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Coronavirus, Lombardia e smog: c’è un legame?

Imagoeconomica

Potrebbe non essere un caso che il virus che sta flagellando l’Italia (primo Paese al mondo per decessi, ieri il record di 627 in 24 ore) stia colpendo soprattutto il Nord e la Lombardia (dove muore il 10% dei malati). Il condizionale è d’obbligo, ma secondo uno studio realizzato da due professori di chimica industriale dell’Università di Bologna, Leonardo Setti e Fabrizio Passarini, insieme a colleghi delle Università di Bari, Trieste e Milano, e ai ricercatori della Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima), pare che l’inquinamento atmosferico contribuisca alla diffusione: e infatti le aree più colpite sono quelle della pianura padana, dove lo smog notoriamente raggiungi livelli altissimi soprattutto in inverno.

Peraltro, l’ultimo inverno, proprio nelle settimane in cui il coronavirus ha iniziato a diffondersi, tra gennaio e febbraio, è stato particolarmente siccitoso e questo ha favorito l’accumulo di particelle inquinanti nell’atmosfera: i picchi di Pm10 raggiunti in una città come Milano, insieme a Bergamo e Brescia la più colpita dal contagio, lo confermano. In pratica, secondo i ricercatori, il virus si “attaccherebbe” allo smog per viaggiare più veloce e andare più lontano. Ecco come funziona: “Noi tutti produciamo delle micro gocce quando starnutiamo o tossiamo che possono raggiungere un metro o un metro e mezza di distanza – spiega il professor Setti -. È la famosa distanza droplet di cui tutti parliamo. In realtà però, emettiamo anche dei micro- droplet, dei nuclei di dimensioni molto più piccole, che possono aggregarsi al particolato diffuso nell’aria“.

Come cambia l’aria senza auto

Lo smog si comporta come dunque come un aeroplano: trasporta il virus, lo stabilizza e lo mantiene in sospensione per una distanza che può essere molto maggiore di un metro, moltiplicando così le possibilità di contagio per strada, in autobus, nelle stazioni. Molto probabilmente quello che è successo in molte città lombarde nelle fatidiche settimane del boom di contagi. D’altra parte, una correlazione con l’inquinamento si è già vista in passato con altri virus, dall’ebola all’aviaria, e anche nella stessa Cina per il coronavirus: “Molti elementi che ci dicono che questa correlazione è probabile”, confermano gli scienziati, ricordando però che al momento “non ci sono ancora prove scientifiche”.

La correlazione spiegherebbe anche perché il coronavirus, per ora, non si è diffuso più di tanto al Centro-Sud, o quanto meno non ai livelli in cui lo è stato al Nord. “A Roma tra gennaio e febbraio abbiamo registrato una media di 0,4 sforamenti a centralina dei limiti di Pm10, mentre Milano ne ha avuti anche 8. Questo potrebbe spiegare perché a Roma, dove in quegli stessi giorni erano già presenti i primi contagi, il virus non è cresciuto così velocemente”, aggiunge Setti. La speranza è dunque che in queste settimane in cui lo smog è calato, grazie anche alle restrizioni che di fatto limitano di parecchio l’utilizzo dell’automobile, il virus possa avere qualche difficoltà in più a circolare nell’atmosfera.

“Io direi – chiude Setti – che certamente stare lontani va benissimo, ma forse bisognerebbe anche lavare le strade e ridurre ulteriormente i veicoli in circolazione. Ma non decido certo io”. Intanto il dibattito si è allargato e oltre alla questione dello smog si è affacciata anche quella degli impianti di aerazione: “La Sars 1 – ha detto la virologa Ilaria Capua – aveva cominciato a circolare nel sistema di condizionamento di un hotel di Hong Kong. In Lombardia dobbiamo capire subito se il Covid- 19 è entrato in impianti di areazione, magari vecchi, che ne hanno accelerato e moltiplicato la circolazione proprio tra chi ha difese più fragili”.

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