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Google, gioie e dolori dei risultati a pagamento

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“Il posto più sicuro dove nascondere un cadavere è la seconda pagina di Google” recita una frase che circola tra gli addetti ai lavori ormai da diverso tempo. Il senso è questo: se non compari nella prima pagina dei risultati di ricerca di Google è come se non esistessi. E lo sanno molto bene le aziende che investono sempre di più tempo, energia e soprattutto denaro per accaparrarsi i primi posti nell’elenco di quello che ad oggi è il sito più visitato al mondo. Ma quanto è dispendiosa la corsa verso il traguardo? E quali sono i mezzi che le aziende devono utilizzare per riuscire a ottenere anche quel minimo di visibilità online?

Prendiamo spunto da un tweet pubblicato nei giorni scorsi da Jason Fried, fondatore e CEO di Basecamp, un’azienda americana che sviluppa applicazioni web-based per il project management. Nel suo tweet Fried afferma: “When Google puts 4 paid ads ahead of the first organic result for your own brand name, you’re forced to pay up if you want to be found. It’s a shakedown. It’s ransom. But at least we can have fun with it. Search for Basecamp and you may see this attached ad” ossia: “Quando Google mette 4 annunci a pagamento prima del primo risultato organico per il tuo marchio, sei costretto a pagare se vuoi essere trovato. È un meccanismo perverso. Come chiedere un riscatto. Ma almeno ci possiamo divertire. Cerca Basecamp e potresti vedere questo annuncio allegato”. Questo l’annuncio in questione:

Gli esperti marketing in Basecamp si sono quindi “divertiti” a pubblicare (pagando) un annuncio soltanto per affermare, in sostanza, che non volevano pubblicarlo, ma che sono stati costretti a farlo. Il motivo? Aziende più grandi e più potenti hanno realizzato annunci a pagamento che si sono posizionati prima del primo risultato organico che li vedeva comparire per la query di ricerca “Basecamp”.

Quindi Google è una macchina perversa che premia soltanto chi ha molto denaro da spendere? Google è un’azienda multimilionaria, attiva da oltre 20 anni, che incassa soprattutto grazie alla pubblicità. Ed è quindi proprio sulla pubblicità che cerca di puntare. La sua piattaforma online, Google Ads (che fino a luglio 2018 era conosciuta con il nome Google AdWords), consente a chi vuole promuovere un prodotto o un servizio su Google, di creare annunci a pagamento.

Il meccanismo è abbastanza semplice: si basa su un’asta, quindi sostanzialmente vince chi offre di più. E l’asta si fa sulle keyword, ossia sulle parole chiave che l’utente utilizza per effettuare le sue ricerche. Ogni singola keyword ha un suo specifico valore, quindi più è associata a un prodotto o servizio che in tanti vogliono vendere, più alto sarà il suo costo.

Torniamo al punto di partenza: più ho soldi da spendere più ho possibilità di farmi trovare dagli utenti. Esattamente così, ma non del tutto. La SERP (Search Engine Results Page) di Google non è composta solo dagli annunci a pagamento, ma anche dai risultati organici, risultati a cui le aziende possono aspirare con un’attenta strategia SEO (Search Engine Optimization), che è gratuita – nel senso che non si deve nulla a Google – e che analizza il funzionamento dell’algoritmo del motore di ricerca per garantire a una specifica pagina Web, attraverso l’impiego di metatag nel codice sorgente, il miglior posizionamento possibile.

Dunque, non volete essere quel cadavere in seconda pagina? Preparate il budget giusto, assumete un esperto SEO e pregate che l’algoritmo di Google cambi soltanto una volta l’anno.

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