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DAL BLOG DI ALESSANDRO FUGNOLI (Kairos) – Oro e petrolio: grande occasione d’acquisto o trappola?

L’oro serve. Quello che dicono i suoi avversari (i banchieri centrali occidentali, i politici e gli economisti che apprezzano fin troppo la flessibilità della moneta cartacea) e cioè che l’oro non ha più nessuna utilità industriale è falso. L’oro non è solo un’eredità culturale del neolitico, non è solo un minerale esteticamente attraente per tutti gli uomini e gli animali che non resistono al fascino di quello che luccica e non è un deposito di valore solo per piccole sette di nostalgici del Gold Standard.

L’oro piace in tutti i paesi emergenti. Piace alle élites russe e cinesi, che ogni tanto sognano di farne la base delle loro valute per preparare il giorno in cui queste soppianteranno il dollaro. Piace ai contadini malesi, alla piccola borghesia indiana e a decine di milioni di cinesi che si sono trasformati in pochi anni nei più grandi compratori di gioielleria e di lingotti del mondo intero. Piace alla monarchia saudita, che ha chiesto a Zaha Hadid di rivestire d’oro il soffitto della stazione King Abdullah della nuova fantascientifica metropolitana di Riyadh.

Ma oltre che piacere l’oro serve nell’elettronica e per produrre convertitori catalitici e ha un brillante futuro nelle nanotecnologie. E il successore del telescopio spaziale Hubble, il James Webb Space Telescope che dal 2018 studierà la storia del nostro universo, sarà in buona parte rivestito in oro.

Che il petrolio serva non c’è bisogno di ricordarlo. Da settant’anni si prova a scalzarlo (nucleare, plutonio, fusione, eolico, solare, biomasse) ma alla fine gli si fa solo un graffio superficiale e si torna invariabilmente a questa fonte così pratica, abbondante, versatile ed economica. E dove c’è il petrolio di solito c’è anche il gas naturale, una specie di bonus aggiuntivo.

Tanto più dovrebbero servire, oro e petrolio, nelle fasi in cui l’economia globale è in espansione. Il petrolio per soddisfare la crescita della domanda tipica delle fasi di ripresa e l’oro per proteggere dall’inflazione che di solito accompagna la seconda fase del ciclo.

E invece, proprio mentre Wall Street fa segnare il massimo livello di tutti i tempi e mentre i bond si mantengono fortissimi, ecco che petrolio e oro scivolano clamorosamente e se ne tornano sui livelli dell’autunno 2010, quando l’espansione aveva solo un anno di vita. In un mondo in cui quasi tutto è caro o comunque sui massimi, il petrolio a 77 dollari e l’oro a 1140 sono una grande tentazione. Per non parlare delle azioni delle società aurifere e petrolifere, alcune delle quali, da un mese in qua, si sono addirittura dimezzate di valore. Ma ha senso lasciarsi tentare o è solo una trappola?Guardiamo ai cicli espansivi precedenti, quello degli anni Novanta e quello degli anni Duemila. Nel primo caso oro e petrolio rimasero stabili e forti nella prima metà del decennio e poi, mentre l’economia continuava a crescere, se ne scesero fin quasi a dimezzarsi. Il greggio stette a 20 dollari fino alla fine del 1996 e poi arrivò tristemente a 10 nel 1999, proprio mentre le borse iniziavano ad abbandonarsi all’euforia di una crescita senza limite basata sulle nuove tecnologie. L’oro, dal canto suo, restò sui 400 dollari fino al 1996 e sprofondò a 250 nel 1999 (molte banche centrali europee vendettero proprio sui minimi).

Gli anni Duemila andarono diversamente. Oro e petrolio salirono infatti ininterrottamente. Il primo si portò dai 250 dollari del 2001 ai 1000 d’inizio 2008, il secondo dai 15 del 2001 ai 145 toccati nell’estate 2008, poco prima della catastrofe.

La differenza tra i due cicli è evidente. Il primo rappresenta la regola, il secondo l’eccezione.Le materie prime seguono infatti, normalmente, un ciclo diverso da quello delle borse. L’azionario tocca i massimi a fine ciclo (dimostrando puntualmente di non avere nessuna capacità di previsione sul crash economico imminente), mentre le materie prime lo toccano a metà ciclo. La ragione è semplice. Le società minerarie e petrolifere, prima di avviare nuovi investimenti, aspettano che il ciclo economico confermi la sua forza. Tipicamente, quindi, non si muovono nel primo anno di una ripresa, ma nel terzo. Gli investimenti avviati nel terzo anno cominciano a dare risultati nel quinto e nel sesto anno. A quel punto la domanda continua a crescere, certo, ma l’offerta cresce ancora di più e fa scendere i prezzi.

Il ciclo degli anni Duemila andò diversamente per via di un nuovo soggetto, la Cina, che proprio in quegli anni aveva preso a crescere a tassi elevati e a divorare materie prime, quasi indifferente al loro prezzo.

Non in tutti i decenni, però, c’è una nuova Cina da accomodare e quindi, in questi nostri anni Dieci, tutto fa pensare che il ciclo delle materie prime torni alla sua normalità. Poiché siamo all’anno sesto della ripresa, ecco che una grande quantità di nuova produzione, frutto degli investimenti avviati dalle società minerarie tra il 2011 e il 2012, inizia a entrare in circolo e a deprimere i prezzi.

Se poi la Cina era stata nel decennio scorso una sorpresa sul lato della domanda, in questo nostro decennio la sorpresa è sul lato dell’offerta. La massiccia entrata in produzione di greggio e gas non convenzionali negli Stati Uniti è un fatto senza precedenti nelle sue proporzioni e altera il ciclo dei prezzi tradizionale, accentuandolo.

Poiché finora nessuno dei grandi produttori ha annunciato tagli di produzione (con prezzi di bassi la tentazione è semmai quella di estrarre di più), lo squilibrio tra domanda e offerta produrrà probabilmente, nei prossimi mesi, prezzi ancora più bassi o comunque non più alti. Un accordo con l’Iran sul nucleare, possibile in tempi brevi, potrebbe porre fine alle sanzioni e portare altro greggio sul mercato. Il nuovo Congresso americano a maggioranza repubblicana darà poi via libera a nuovi gasdotti e oleodotti e liberalizzerà le esportazioni, immettendo altra produzione sul mercato internazionale.

La produzione di greggio verrà dunque tagliata solo marginalmente, là dove costa di più (nelle acque profonde al largo del Brasile o del Golfo di Guinea) o dove è più esposta alla concorrenza della nuova produzione americana (il light nigeriano). Poiché Russia e Venezuela continueranno a produrre più che possono, alla fine la partita verrà giocata tra i sauditi (che hanno la forza economica per permettersi tagli di produzione) e i nuovi produttori americani di shale oil, più elastici rispetto ai prezzi in quanto privati. Ci vorranno ancora dei mesi prima che sia trovato un nuovo equilibrio.

L’oro, dal canto suo, ha seguito in questo ciclo una dinamica particolare. La tradizionale forza delle fasi d’inizio ciclo è stata accentuata dall’idea che il Quantitative easing avrebbe generato inflazione. Quando si è constatato, da metà 2011 in avanti, che l’inflazione non arrivava, è iniziata la discesa, che ha ormai compiuto tre anni di vita.

Che fare quindi? Su oro e petrolio ci sembra tardi per vendere e presto per comprare. A chi volesse comunque lasciarsi tentare ricordiamo che gli Etf sul greggio fisico dovranno scontare nei prossimi mesi, molto probabilmente, il contango sulla curva a termine. Il greggio è infatti talmente abbondante, in questo momento, da costare meno per consegna immediata che per consegna futura. Detenere greggio fisico, dunque, comporta un carry negativo. In parole povere, costa. Al contrario, comprare azioni petrolifere (scegliendo le migliori, in America ce ne sono di ottimamente gestite) permette l’incasso di un buon dividendo.

A chi ha già in portafoglio società del settore suggeriamo di non fare media e di approfittare della volatilità elevata per abbassare il prezzo di carico. Si preannuncia un altro inverno freddissimo e le quotazioni potranno Farà ampio uso di oro il nuovo Webb Space Telescope, che nel 2018 sostituirà Hubble.5temporaneamente risalire (in particolare quelle del gas). Converrà approfittarne.

Anche sull’oro, pur convinti che avrà lunga vita come classe di investimento, non vediamo urgenza di comprarne se non come polizza a medio termine contro l’inflazione, che in ogni caso non sembra alle porte. Massima cautela sui bond ad alto rendimento di alcune società americane di shale gas. Per quelle più indebitate vedremo presto i primi default obbligazionari di questo ciclo. Nessun problema per le società più solide.

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