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Decreto Crescita: baratto Lega-M5S e fiducia alla Camera

Roncoa

Dopo non poche tribolazioni interne alla maggioranza, giovedì il Governo ha posto Camera la questione di fiducia sul Decreto Crescita, che sarà votata nel pomeriggio di venerdì. Il via libera di Montecitorio rischia quindi di slittare a sabato e non sarà comunque conclusivo. Una volta approvato dalla Camera, infatti, il provvedimento passerà all’esame del Senato, dove sarà blindato ancora una volta con la fiducia. Il testo deve essere convertito in legge entro il 29 giugno per evitare la decadenza.

Si è concluso così, con un accordo, lo scontro andato in scena mercoledì fra il Movimento 5 Stelle e la Lega, che aveva presentato un emendamento per trasferire dal ministero per il Sud alle Regioni la gestione del Fondo sviluppo e coesione, il serbatoio di fondi nazionali che per l’80% è destinato al Mezzogiorno. Dopo il ritorno del decreto in commissione, la proposta di modifica è stata stralciata. Allo stesso tempo, però, il governo ha apportato un’altra decina di modifiche al testo e per questo ha chiesto una sospensione dei lavori. Nel pomeriggio il ministro dei Rapporti con il Parlamento, Riccardo Fraccaro, ha infine posto la fiducia a nome del governo sul decreto.

Secondo alcune indiscrezioni, lo stralcio dell’emendamento sarebbe frutto di uno scambio fra i due partiti di maggioranza, con la Lega che avrebbe ottenuto l’approdo della riforma delle autonomie regionali sul tavolo del Consiglio dei ministri alla prossima riunione. Il vicepremier Matteo Salvini ha smentito questa dinamica: “Con i 5 Stelle non c’è stato nessuno scambio: l’autonomia arriva in Cdm perché fa bene all’Italia… Adesso sono tutti più convinti rispetto a qualche tempo fa. Sul dl crescita c’è l’accordo ed è importante è che sia approvato entro 9 giorni”.

Oltre al nodo sui fondi del Sud, il decreto crescita è cambiato anche in altri punti: è stata rivista la riapertura della rottamazione ter, ma anche il contratto di espansione e i compromessi sulle norme salva-Roma e salva-Comuni. È saltata anche la possibilità di apporre l’emblema dello Stato per difendersi dai falsi made in Italy.

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Categories: Politica