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Consumi alimentari a dieta, ma ristorazione ed export in controtendenza

Pixabay

Andamento lento dei consumi alimentari domestici il cui mercato non riesce ancora a mandare segnali convincenti  di ripresa. I dati diffusi recentemente dall’Istat indicano una quota 2017 dei consumi alimentari “domestici” pari a 160 miliardi di euro, che significa un aumento pari ad appena lo 0,5% in termini reali, rispetto all’anno precedente. Mentre i consumi complessivi del Paese, in parallelo, hanno fatto meglio, o se si vuole “meno peggio”, con un +1,6%. A conferma della sofferenza specifica che sta attraversando da tempo il mercato alimentare interno.

In un panorama così variegato, quale è quello alimentare, non mancano segmenti anche importanti che danno chiari segnali di vivacità. Tra questi spicca il settore dei consumi extra-domestici (la ristorazione in primis) che sono andati controcorrente fungendo da  “lepre”. Dall’analisi Istat emerge che nel 2017 i pasti fuori casa hanno sfiorato la quota di 83 miliardi, con un +3,7% annuo in termini reali (al netto dell’inflazione).

Scorporando la ristorazione, l’onda lunga della caduta dei consumi alimentari “puri” appare più evidente se si analizzano i dati rilevati nel decennio della crisi (2007-17): in tale arco di tempo essi perdono infatti 10 punti secchi, in termini reali, a fronte dei 2,7 punti persi dal grande aggregato dei consumi nazionali complessivi.

Il fenomeno sottolinea la pesante cura dimagrante cui è stato sopposto il mercato alimentare, utilizzato per anni dalle famiglie come palestra quotidiana di risparmio. In nome di due criteri di base: meno sprechi e prodotti più economici. Eppure, l’inflazione di settore è stata apprezzabilmente inferiore a quella generale. Ma ciò non è bastato a lubrificare i consumi. Significativo, in questo senso, che l’unico segmento distributivo in espansione, negli ultimi anni, è stato quello dei discount alimentari, con tassi annui attorno al +3-4%.

Un altro interessante trend che emerge dal dettaglio dei dati è la crescente polarizzazione della spesa alimentare, con la crescita dei prodotti premium e low price, a scapito della fascia intermedia. Ne esce la conferma di un fenomeno di cui si dibatte in modo crescente nel Paese: la crisi della classe media, con quello che ne consegue anche in termini di stabilità sociale.

Eppure, malgrado questo contesto di perdurante stagnazione, la produzione alimentare ha messo a segno negli ultimi anni un andamento premiante rispetto a quello generale. Sull’arco della crisi 2007-2017, essa infatti ha “tenuto”, con una flessione inferiore all’1%, rispetto al taglio parallelo di ben 20 punti accusato dall’indice della produzione industriale italiana nel suo complesso. Il segreto? Le doti anticicliche del settore. E il fatto che l’export alimentare ha segnato nel decennio un aumento del 76%, a fronte del 25% del totale industria.

E’ una bella forbice, che dimostra quanto l’industria italiana alimentare sia riuscita a trasformare in crescenti quote di mercato la grande reputazione di cui gode sui mercati esteri. Un successo al quale ha contribuito in misura sostanziale anche la fascia delle PMI che hanno messo a segno incrementi dell’export superiori alla media di settore.

Il consuntivo dell’export dell’industria alimentare registra così, nel 1° semestre 2018, una quota di 15,8 miliardi di euro, con una variazione del +4,2% sul 1° semestre 2017. Che è superiore al +3,8% segnato in parallelo dell’export totale del Paese. 

Le anticipazioni Istat sui primi sette mesi indicano un’accelerazione. Il confronto tendenziale gennaio-luglio 2018/17 di settore sale infatti al +4,7%, con una performance specifica nell’area UE pari al +5,7%.

Guardando nello specifico la crescita dell’export alimentare per singola destinazione, emergono i tassi modesti di USA (+0,9%) e Cina (+1,0%). Mentre assai meglio intonate risultano le esportazioni versi i mercati tradizionali di Germania (+6,6%) e Francia (+6,3%).

Per ora, quella che rimbalza dal mercato americano è solo una piccola spia lampeggiante, che va monitorata con attenzione, del pesante clima daziario che si sta allargando sui mercati. Una guerra che rischia di depotenziare il primo driver dello sviluppo: il commercio globale. Il quale, non a caso, sta già attenuando la spinta attorno al +5% che aveva riguadagnato l’anno scorso.

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