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DAL BLOG ADVISE ONLY – Fondi pensione, cosa sono e quanto costano

Su pensioni e previdenza integrativa c’è poca cultura, si sa. In compenso, la disinformazione non manca (pensate al famigerato video di Beppe Scienza, comparso sul blog di Beppe Grillo, che ho commentato qualche tempo fa).

Uno degli aspetti più importanti sui quali c’è parecchia confusione riguarda i costi dei fondi pensione. Non ci stancheremo mai di dire che i costi sono cruciali. E siccome anche la previdenza integrativa è cruciale, è facilmente intuibile quanto lo sia la combinazione di questi due fattori: ecco perché ne parliamo.

Non tutti i fondi pensione sono uguali

I costi della previdenza integrativa sono assai eterogenei e sono in larga parte legati alla tipologia di fondo pensione. Ecco di seguito le tre principali tipologie di strumenti di previdenza integrativa presenti in Italia:

1) fondi pensione chiusi (o fondi pensione “negoziali”): forme pensionistiche complementari istituite dai rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro nell’ambito della contrattazione nazionale, di settore o aziendale;

2) fondi pensione aperti: istituiti da intermediari finanziari quali banche, assicurazioni, società di gestione del risparmio (SGR) e società di intermediazione mobiliare (SIM);

3) piani Individuali Pensionistici (PIP): strumenti di previdenza integrativa istituiti da imprese d’assicurazione.

Il costo della garanzia sul capitale

Molti lavoratori che hanno la possibilità di investire in una forma di previdenza integrativa possono scegliere, tra i vari comparti a disposizione (ad esempio “azionario”, bilanciato”, ecc), fondi con garanzia di restituzione del capitale oppure con garanzia di rendimento pari o superiore al TFR. E questo anche se mancano ancora molti anni alla pensione. Vediamo insieme perché, nella maggior parte dei casi, la garanzia non ha senso.

1. La garanzia costa troppo

Anche considerando la forma di previdenza integrativa meno costosa, ossia i fondi chiusi, il costo medio annuo dei comparti senza garanzia è 0,19%, mentre quello dei comparti con garanzia è 0,29%. E’ il 55% in più.

2. Il comparto garantito è un monetario, con performance molto basse

Le performance tendono ad appiattirsi sul minimo garantito. C’è una spiegazione teorica molto sexy, che tira in ballo la diseguaglianza di Jensen, ma resisto alla tentazione di parlarvene e ve la risparmio: l’intuizione è che, per il gestore, il danno connesso al non rispettare la garanzia supererebbe di molto il beneficio di ottenere una performance più elevata. Quindi il gestore investe in un comparto garantito, mentre rischiate di avere rendimenti reali negativi (in quanto erosi dall’inflazione).

3. Se mancano almeno 5 anni alla pensione, è ragionevole scegliere comparti che investono in azioni e obbligazioni a medio-lungo termine.

Infatti, la probabilità di performance negative è bassa. E, come corollario, verosimilmente avrete una pensione più elevata.

In sintesi, la garanzia ha senso se manca davvero poco alla pensione e si intende “mettere in sicurezza” il capitale accumulato. Un trentenne che investe in un comparto garantito è, nel 99% dei casi, un abominio finanziario.

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