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Il cinema: ieri, oggi e domani (come insegnava De Sica)

Da sempre in tutti gli ambiti creativi, letterari o figurativi, avvengono evoluzioni e aggiustamenti che recepiscono o anticipano quanto avviene e quanto potrà avvenire intorno a loro. Cambiano i soggetti, le forme espressive, i linguaggi, le tecniche e, allo stesso modo,  evolvono e si modificano gli interessi, le preferenze, le modalità di fruizione da parte del pubblico. Tutto questo insieme di processi, semplicemente, appartiene alla normale dialettica dell’evoluzione e porta direttamente al cuore di quanto vogliamo trattare in questo ultimo capitolo: il futuro del cinema.

Nella rubrica ABìCinema abbiamo, seppure sommariamente, riportato nomi, titoli, argomenti che hanno fatto parte della storia della settima arte. A partire dalla fine del XIX secolo, il cinema ha vissuto grandi mutamenti: dalle prime immagini in bianco e nero fino alle innovazioni tecnologiche di ripresa e proiezione più sofisticate. È stato, per molti aspetti, un secolo d’oro dove ogni genere, ogni filone produttivo, in quasi tutti i continenti, ha trovato la sua fortuna. Il pubblico ha premiato largamente questo mercato ed ha partecipato al processo di sviluppo di un settore economico di tutto rispetto alla mole di capitali investiti.

La “belle epoque” del cinema, però, da alcuni anni ha cominciato a subire una significativa trasformazione. Una data di riferimento può essere presa con l’introduzione della registrazione magnetica su nastro. Correva l’anno 1976 e la giapponese JVC (a scapito della Sony) lanciò sul mercato il formato VHS con il quale rese possibile riversare su una cassetta di piccole dimensioni una rilevante mole di immagini, equivalenti a quelle di un film. La qualità non era delle migliori e per lungo tempo si è dibattuto sul fatto che l’altro formato, il Betamax, privilegiato appunto dalla Sony, fosse migliore. Fatto sta che le cassette video hanno marcato lo spartiacque tra il cinema proiettato nelle sale e la visione privata e personale dei film. Il primato del VHS è durato relativamente poco e, infatti, nel giro di due decenni, nel 1995, si è imposto un nuovo supporto: il DVD video, diverso dal DVD audio che a sua volta ha sostituito il CD Rom. In entrambi i casi, sia per il VHS quanto per il DVD, si è trattato di uno spostamento radicale nei meccanismi di produzione e diffusione delle opere cinematografiche che, prima di allora, vivevano prevalentemente della rendita proveniente dalle sale e, per una quota residua, dai passaggi in televisione. La rivoluzione quindi ha riguardato il mercato dal lato in uscita, verso tutta quella parte del processo produttivo a valle della realizzazione del film.

Contestualmente, l’innovazione tecnologica digitale ha investito anche tutta la parte a monte dei meccanismi di ripresa, di montaggio, di utilizzo degli effetti speciali. Il passaggio epocale è avvenuto con l’introduzione delle telecamere al posto delle cineprese, quando si è passati dalla pellicola in celluloide a 36 millimetri si è passati alle memorie in bit. Dal montaggio analogico si è passati alla computer grafica. Dalle riprese in soggettiva a quelle effettuate attraverso i droni. Nelle sale cinematografiche il vecchio proiettore e le bobine sono state soppiantate dai file inviati via Web.
Questo non significa che il precedente modo di fare cinema sia stato abbandonato del tutto, anzi. Il genere commedia, ad esempio, resiste fortemente all’innovazione tecnologica in quanto non richiede necessariamente l’utilizzo di strumenti di ripresa particolarmente sofisticati.

Come si usa dire: non è il solo strumento che rende l’artista apprezzato quanto invece è la proposta, l’idea, l’opera che realizza. Non sono pochi coloro che sostengono che la tecnologia uccide il cinema, lo rende più asettico, impersonale, meccanico. Altri invece sostengono esattamente il contrario: consente di ampliare gli orizzonti, le modalità espressive. Si potrebbe pensare, ad esempio, a quanto avviene con l’utilizzo delle videocamere dei cellulari: vengono realizzati piccoli o grandi filmati che hanno parti dignità rispetto ad una “pellicola” tradizionale.
Tutt’altro discorso invece riguarda alcuni dei pilastri fondamentali della narrazione cinematografica: i soggetti e la professione dell’attore.
Vediamo, in ordine, i vari settori sui quali si può intravvedere il futuro del cinema.

Ripresa. I puristi della cinepresa (Quentin Tarantino ha girato il suo ultimo film, The hateful heigts in 70 mm e, prima di lui in questo formato è stato girato 2001 Odissea nella spazio di Stanley Kubrick)) sostengono che la qualità della pellicola non può essere sostituita dal digitale. La profondità, la resa cromatica, la brillantezza dei colori e la nitidezza dei dettagli appare ancora largamente a vantaggio della celluloide. Spesso, per rendere bene il concetto, viene citato il caso di Lawrence d’Arabia, il celebre film di David Lean del 1962 con protagonista Peter O’Toole. In molte sequenze è solo grazie alla pellicola che si possono mantenere a fuoco due piani di ripresa: uno molto ravvicinato e uno sul fondo, all’orizzonte. La ricerca in questo settore è tutta concentrata nel cercare di avvicinare sempre più i due mondi, quello della pellicola tradizionale e quello del digitale. Per ottenere risultati apprezzabili però si rischia di sconfinare oltre i limiti della percezione visiva dell’occhio umano, sia in termini di frame per second (FPS) quanto in termini di gamma cromatica. Le videocamere da ripresa cinematografica digitali per molti aspetti hanno raggiunto da tempo livelli tecnici pressoché equivalenti alle tradizionali cineprese in 35 mm. E non sono pochi coloro che riescono a produrre ottimi risultati utilizzando macchine di qualità semiprofessionale.

Rimane comunque al momento un dominio incontrastato della ripresa digitale e, sul mercato, ci sono telecamere con elevate prestazioni. Vittorio Storaro, noto direttore della fotografia vincitore di tre premi Oscar, ha definito il modello di punta in questo settore, la Sony Cinealta F65 come “la massima espressione dell’arte della cinematografia digitale … consente di riprendere immagini senza compromessi e con colori, profondità e dettagli mozzafiato”. Insieme agli altri noti brand, come Canon, JVC e Panasonic si contendono un mercato in continua espansione e indirizzato verso il miglioramento della qualità delle immagini (dal 4 all’8K).

Proiezione. Intorno al 2010 è avvenuto lo switch off che ha segnato il passaggio dalla proiezione dei film nel formato tradizionale a 35 mm, lo stesso con il quale veniva effettuata la maggior parte delle riprese, nel nuovo formato digitale DCP (Digital Cinema Package). Proprio nello stesso periodo, le grandi case produttrici di pellicola, la Kodak e la Fuji, proprio a seguito dell’avvento del digitale, stavano chiudendo i battenti. In quel momento è finita la fase “romantica” delle visioni in sala con le “bobine” e i giganteschi proiettori che riversavano sul grande schermo le immagini cinematografiche. Da allora, i film arrivano direttamente ai gestori delle sale attraverso connessioni ultraveloci (fino a 70 Mbps) e in formati spettacolari come l’HD e il 3D. Le macchine da proiezione sono passate rapidamente dai vecchi modelli con lampada a fortissima luminescenza fino ai moderni apparati a laser. Altre tecnologie che interessano la proiezione riguardano la qualità dei teli: è stato presentato nel 2016

Ultimate Screen, uno schermo sagomato di nuova generazione in grado di rendere una elevatissima efficienza luminosa.
Ma l’aspetto correlato alla proiezione che interessa maggiormente gli utenti è la qualità della sale, oggi intese sempre più come luogo di intrattenimento complesso, dove la visione del film è solo una parte dell’interesse e dell’esperienza che il pubblico richiede. Infatti, da tempo insieme alla chiusura progressiva e devastante delle tante piccole sale di quartiere, si assiste al diffondersi di enormi multiplex, spesso collocati al centro di grandi centri commerciali.

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