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Fordow, il bunker nucleare iraniano che Israele non riesce a colpire: sarà la superbomba degli Usa a farlo?

FIRSTonline

Nelle viscere della montagna di Kuh-e-Dokhtar, a quasi 90 metri di profondità e a 20 chilometri dalla città santa di Qom, si nasconde uno degli obiettivi militari più ambiti, e finora intoccabili, della guerra scoppiata tra Israele e Iran nella notte tra il 12 e il 13 giugno 2025: il sito nucleare di Fordow.

Costruito in segreto dalle Guardie della Rivoluzione e rivelato soltanto nel 2009, dopo le denunce dell’intelligence occidentale, il sito di Fordow è molto più di un semplice impianto tecnico. Situato a circa 140km a sud di Teheran è entrato in funzione alla fine del 2011 ed è un centro per l’arricchimento dell’uranio ad alto livello, progettato per ospitare fino a 3.000 centrifughe (ne conta al momento 2.700). È il cuore simbolico e strategico del programma nucleare iraniano, concepito per resistere a ogni forma di attacco che sia aereo, cibernetico o con armi convenzionali. È proprio la sua esistenza a costituire una delle principali ragioni dell’intervento israeliano, alimentato dal timore di un’aggressione nucleare da parte di Teheran.

La sfida impossibile per Israele: colpire Fordow

Ma Fordow non è un bersaglio semplice, nonostante i continui bombardamenti. Mentre le forze israeliane hanno già attaccato gli impianti di Natanz e Isfahan, Fordow (per ora) è rimasto illeso. Le sue difese, roccia compatta, cemento armato, tunnel d’accesso, lo rendono virtualmente inespugnabile. L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea) ha confermato che le esplosioni avvenute nei dintorni non hanno danneggiato la struttura principale.

Israele dispone di bombe bunker buster come la GBU-28, ma non sono sufficienti per raggiungere profondità simili. L’unica arma in grado di farlo è la GBU-57/B Massive Ordnance Penetrator (Mop), un ordigno da 13 tonnellate capace di perforare strati di roccia e cemento prima di esplodere. Ma è un’arma esclusiva dell’US Air Force, mai condivisa con alleati.

Il Gbu-57/B Mop, la superbomba che potrebbe annientare il nucleare iraniano

Il Massive Ordnance Penetrator è una bomba da 13 tonnellate progettata per perforare strati di cemento e roccia prima di esplodere in profondità. Pensata per obiettivi altamente fortificati come Fordow, è trasportabile solo dai bombardieri stealth B-2 Spirit, anch’essi in dotazione esclusiva agli Stati Uniti.

Il Gbu-57/B Mop non è mai stato usato in combattimento, ma rappresenta un elemento chiave della deterrenza americana contro strutture nucleari sotterranee. Il suo eventuale impiego contro Fordow segnerebbe un coinvolgimento diretto di Washington e potrebbe trasformare il conflitto in uno scontro regionale su vasta scala.

Oltre le bombe: la resistenza di Fordow

In passato, Israele ha ostacolato il programma nucleare iraniano con operazioni segrete e attacchi informatici, come il celebre virus Stuxnet del 2010. Oggi però Fordow è fisicamente isolato da internet e sorvegliato militarmente. Anche la via del cyberattacco appare quindi impraticabile.

Pur non essendo il più grande impianto nucleare dell’Iran, Fordow è il più protetto. È stato concepito per garantire una capacità nucleare residua anche in caso di attacco devastante. Un’infrastruttura ridotta all’essenziale, ma blindata come un bunker di comando.

Secondo un report di maggio dell’Aiea, l’Iran possiede oltre 400 kg di uranio arricchito al 60%, vicino alla soglia militare del 90%. A Fordow sono già state rilevate particelle arricchite fino all’83,7%.

Saranno gli Stati Uniti a colpire Fordow?

Con la guerra in corso, l’attenzione internazionale è quindi concentrata su due incognite: le prossime mosse degli Stati Uniti e il destino di Fordow. In un discorso trasmesso dalla TV di Stato, la Guida suprema iraniana Ali Khamenei ha lanciato un avvertimento diretto: “Non ci arrenderemo mai. Qualsiasi intervento degli USA causerà danni irreparabili”, definendo “inaccettabile” l’ultimatum inviato da Washington. Dura anche la replica del presidente americano Donald Trump: “Ho perso la pazienza. L’Iran deve arrendersi senza condizioni. È troppo tardi per negoziare”. E alla domanda se si trattasse di un ultimatum definitivo ha risposto: “Si potrebbe dire così. Buona fortuna”. Un’escalation verbale che alimenta il sospetto di un attacco imminente da parte degli Stati Uniti contro il cuore del programma atomico iraniano. Secondo Kelsey Davenport, analista dell’Arms Control Association, “distruggere strutture come Fordow è fuori dalla portata di Israele senza l’assistenza diretta degli Stati Uniti”. Ma un intervento americano rischierebbe di incendiare l’intera regione, attivando una reazione a catena da parte delle milizie sciite filoiraniane.

A complicare ulteriormente il quadro è la posizione geografica del sito: Fordow si trova nei pressi di Qom, uno dei centri spirituali più importanti dell’Islam sciita. Un bombardamento che colpisse civili o luoghi religiosi potrebbe trasformare il conflitto in una guerra di religione, con conseguenze imprevedibili.

Oggi Fordow è più di un obiettivo militare: è il simbolo della determinazione del regime iraniano a difendere le proprie ambizioni nucleari e la propria sopravvivenza strategica. Finché resterà operativo, continuerà a rappresentare per Teheran una sorta di polizza di garanzia. Ed è proprio per questo che resta il bersaglio numero uno. Ma la domanda chiave è una sola, gli Stati Uniti, o meglio, Donald Trump, vorranno davvero colpire Fordow? E soprattutto, potranno farlo senza scatenare una tempesta che travolga l’intero Medio Oriente?

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