannato per associazione a delinquere e corruzione, è stato catturato dalla polizia all’interno dell’ambasciata messicana a Quito, violando le leggi internazionali e provocando la reazione indignata del presidente messicano Miguel Angel Lopez Obrador, in scadenza di mandato ma ancora influente negli equilibri geopolitici dell’area. Il Messico ha deciso di interrompere le relazioni con l’Ecuador e sta portando il caso alla Corte Internazionale dell’Aia e all’Onu, il tutto mentre secondo la stampa locale Glas avrebbe tentato il suicidio in carcere, pochi giorni dopo l’arresto.

Il fatto è stato duramente condannato da tutti gli altri presidenti, da Lula allo stesso Maduro che si è spinto a chiedere il rilascio dell’ex presidente Glas. Qualche settimana prima, a marzo, molti leader avevano invece criticato aspramente la presidente di turno del Celac, l’honduregna Xiomara Castro, socialista, per aver espresso a nome di tutto il continente posizioni non concordate sulla politica internazionale. Castro si era pubblicamente congratulata per la rielezione di Vladimir Putin in Russia, attraverso un comunicato dal quale si erano dissociati dieci Paesi dell’area, in particolare Argentina e Cile. Proprio il Cile è protagonista dell’ultimo scontro in ordine temporale, col Venezuela: lo scorso 12 aprile il presidente Gabriel Boric ha richiamato l’ambasciatore da Caracas, dopo che Maduro aveva sostenuto che la banda criminale venezuelana “Tren de Aragua”, che opera in Cile, fosse solo frutto di una “finzione mediatica”. Questo è solo l’ultimo episodio di una serie che rischia di rendere l’America Latina più instabile e dunque, come insegna la storia, più vulnerabile. Con la possibilità che non solo gli Usa, ma soprattutto la Cina, ne facciano un boccone.

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