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Google, maxi multa da 2,95 miliardi della Ue. Trump insorge e minaccia ritorsioni: “Ingiusto, metterò nuovi dazi”

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Google è stata multata per quasi 3 miliardi di euro dall’Unione europea per pratiche di “auto-pubblicità” ritenute anticoncorrenziali. Il colosso di Mountain View, tuttavia, non accetta la decisione e annuncia ricorso. Dietro la sanzione, emessa dalla vicepresidente della Commissione Ue, la socialista Teresa Ribera, si è consumato un lungo braccio di ferro interno: il commissario al commercio Maroš Šefčovič, sostenuto dalla presidente Ursula von der Leyen, aveva infatti proposto di rinviare la multa fino alla piena attuazione dell’accordo sui dazi con gli Stati Uniti.

La decisione, resa nota poche ore dopo la cena alla Casa Bianca con i vertici delle Big Tech americane, ha subito provocato la reazione del presidente Donald Trump, già da tempo critico nei confronti dell’agenda digitale europea. Trump ha definito la sanzione “ingiusta” e ha minacciato nuove ritorsioni contro la Ue.

Una pioggia di multe per Google

La settimana di Google era iniziata in modo positivo: martedì 2 settembre, le azioni di Alphabet, la società madre del colosso di Mountain View, sono salite del 9% dopo la sentenza favorevole del giudice distrettuale Amit Mehta, che ha permesso all’azienda di mantenere il browser Chrome, eliminando però i contratti di esclusiva. Una vittoria importante nella storica causa antitrust del Dipartimento di Giustizia del 2020.

I problemi, però, non finiscono qui. Il 3 settembre la Cnil ha inflitto a Google una multa record di 325 milioni di euro per pubblicità non consensuale su Gmail, mentre una giuria federale di San Francisco ha stabilito che il colosso deve pagare 425 milioni di dollari per aver raccolto dati da milioni di utenti che avevano disattivato la funzione di tracciamento sui propri account.

Come spesso accade, non c’è due senza tre: venerdì 5 settembre la Commissione europea ha inflitto a Google una sanzione da 2,95 miliardi di euro per abuso di posizione dominante nel mercato delle tecnologie pubblicitarie, segnando la quarta maxi-multa inflitta al gigante americano nell’ultimo decennio.

Multa a Google, l’indagine dell’Antitrust Ue

La sanzione è stata comminata per aver favorito i propri servizi pubblicitari a scapito dei concorrenti e degli editori online, abusando della sua posizione dominante almeno dal 2014. L’esecutivo comunitario ha ordinato a Google di porre fine a queste pratiche e di risolvere il conflitto di interessi, concedendo 60 giorni all’azienda per comunicare alla Commissione come intende procedere. L’indagine europea, avviata nel 2021 e notificata al gruppo nel 2023, ha confermato che la posizione dominante di Google nel settore pubblicitario esiste almeno dal 2014.

“Google – spiega la Commissione – trae la sua principale fonte di reddito dalla pubblicità, vendendo spazi sui propri siti e app e fungendo da intermediario tra inserzionisti e editori di terze parti”.

Google risponde alla Commissione Ue

Il gruppo statunitense, tuttavia, non ci sta e minaccia ripercussioni sull’occupazione, sostenendo che la sua piattaforma aiuta gli editori. “Il provvedimento della Commissione Ue è errato – afferma Lee-Anne Mulholland, vicepresidente e responsabile degli Affari regolamentari di Google – e faremo ricorso”. Secondo l’azienda, “la sanzione è ingiustificata e le modifiche richieste danneggerebbero migliaia di aziende europee, rendendo più difficile per loro generare profitti. Non c’è nulla di anticoncorrenziale nel fornire servizi ad acquirenti e venditori di pubblicità, e ci sono più alternative ai nostri servizi che mai”. Dopo le parole di Trump, la partita rischia di protrarsi a lungo.

La reazione di Trump

Su Truth, Trump ha definito “ingiusta” la multa da quasi 3 miliardi di dollari e ha minacciato nuove ritorsioni commerciali: “L’Europa ha colpito ancora una volta una grande azienda americana. Questo significa meno investimenti e meno posti di lavoro negli Stati Uniti. Non possiamo permettere che la brillante ingegnosità americana venga penalizzata. Se necessario – ha aggiunto – userò la Sezione 301 per annullare le sanzioni ingiuste imposte alle nostre aziende”.

Trump ha poi citato il caso Apple: “Come ho già detto, la mia amministrazione non permetterà che queste azioni discriminatorie vengano mantenute. Apple, ad esempio, è stata costretta a pagare 17 miliardi di dollari di multa che, a mio parere, non avrebbe dovuto essere inflitta: dovrebbero riavere indietro i loro soldi!”. E ha rilanciato l’attacco: “Google ha già pagato miliardi in false richieste e multe sproporzionate. L’Unione europea deve fermare questa pratica contro le aziende americane, IMMEDIATAMENTE!”.

Nei giorni precedenti, Trump aveva già criticato Bruxelles: “Mi opporrò ai Paesi che colpiscono le nostre incredibili aziende tecnologiche americane. Le tasse e le normative digitali sono pensate per danneggiare la tecnologia Usa”. Il tema della regolamentazione digitale europea è stato uno dei punti caldi dei negoziati commerciali tra Usa e Ue, ma alla fine l’accordo sui dazi ha escluso il digitale, su cui il commissario Šefčovič e gli altri negoziatori europei hanno rivendicato piena autonomia.

Trump chiama, la Silicon Valley risponde: Big Tech a cena

Quando Trump chiama, la Silicon Valley non si tira indietro. Giovedì sera, alla Casa Bianca, Satya Nadella (Microsoft), Sam Altman (OpenAI), Sundar Pichai (Google), Mark Zuckerberg (Meta), Tim Cook (Apple) e Bill Gates hanno preso posto a tavola, in una parata di ceo che ha ricordato l’insediamento del presidente a gennaio. All’appello mancavano Elon Musk, che ha preferito mandare un delegato, e Jensen Huang (Nvidia), che oggi può permettersi incontri riservati grazie al potere dei suoi chip.

Al centro della serata c’era l’iniziativa di Melania Trump sull’intelligenza artificiale applicata all’educazione: Microsoft offrirà Copilot gratis agli studenti, Google investirà un miliardo nelle scuole, mentre Altman ha presentato una nuova piattaforma OpenAI per il lavoro.

Dietro sorrisi e foto di gruppo, però, si nasconde la realtà: da quando Trump ha battuto Kamala Harris, i colossi tech hanno imparato che contrariarlo può costare caro, tra dazi mirati e regolamenti punitivi. Ma tra brindisi e sorrisi, il messaggio era chiaro: meglio un sorriso a tavola che un nuovo ostacolo sui mercati.

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